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IL BELLO DELLA LITURGIA

Madonna Sistina, la più bella immagine che abbiamo di Maria

La Madonna Sistina di Raffaello è, a detta di molti, l’immagine più bella che ci sia mai stata consegnata della Santissima Madre di Dio. E’ una vera e propria epifania quella che l’Urbinate ci offre. Nei secoli gli uomini hanno contemplato questo quadro che se per gli storici dell’arte rappresenta il vertice della produzione artistica di Raffaello, per tanti uomini, letterati, filosofi poeti, ha segnato l’incontro con una bellezza commovente.

Cultura 02_01_2021

Raffaello Sanzio, Madonna Sistina, Dresda - Gemäldegalerie

“Salve, Madre Santa: tu hai dato alla luce il Re che governa il cielo e la terra per i secoli in eterno.” Antifona d’ingresso solennità Maria Santissima Madre di Dio

Nessuno ha mai trattato il soggetto della Vergine con il Bambino, tema tra i più diffusi nel Rinascimento, quanto e come fece Raffaello che realizzò più di una trentina di versioni, tutte di eccelsa qualità. La sua Madonna Sistina è, a detta di molti, l’immagine più bella che ci sia mai stata consegnata della Santissima Madre di Dio: la grande tela, che oggi si trova a Dresda, secondo Vasari fu commissionata dal pontefice Giulio II per il convento benedettino di San Sisto in quel di Piacenza sul cui altare, effettivamente, rimase per più di duecento anni.

E’ una vera e propria epifania quella che l’Urbinate ci offre. Sullo sfondo di un cielo rischiarato dal cumulo di bianche nuvole che, guardando attentamente, si confondono con una miriade di teste di cherubini, Maria avanza oltre il limite della tenda verde che si apre al Suo passaggio. Porta nel mondo il frutto del Suo Grembo, il Bambino Gesù, che stringe in un tenero e saldo abbraccio. Appare come una giovane donna, priva di aureola, così umana, dunque, e, allo stesso tempo, così piena di Grazia. Un vento leggero ne rigonfia il velo e muove il panneggio della veste, accompagnando, come fosse lo Spirito di Dio, il Suo sicuro incedere.

Ci guarda Maria e dritto negli occhi ci guarda anche Gesù, i biondi capelli scompigliati, le sopracciglia leggermente inarcate e la bocca chiusa in un’espressione tesa a significare la consapevolezza della dolorosa condizione umana che, incarnandosi, ha scelto di condividere con noi. Ci viene incontro, accolto da due figure di Santi venerati nella chiesa piacentina.

Sulla sinistra, Papa Sisto II, morto durante le persecuzioni dell’imperatore Diocleziano, è ritratto in piedi, in contemplazione, la tiara dorata appoggiata ai suoi piedi; sulla destra, Santa Barbara, alle cui spalle compare la torre simbolo del suo martirio, è inginocchiata sopra il manto di nuvole, lo sguardo dolcissimo rivolto umilmente verso il basso. I due celebri angioletti, appoggiati alla cornice del dipinto, completano la geometria della perfetta invenzione compositiva.

Diverse generazioni – dodici secondo Vasilij Grosmann, “la quinta parte del genere umano che ha vissuto sulla terra dall’inizio della nostra era a oggi»  - hanno contemplato questo quadro che se per gli storici dell’arte rappresenta il vertice della produzione artistica di Raffaello, per tanti uomini, letterati, filosofi poeti, ha segnato l’incontro con una bellezza commuovente.

Dio che si fa uomo, infatti, citando l’Evangelii Gaudium, è rivelazione dell’infinita Bellezza, e noi, come dice sant’Agostino, non amiamo se non ciò che è bello.