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IL DIBATTITO

Maria Corredentrice, un privilegio che esalta Dio

La sottolineatura su Maria discepola di Gesù è condivisibile finché non la si contrappone alle altre prerogative mariane. Come la corredenzione, che discende dalla sua divina maternità e dall’essere la Donna annunciata nella Genesi e nell’Apocalisse. Lungi dal minimalismo protestante, le Scritture contengono il seme dei dogmi su Maria. I cui privilegi nulla tolgono a Dio, ma ne esaltano l’opera (vedi il Magnificat). Perciò conoscere la Madre significa conoscere il Figlio.

Ecclesia 06_01_2020

Maria è «donna e Signora, madre e meticcia» e poi discepola: «Maria [...] si presenta come donna e si presenta con il messaggio di un Altro, cioè è donna, Signora e discepola. [...] La pietà cristiana nel corso del tempo ha sempre cercato di lodarla con nuovi titoli, titoli filiali, titoli dell’amore del popolo di Dio, che però non toccavano per niente il fatto di essere donna-discepola». Anche il motto de Maria numquam satis non mette «in discussione il suo umile essere discepola, fedele al suo maestro che è anche suo figlio, unico redentore: mai ha voluto per sé prendere qualcosa di suo figlio, mai si è presentata come corredentrice, ma come una discepola».

Sono state queste le parole più significative pronunciate dal Papa nell’omelia per la festa della Madonna di Guadalupe, sulle quali il nostro quotidiano si è già soffermato (vedi qui e qui), parole che hanno sollevato non poche perplessità.

La sottolineatura che papa Francesco ha fatto su Maria discepola del proprio Figlio e Maestro sarebbe senz’altro condivisibile se non fosse inserita nel contesto di un discorso che finisce chiaramente con il contrapporre l’essere discepola di Maria alle altre prerogative mariane. E non solo il suo essere discepola, ma anche il suo essere donna e madre viene presentato come ciò che è essenziale della persona di Maria, ciò che è più importante riconoscere in lei. Maria dunque è donna e madre, «senza un altro titolo essenziale - pensiamo alle litanie, titoli di innamorati che cantano - che però non toccano l’essenzialità di Maria, donna e madre, questo è l’importante».

Il concetto viene ribadito ancora nel seguito dell’omelia, con l’esortazione a «non perdere tempo» nel definire nuovi dogmi mariani: tutta l’identità di Maria viene nuovamente ricondotta all’essere «donna, Signora, madre di suo figlio e della Santa madre Chiesa gerarchica, ed è meticcia, donna dei nostri popoli che ha fatto Dio meticcio».

Con tutto il rispetto per il Pontefice, mi pare che qui ci troviamo di fronte a un riduzionismo foriero di tragiche conseguenze. Lo sviluppo dogmatico ha sempre seguito la regola del seme, che è poi la logica dell’Incarnazione; in partenza, una verità di fede si presenta piccola, umile, ad occhi poco illuminati persino insignificante e non essenziale. Ma lentamente arrivano i primi germogli, poi il piccolo arbusto, fino a divenire un albero tanto grande «che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami» (Mt 13, 32). Gli uccelli poco o nulla sanno del lungo processo dell’albero: a loro basta trovarvi nutrimento e protezione.

Prendiamo, per esempio, uno dei titoli mariani richiamati da papa Francesco, quello di donna. È ovvio che Maria è una donna reale, nessuno lo mette in discussione. Ma già san Giovanni, nel suo Vangelo e nell’Apocalisse, comprende in profondità che Maria non è una donna, ma la Donna, la nuova Eva, Colei che adempirà la promessa fatta da Dio subito dopo la colpa dei progenitori. Dunque, nella parola “donna”, presente nel quarto Vangelo, c’è molto di più che la semplice constatazione del sesso femminile o del fatto che Maria sia una donna esemplare quanto a sequela e virtù.

