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Maria, simbolo di fede per tutti: ignoranti e dotti

Il beato John Henry Newman, strenuo difensore della ragionevolezza della fede, indica come modello proprio quella di Maria, che senza esitazioni credeva, accettava la verità rivelata, ma poi la "meditava", la usava, la sviluppava. Un esempio per tutti.

Editoriali 02_03_2013
Maria

Lo abbiamo già ripetuto molte volte che con Maria si verifica un fatto strano: da qualunque prospettiva tu la guardi, in qualunque condizione di vita ti trovi, ella avrà sempre qualcosa da suggerirti. E questo perché, essendosi in lei realizzata con pienezza la redenzione, è diventata il prototipo dell’umanità, il paradigma a cui fare riferimento. Così, sembra inesauribile  la possibilità di scandagliare la sua vita, di meditare sui suoi comportamenti per analizzarne i significati e per trarne conoscenza e alimento spirituale. Questa volta, lo faremo accompagnati da un gigante del pensiero e della spiritualità che porta il nome di John Henry Newman.

Chi sia stato, più o meno tutti lo sappiamo. Un grande intellettuale inglese, un pastore anglicano che, dopo una lunga ricerca si convertì, approdando al cattolicesimo, dove fu nominato anche cardinale e ora, infine, beato. Un uomo rigoroso che non lasciva certo spazio a sentimentalismi, che tuttavia combatté quel razionalismo, che voleva rinchiudere la ricerca intellettuale su se stessa, dimostrando come fosse possibile, e altamente auspicabile, un corretto rapporto tra fede e ragione.

È un tema, quest’ultimo, che torna anche a proposito di Maria. Vediamo come, esaminando quanto scrive in uno dei suoi Sermoni Universitari. Partendo anch’egli dal fatto che ben poco ci è detto nella Scrittura a proposito della Vergine, egli tuttavia sottolinea come ci sia un aspetto per il quale gli evangelisti fanno di lei il “modello”. Questo aspetto è la fede di questa donna, della quale egli illustra le caratteristiche muovendo, anzitutto, da una analisi dei pochi fatti che conosciamo. A cominciare già dal confronto tra la reazione di Zaccaria, che mette in questione l’annuncio dell’angelo relativo alla nascita del Battista, mentre Maria vi aderisce subitamente: «Ecco la serva del Signore, avvenga di me secondo la tua parola» (Lc. 1,38).

«Ma – prosegue Newman – la fede di Maria non si esaurì in una pura acquiescenza alla provvidenza e rivelazione divine: come dice il testo, ella le “meditava”. Quando vennero i pastori e raccontarono della visione di angeli, che avevano avuto nell’ora della natività e di come uno di loro avesse annunciato che il Bambino che teneva tra le braccia era “il Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc. 2,11), mentre gli altri non fecero che meravigliarsi, “Maria serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. Ancora, quando suo Figlio e Salvatore ebbe raggiunto l’età di dodici anni e l’ebbe lasciata per un po’ di tempo per il servizio del Padre suo, dopo che fu ritrovato, con sua sorpresa, nel tempio in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava, dopo che, rispondendo, accettò di giustificare la sua condotta, ci viene detto che «sua madre conservava tutte queste cose nel suo cuore” (Lc. 2,51). In pari modo al matrimonio di Cana, la sua fede anticipò il suo primo miracolo ed ella disse ai servi “fate tutto quello che vi dirà”(Gv.2,5)».

Ecco, è da tutto questo, ci spiega Newman, che noi possiamo capire quali fossero le caratteristiche della fede di Maria e farne il nostro modello «sia nell’accoglienza, sia nello studio della verità divina. Per lei (infatti); non è sufficiente accettarla (tale verità), rimane in essa; non è sufficiente possederla, la usa; non è sufficiente assentire, la sviluppa; non è sufficiente sottometterla alla ragione, ragiona su di essa: non come Zaccaria che prima ragiona e poi crede. Maria prima crede senza ragionare e poi, per l’amore e la reverenza, ragiona dopo aver creduto. Così ella è per noi il simbolo non solo della fede degli incolti, ma anche dei dottori della chiesa, che devono investigare, misurare e definire oltre che professare il Vangelo; devono tracciare la linea che separa la verità dall’eresia; anticipare o rimediare le varie aberrazioni di una ragione erronea, combattere con le loro armi l’orgoglio e la temerarietà, trionfando così sui sofismi e sugli innovatori».

Capito? Fede e ragione devono aiutarsi e sostenersi a vicenda. Ma l’atteggiamento del cuore aperto verso Dio, disposto ad accoglierlo e a vivere in rapporto con lui, come quello di Maria, è la base di tutto. Anche per filosofi, teologi, persino per i dottori della Chiesa. Evidentemente parlava anche per esperienza personale, dato che faceva parte – e assai meritevolmente – della categoria. E questo perché è la fede che illumina la ragione la quale, poi, investigando a sua volta, le fornisce le basi razionali necessarie a darle sostegno. Mentre la ragione da sola rischia di prendere quelle strade erronee di cui Newman parla. Di inseguire sofismi, di cadere in quell’orgoglio che convince di aver capito più e meglio degli altri la Verità e per questo di voler essere “innovativi”, che per Newman significa allontanarsi dal solco della Scrittura e della Tradizione. Forse per questo gli era così caro il detto che andava ripetendo spesso: «Noi cristiani siamo nani, è vero, ma issati sulle spalle di giganti».