Magistero e realtà dei fatti: il dovere di fare chiarezza
Risulta sconcertante l'abisso tra il vigore posto a difesa del magistero autentico ordinario, fallibile, dell'attuale pontefice, a cui spetta "un assenso religioso della volontà e dello spirito", e la messa in discussione fino all'aperta contestazione riservata al magistero ordinario universale, quasi non si sapesse che esso va creduto infallibile. Misteri del maanchismo teologico e bioetico.
Letizia Zuffellato è un'infermiera che lavora al Great Ormond Street Hospital (GOSH), l'ospedale dov'è ricoverato Charles Gard e che si oppone al desiderio dei genitori di tentare la strada della terapia sperimentale mediante bypass nucleosidico e ai cui medici i giudici hanno affidato la tutela legale in vista dell'attuazione di quel migliore interesse del bambino da essi individuato con la morte per asfissia mediante rimozione del sostegno ventilatorio.
Letizia Zuffellato ha scritto una lettera pubblicata su Sussidiario.net. Nella sua lettera l'infermiera italiana in servizio al GOSH svolge una difesa della competenza dei sanitari dell'ospedale inglese descrivendo in questi termini la posizione dei medici di Charlie: "Alcuni mesi fa i medici si sono accorti che non c'era più niente da fare, che nessun trattamento, neanche quello proposto in America, sarebbe servito per cambiare la situazione che stava già degenerando: hanno dunque proposto le cure palliative, per accompagnare Charlie alla morte secondo i suoi tempi e i tempi necessari ai genitori per trovare il coraggio di lasciarlo andare".
Questo mi pare un modo non corretto di presentare i fatti. Se è pacifico che per i medici del GOSH non ci sia più nulla da fare, è tuttavia inaccettabile confondere la rimozione dei sostegni vitali che essi intendono attuare, cioè l'eutanasia di Charlie, con la somministrazione di cure palliative descritta dall'infermiera. Opporsi davanti ai giudici al tentare il protocollo sperimentale mediante by-pass nucleosidico significa opporsi alla somministrazione per via iniettiva di molecole dimostratesi prive di tossicità in altri casi.
Tale opposizione appare un'ostinata e piccosa difesa di una posizione per la difesa del proprio prestigio professionale, più che una posizione ragionevole e scientifica. Da tale terapia sperimentale che cosa temono i medici che potrebbe succedere mai di così più deleterio per Charlie di quella morte che loro hanno apparecchiato mediante rimozione della ventilazione?
Letizia Zuffellato dice che la nostra vita dipende da Dio, che Egli se la riprenda è doloroso, ma è qualcosa che dobbiamo accettare. Se non posso che concordare sul punto, quello che sembra sfuggire è però che qui non si sta discutendo di questo, ma della decisione dei medici inglesi, in uno scenario oggettivamente drammatico, di mettere un fermo a tentare di risalire la china e dare una spintarella affinché la conclusione giunga alla sua conclusione biologica.
Qui colgo l'occasione per rispondere a chi confonde la mia opposizione all'eutanasia di Charlie con un fanatico vitalismo in cui non mi riconosco affatto. Un collega, convinto che la ventilazione sia per Charlie un trattamento sproporzionato, mi ha rivolto questa sfida: "Se il bimbo, per ipotesi, avesse un ulteriore aggravamento respiratorio per cui la ventilazione meccanica non fosse più sufficiente, lo candiderebbe a un ECMO (Ossigenazione Extracorporea a Membrana, n.d.r.) e magari ad un trapianto polmonare o lo lascerebbe morire? Se i genitori lo volessero, ma lei glielo rifiutasse, non la riterrebbe, al pari della rimozione del supporto ventilatorio una sorta di eutanasia omissiva, visto che esiste una terapia salvavita specifica? Io non lo farei e sarei eticamente sereno perché questa sarebbe una terapia sì volta a tutelare la vita, ma totalmente sproporzionata. Lascerei quindi morire il paziente con tutto il supporto palliativo possibile, per evitargli un accanimento terapeutico".
Sembrerebbe che l'argomento fosse capace di mettere la mia posizione di fronte a due alternative entrambe perdenti: se ammetto la rinuncia ad ECMO e trapianto polmonare a Charlie, allora devo ammettere la rinuncia anche alla ventilazione, in quanto entrambi trattamenti salvavita, e dunque sono disposto in certi casi all'eutanasia omissiva, oppure devo accettare che la rimozione della ventilazione non è un'eutanasia.