E, analogamente, Maria non è solo una madre, ma è la Madre di Dio, ragion per cui ella è elevata all’ordine dell’unione ipostatica (il che non significa affermare un’unione ipostatica). Dalla comprensione integrale della sua divina maternità scaturiscono la corredenzione, la mediazione universale, la regalità, etc., che devono essere intese come partecipazione singolare all’opera dell’unico Redentore, Mediatore e Re dell’Universo.

La prima sottolineatura, che appare assente nell’omelia menzionata, è dunque questa: la fedeltà alle Scritture non conduce a una concezione minimalista della Madonna (ma il discorso si potrebbe fare analogamente per tutte le verità di fede), perché sono proprio esse a contenere il seme e il germoglio dello sviluppo mariologico. Ma il loro senso più profondo viene dischiuso da quello stesso Spirito Santo, promesso da Gesù, che le ha ispirate e che accompagna la Chiesa nei secoli.

Utilizzare la maternità di Maria, il suo essere donna e discepola, per bollare come “tonteras” le formulazioni dogmatiche, presenti e future, significa tradire le Scritture stesse. Ed è quello che fanno i protestanti, quando per esempio si scagliano contro la verità della corredenzione; per loro non vi è che una cooperazione materiale di Maria alla Redenzione, in quanto madre fisica del Redentore; la parola di Dio non direbbe altro.

Questa apparente “fedeltà” al dato biblico è in realtà un grave riduzionismo, incapace di andare al di là del senso storico-letterale del testo biblico. Tutti i titoli mariani che troviamo nei dogmi, nelle litanie, nella liturgia, negli scritti dei Padri, non sono fantasie e non sono neppure manifestazioni d’affetto prive di contenuto veritativo; esse sono la modalità con cui la Chiesa crede, annuncia, celebra l’opera più alta e perfetta che potesse uscire dalla mano di Dio, dalla quale dipende la nostra salvezza.

C’è poi un altro equivoco, presente nelle parole del Papa, che richiede di essere chiarito. Per aiutare il lettore a comprendere l’ordine della grazia, osserviamo quello della natura. Noi osserviamo metafisicamente una gerarchia di enti, creati dall’Essere stesso secondo una gerarchia di perfezioni. La maggiore perfezione nell’essere degli uni non è a detrimento della minore perfezione degli altri, né dobbiamo pensare che affermare la sublimità della perfezione angelica, ad esempio, insidi in qualche modo quella divina. Al contrario, più gli esseri sono perfetti e più danno gloria al loro Creatore, il quale rimane al di là dell’ordine degli enti, delle creature, sovrabbondanza infinita di perfezione. Ciascun essere partecipa, secondo la misura propria, della perfezione divina, che è invece senza misura.

Torniamo ora alla Santissima Vergine. Affermarne le peculiarità, legate al suo essere l’Immacolata Madre di Dio, non significa assolutamente rubare qualcosa a Gesù o, per usare l’espressione del Papa, «prendere qualcosa di suo Figlio». Il fatto che la Madonna partecipi in modo singolare, nel nostro caso, all’opera della Redenzione del Figlio, non toglie nulla all’unicità del Redentore, appunto perché quella di Maria è una partecipazione, ed è quindi essenzialmente subordinata all’opera del Figlio suo. Però, questa partecipazione è unica in ragione del fatto che Dio stessa l’ha voluta così com’è, l’ha unita a Sé in modo singolare, al di sopra di ogni altra creatura esistente, in un modo quasi-ipostatico.

Questi privilegi di Maria non tolgono nulla a Dio, anzi Lo esaltano; è questo il senso profondo del canto del Magnificat: «Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e santo è il suo nome» (Lc 1, 49). Parimenti, l’esaltazione di Maria al di sopra di tutte le creature non è a detrimento di queste ultime, bensì a loro beneficio, un beneficio necessario. Che cosa significa ciò? Che una vera mariologia non è un optional di lusso per la Chiesa, prezioso ma facoltativo; è invece la strada necessaria per conoscere realmente il Figlio e andare a Lui. Non parliamo di una necessità assoluta, perché certamente Dio poteva agire in modo diverso, ma di una necessità di fatto: posto questo ordine della Creazione e della Redenzione, la sua mediazione, la sua cooperazione alla Redenzione sono necessari.