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FILIPPINE

Marawi: padre Chito è libero dai suoi rapitori jihadisti

Almeno una buona notizia da Marawi, la città filippina tenuta in ostaggio dai jihadisti: padre Chito, rapito il 23 maggio, è stato liberato dall'esercito. La brutta notizia, però, è che la battaglia con gli jihadisti continua. E la città, ormai, è distrutta e "sembra Aleppo".

Esteri 19_09_2017
Padre Chito

Sono finiti quattro mesi di incubo per padre Teresito “Chito” Suganob, vicario generale della prelatura di Santa Maria Ausiliatrice a Marawi (sull’isola di Mindanao, Filippine) e cappellano dell'Università Statale di Mindanao. Il 23 maggio scorso, per vendicarsi del (mancato) arresto di Isnilon Hapilon, auto-proclamato Emiro del Sudest Asiatico, il Maute, gruppo jihadista affiliato allo Stato Islamico, prendeva il controllo della città di Marawi. La cattedrale di Santa Maria Ausiliatrice era uno dei primi edifici ad essere presi di mira. Padre Chito vi sta tenendo la messa, quando la chiesa viene presa d’assalto e profanata. Sia lui che altre quattordici persone (due impiegate della parrocchia e dodici fedeli) vengono catturati e tenuti in ostaggio dai terroristi.

Secondo quanto afferma il consigliere presidenziale per la pace, Jesus Dureza, padre Chito è stato tratto in salvo dai militari vicino alla moschea di Bato, una delle roccaforti dei Maute. Insieme a lui è stato liberato un secondo ostaggio che le autorità hanno identificato, ma di cui non vogliono rivelare il nome (forse è Lordvin Ocopio, insegnante, secondo fonti militari non confermate). Dunque non c’è stata alcuna trattativa con lo Stato Islamico, nessun pagamento di riscatto e nessuno scambio di prigionieri. A fine giugno, un mese dopo il rapimento, uno dei leader jihadisti, Abdullah Maute, aveva proposto uno scambio, in effetti: il sacerdote in cambio dei suoi parenti, arrestati dalla polizia filippina. La Chiesa filippina, per bocca del vescovo di Marawi, Edwin de la Peña, aveva detto di volersi astenere da ogni trattativa: la decisione se negoziare o meno sarebbe spettata solo al governo, diceva allora il prelato. Anche il gruppo separatista musulmano Milf, che alla lotta armata ha fatto prevalere la via del dialogo con il governo, a giugno aveva lanciato un appello per la liberazione del prete cattolico e gli altri ostaggi, quasi tutti cristiani. Ma l’appello è finito nel vuoto E’ dunque prevalsa, per necessità, se non altro, la linea dura di Duterte, che intende liberare la città di Marawi con metodi militari.

Secondo il colonnello colonnello Edgard Arevalo, dell’esercito regolare filippino, la liberazione del sacerdote e dell’altro ostaggio tuttora sconosciuto è costata molto cara. “Sono state necessarie cinque ore di duri scontri prima che le forze governative sconfiggessero i terroristi, che si erano strategicamente posizionati nei dintorni della moschea del Jimf” (acronimo di Amaitul Islamiya Marawi Foundation, ndr). L’esercito aveva paventato la possibilità di bombardare, invece che assediare, le moschee di Bato e del Jimf, trattando gli ostaggi, palesemente usati come ostaggi, come meri danni collaterali. Fortunatamente questa voce che era girata parecchio nei media nazionali e internazionali e aveva provocato gravi preoccupazioni fra i parenti e gli amici degli ostaggi, si è rivelata infondata alla prova dei fatti. I militari hanno infatti condotto un’operazione “chirurgica”, uccidendo i terroristi con un attacco di forze speciali e liberando gli ostaggi nelle loro mani.

Certo è che l’operazione di liberazione di padre Chito è solo l’ultimo episodio in ordine di tempo di una battaglia ferocissima che sta durando da quattro mesi e che ha ridotto la città filippina “come Aleppo”, come riferisce il suo vescovo de la Peña. Lo scontro a Marawi è un sintomo grave, di come una regione fino a quel momento immune dal jihadismo (anche se non pacifica) possa trasformarsi in un angolo di inferno mediorientale. E quanto poco basti per farlo. Marawi non è stata attaccata da un esercito in armi, ma da nuclei di jihadisti armati, il cui numero è tuttora un mistero, ma nell’ordine delle centinaia. L’esercito regolare afferma di averne uccisi 670, in questi quattro mesi, subendo 147 perdite fra i governativi e almeno 47 fra i civili. E’ la dimostrazione di come l’ideologia del Califfato alligni anche in territori molto remoti dal suo epicentro e riesca a fare reclute. Uomini che poi diventano bombe umane e che sono in grado di tenere in ostaggio una città intera, per mesi, lasciandola in macerie. Alle autorità che già stanno programmando la ricostruzione, la Chiesa si impegna per affiancare una ricostruzione umana, di un tessuto sociale lacerato. Il terrorismo “Distrugge l’armonia fra le persone di diverse religioni”, come spiega monsignor Quevedo, arcivescovo di Cotabato, perché “crea un mondo di sospetto e pregiudizio, di odio e ostilità”.