Macron dà ai signor nessuno l'onore di legiferare sul clima
Il 4 ottobre è stata inaugurata in Francia la “Convenzione nazionale sul clima”, una iniziativa fortemente voluta dal presidente Emmanuel Macron. 150 cittadini estratti a sorte dovranno dettare le regole su come combattere il global warming, con misure che verranno tradotte in legge. Con o senza il voto parlamentare. Tanto "uno vale uno"?
Il 4 ottobre è stata inaugurata in Francia la “Convenzione nazionale sul clima”, una iniziativa fortemente voluta dal presidente Emmanuel Macron, uno dei leader mondiali convinti che la temperatura del pianeta aumenta e continuerà ad aumentare, con conseguenze devastanti, ma che l’uomo può e deve impedirlo perché è lui con il suo comportamento a esserne responsabile.
L’origine antropica del cambiamento climatico odierno, in realtà, allo stato attuale è una congettura, la comunità scientifica è divisa e, anzi, sempre più sono le voci autorevoli che reclamano attenzione ed esortano proprio i capi di Stato e di governo a non intraprendere politiche economiche e sociali avventate volte a fare della lotta al global warming una priorità. Appare dunque quanto meno discutibile, affrettato, convocare addirittura una convenzione nazionale, impegnare tante persone per mesi, sotto l’influenza dell’Ipcc, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico fondato dalle Nazioni Unite nel 1988, che si fa sempre più pressante, accorcia di conferenza in conferenza il margine di tempo, secondo i suoi esperti rimasto, per evitare la catastrofe.
Sta di fatto che per sei fine settimana in Francia 150 persone si troveranno per discutere, riflettere e alla fine proporre dei progetti che consentano alla nazione di lottare contro il riscaldamento globale antropico. Divisi in gruppi di lavoro, i partecipanti affronteranno, a ogni incontro della durata di tre giorni (da venerdì a domenica), cinque diversi aspetti della transizione ecologica: trasporti, alimentazione, produzione e lavoro, abitazioni e consumi.
Durante il primo fine settimana, tra le persone che hanno risposto alla chiamata del presidente Macron era palpabile l’ansia mista a eccitazione per la responsabilità di cui sono stati investiti. Qualcuno si è detto fin da ora preoccupato per le reazioni dei connazionali nei loro confronti a causa delle decisioni per forza impopolari che verranno prese al termine della Convenzione. Altri temono piuttosto che in sostanza il governo voglia servirsi di loro per far passare una carbon tax, renderla legittima e accettabile agli occhi dei francesi. C’è anche un certo scetticismo sulla possibilità di costringere le grandi imprese ad adottare nuove disposizioni onerose. La presenza incoraggiante del ministro della transizione ecologica, Elisabeth Borne, non basta a fugare le perplessità: “tutte le soluzioni – ha detto uno dei partecipanti, incluso nel gruppo di lavoro sui trasporti – in realtà sono già state messe sul tavolo, però manca la volontà politica di attuarle”.
Ma chi sono le 150 persone convocate? Sicuramente si tratterà di esperti, scienziati e tecnici di provata competenza, forse neanche tutti francesi. Niente affatto. Sono 150 cittadini francesi estratti a sorte, selezionati tra 250.000 persone titolari di recapiti telefonici, individuati automaticamente (85% numeri di cellulare, 15% di telefoni fissi): “cittadini che formano una Francia in miniatura” spiega Thierry Pech, copresidente del comitato organizzatore della Conferenza, perché vi sono rappresentate tutte le categorie e le suddivisioni del paese: 51% donne, 49% uomini divisi in gruppi d’età; 26% senza diploma, 21% con titolo di studio superiore al liceo, 13% studenti; 27% pensionati, 10% operai, 18% disoccupati, 9% quadri superiori; rappresentanti di tutti i dipartimenti del paese inclusi i territori d’oltremare, 62% residenti in centri urbani, 20% residenti nell’Ile-de-France, la regione in cui si trova Parigi.
“Le proposte che emaneranno dalla Convenzione dei cittadini – spiega il governo – saranno sottoposte sia al voto del Parlamento sia a referendum popolare oppure saranno tradotte direttamente in misure normative. A tal fine, i cittadini dovranno formulare delle proposte precise, sotto forma di progetti di disposizioni legislative o normative”.
Dunque il paese dell’“égalité”, affidando il proprio futuro ai suoi “citoyens”, si fa assertore dell’irrilevanza, dell’inutilità della scienza, in nome di un malinteso principio di parità che darebbe a tutti il diritto e a tutti riconoscerebbe la capacità non di esprimere opinioni, cosa ovviamente legittima, ma di decidere come affrontare un fenomeno, anche senza conoscerlo se non eventualmente nei suoi effetti, senza una preparazione specifica, prescindendo da analisi, esperimenti, indagini, verifiche, ipotesi. A questo hanno contribuito i mass media con i loro talk show nei quali chiunque purché abbia qualche notorietà può contestare le affermazioni di un ricercatore con decenni di studi e ricerche alle spalle, togliergli la parola riscuotendo applausi. Ma la contestazione del “sapere” è iniziata tanto tempo prima, con il '68, il maggio francese, il rifiuto dell’autorità dei docenti e dei loro insegnamenti, i seminari autogestiti, gli esami di gruppo e il 30 politico, il preteso superamento della distinzione tra lavoro manuale e intellettuale, l’immaginazione al potere.
Fare a meno della scienza serve al capriccio infantile di prescindere dai fatti, falsarli, ignorare la realtà se non asseconda i nostri desideri; e dispiega il potere delle ideologie: “tanto peggio per i fatti se non si accordano alla teoria”...
“Tutto sarà negato. Tutto diventerà un credo – scrisse Gilbert Keith Chesterton – Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate”. Che due più due faccia quattro oppure no oggi non importa quasi più a nessuno e le spade vanno sguainate per dimostrare, non che le foglie sono verdi, ma che sono davvero foglie.