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CONTINENTE NERO

Mal d'Africa: allarme per il virus Zika nelle Americhe

Dopo che Ebola è stata debellata, un'altra epidemia sta allarmando il mondo. Si tratta di un virus, Zika, che, come Ebola, prende il nome da una località africana: la foresta di Zika, in Uganda, dove è stato individuato per la prima volta. Ora ha contagiato mezzo milione di persone in tutta l'America del Sud.

Esteri 29_01_2016
La zanzara portatrice del virus

L’Organizzazione mondiale della sanità ha appena annunciato la fine dell’epidemia di Ebola in Africa occidentale e già si profila una nuova emergenza sanitaria mondiale. Si tratta di un virus, Zika, che, come Ebola, prende il nome da una località africana: la foresta di Zika, in Uganda, dove è stato individuato per la prima volta in una comunità di scimmie, nel 1947.

Il virus viene trasmesso dalla zanzara Aedes aegypti che è anche vettore della dengue e della febbre gialla, e dalla Aedes albopictus, la zanzara tigre. Il primo caso umano è stato registrato in Nigeria nel 1954. Da allora il virus è comparso più volte in Africa e nel sudest asiatico, ma provocando solo piccole epidemie circoscritte che non hanno destato allarme anche perché, a differenza di Ebola, la malattia non è mortale. I suoi sintomi sono simili a quelli della dengue, ma meno gravi: qualche giorno con un po’ di febbre, dolori articolari, eruzioni cutanee, occhi infiammati. Solo in rari casi si verificano complicazioni che interessano il sistema nervoso. In realtà la maggior parte delle persone contagiate non presenta sintomi di alcun genere. 

Ma, nel 2014, Zika è comparso in Cile e nel 2015 in altri 20 stati dell’America Latina e dei Caraibi. Da allora ha infettato forse due milioni di persone e più ancora. Solo in Brasile il ministero della Sanità stima che nel 2015 i contagi siano stati quasi mezzo milione, distribuiti in 14 dei 26 stati della federazione. Ma potrebbero essere stati moltissimi di più, anche il triplo, tenendo conto dei numerosi casi asintomatici. 

Già questa esplosione della malattia basterebbe a giustificare l’allarme lanciato dall’Oms che il 21 ottobre 2015 in un comunicato raccomandava a tutti i governi, non solo americani, di attivarsi per meglio individuare i casi, preparare i sistemi sanitari nazionali a sostenere un eventuale onere addizionale di spese e organizzativo e, nei paesi in cui sono presenti, mettere a punto rapidamente piani di intervento per eliminare le zanzare responsabili della trasmissione della malattia. Ma c’è di più. Con il diffondersi del virus è stata individuata una correlazione tra Zika e microcefalia, una malformazione del cranio che può comportare ritardi nello sviluppo e danni cerebrali. Si sospetta dunque che il virus, se contratto da donne incinte, possa infettare il feto e provocare la microcefalia. Proprio il fatto di essere per lo più asintomatico aumenterebbe il rischio che dei bambini vengano infettati prima di nascere. In Brasile dallo scorso ottobre a oggi si sono avuti quasi 4.000 casi di neonati affetti da microcefalia, mentre in tutto il 2014 erano stati meno di 150. In un solo ospedale si è passati dalla media di cinque casi all’anno ai 300 degli ultimi sei mesi.  

Il 28 gennaio l’Oms ha diramato un comunicato in cui si afferma che nel 2016 da tre a quattro milioni di persone potrebbero contrarre il virus Zika nelle sole Americhe. Il direttore generale Margaret Chan ha quindi istituito una commissione di esperti che il 1° febbraio deciderà se è il caso di dichiarare lo stato di emergenza mondiale. 

Il fatto che Zika induca la microcefalia nei feti non è ancora dimostrato. Forse l’allarme è eccessivo. Ma questa volta l’Oms non vuole ripetere l’errore fatale commesso nel 2014 quando ha tardato mesi a riconoscere che in Africa occidentale fosse in atto un’epidemia di Ebola, rivelatasi la peggiore mai verificatasi da quando la malattia è stata scoperta: più di 11.000 i morti. I primi casi erano stati denunciati alla fine del 2013, ma solo nell’agosto del 2014 l’Oms ha attivato lo stato di emergenza. Se lo avesse fatto prima, molte vite umane si sarebbero potute salvare. 

Per la lentezza con cui si è mossa, l’Oms ha contribuito a rendere elevato il bilancio delle vittime di Ebola. Ma, a onor del vero, Ebola e tutte le crisi sanitarie che colpiscono Africa, Asia e America Latina e talvolta si estendono al mondo intero hanno origine da fattori che in gran parte sfuggono al controllo dell’Oms: condizioni di vita, abitative e di lavoro insalubri, sistemi sanitari carenti o del tutto inadeguati, incapaci di individuare, diagnosticare e prevenire le malattie, popolazioni impreparate, prive delle nozioni igieniche necessarie, se non addirittura propense a ricorrere ad amuleti e stregoni per proteggersi dal contagio. 

A novembre l’Oms ha festeggiato uno straordinario successo nella lotta alle malattie: la scomparsa della meningite, nei paesi africani più colpiti da questa malattia, grazie un formidabile sforzo internazionale che ha consentito la vaccinazione di 220 milioni di persone in 16 stati. Dagli oltre 250.000 casi e 25.000 morti del 1997 si è scesi a quattro casi soltanto nel 2013. “Non bisogna abbassare la guardia – l’Oms ammoniva i governi africani – la malattia può ripresentarsi”. Già quest’anno, a gennaio, la meningite è ricomparsa in Ghana dove una nuova epidemia ha finora  ucciso 32 persone in cinque diverse regioni. 

Il 14 gennaio l’Oms ha annunciato la fine di Ebola in Africa occidentale. Appena poche ore dopo in Sierra Leone veniva individuato un nuovo caso, seguito da un altro pochi giorni dopo.