Se d'altra parte affermo di essere favorevole a ECMO/trapianto, allora risulta evidente che abbraccio l'accanimento terapeutico pur di preservare la vita, dunque sono un vitalista. Abile mossa, ma a mio avviso inefficace. Non ho avuto alcun problema ad elencare una serie di situazioni in cui la ventilazione può costituire una terapia sproporzionata, tuttavia ho negato che vi siano evidenze che essa sia sproporzionata nel caso di Charlie.
L'ECMO è un trattamento temporaneo per sostenere lo scambio dei gas respiratori in presenza di una disfunzione acuta gravissima potenzialmente reversibile (esempio polmonite, asma). Esso può essere un provvedimento ponte in attesa di trapianto, ma Charlie, data la patologia di base e le precarie condizioni, che secondo i medici non consentono neppure il trasferimento ad un altro ospedale, non è un paziente candidabile a trapianto, dunque l'analogia di ECMO/trapianto con la ventilazione nel caso di Charlie è totalmente fallace, indebita e fuorviante.
A conferma della bontà del mantenimento della ventilazione nel caso di Charlie, posso invece citare due articoli pubblicati sul numero di maggio dell'autorevole rivista scientifica di pneumologia Chest. Si tratta di un confronto tra la migliore opzione tra ventilazione non invasiva e invasiva con tracheostomia nei bambini con atrofia muscolo-spinale di tipo 1. Nessuno dei due autori ha dubitato dell'eticità del trattamento ventilatorio prolungato in questi casi in cui anzi la ventilazione è trattamento standard, nonostante essa non impedisca la progressione della malattia, l'insorgenza di complicanze e la morte, che nella maggioranza dei casi interviene entro i primi due anni di vita. Cosa giustifica un doppio standard, la ventilazione prolungata a questi bambini sì e a Charlie no?
Letizia Zuffellato dice che tutte le parti in causa, genitori, medici e giudici, hanno agito secondo la propria coscienza. Questa considerazione, che peraltro nessuno ha mai messo in dubbio, evidenzia bene le terribili conseguenze della distorsione della coscienza in chiave soggettivistica: ogni scelta morale è buona, o quanto meno da rispettare, in quanto prodotto della coscienza. Ne ho già parlato in passato sulla NBQ criticando alcune esternazioni del vescovo di Chicago Blaise J. Cupich, successivamente elevato alla porpora cardinalizia.
Quando il dottor Karl Brandt, il medico personale di Hitler, si recò a visitare il piccolo Gerhard Kretschmar, si trovò davanti un bambino di 5 mesi, cieco, apparentemente idiota, senza una gamba e parte di un braccio. Quella situazione gli sembrò senza alcuna speranza, con una qualità della vita inaccettabile secondo gli standard del tempo e del luogo, dunque aiutò la biologia di quel bambino che mai avrebbe raggiunto l'autonomizzazione (standard evocato per rimuovere i sostegni vitali a Charlie) somministrandogli dei barbiturici. Non mi sento di escludere che un'ipotetica infermiera assistente del dottor Brandt avrebbe potuto scrivere una lettera in difesa della coscienza del medico tedesco.
Una tale interpretazione della coscienza la radica non più nella verità, ma nella sincerità morale, essa conduce a giustificare ogni azione, se sinceramente chi la commette è convinto della sua bontà. La grande enciclica Veritatis splendor chiarisce questi aspetti (Vs 54-64), ma questa stessa enciclica costituisce una fastidiosa pietra d'inciampo per i rivoluzionari innovatori della teologia morale oggi alacremente al lavoro. Duole dovere registrare che in molti di questi la difesa dell'assenso dovuto agli ultimi pronunciamenti magisteriali subisce un pressoché totale smarrimento quando si tratta di difendere l'assenso dovuto al magistero di Humanae vitae, Evangelium vitae, Familiaris consortio, Veritatis splendor ed in generale al magistero ordinario universale in materia morale.
Risulta sconcertante l'abisso tra il vigore posto a difesa del magistero autentico ordinario, fallibile, dell'attuale pontefice, a cui spetta "un assenso religioso della volontà e dello spirito", e la messa in discussione fino all'aperta contestazione riservata da queste stesse persone, laiche o consacrate, al magistero ordinario universale, quasi non sapessero che esso va creduto infallibile "con fede divina e cattolica", come stabilito dal Concilio Vaticano I. Misteri del maanchismo teologico e bioetico.