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NORMA DI CIVILTà

Macché libertà: la legge magiara sfida pedofilia e porno

Nessuno di coloro che hanno contestato la legge ungherese sull'infanzia ha letto una sola parola del testo normativo. La Bussola l'ha letta e ha scoperto che vuole combattere la pedofilia, la pornografia tra i giovani e le incursioni ideologiche contro i bambini. Cosa, quest'ultima, che invece il Ddl Zan si propone di fare. 

Editoriali 19_06_2021

In Europa ogni volta che uno dei Paesi appartenenti al cosiddetto “Gruppo di Visegrád” legifera in materie ritenute “sensibili” dalla dittatura del politically correct, scatta immediatamente, come una sorta di riflesso pavloviano, la condanna da parte del cosiddetto mondo civile, a prescindere.

Un atteggiamento che rievoca il “trinariciutismo” del grande e insuperabile Giovannino Guareschi.

È capitato, ça va sans dire, alla povera Ungheria in merito all’ultima legge approvata il 15 giugno 2021 dal Parlamento magiaro con 157 voti a favore e un solo contrario. Scontata la condanna delle note organizzazioni a tutela dei “diritti umani”, come Amnesty International, e Human Rights Watch, cui si è aggiunta addirittura la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, dichiaratasi «molto preoccupata», tanto da correre subito ad annunciare che provvederà ad un’attenta verifica della compatibilità della legge magiara rispetto alla normativa UE.    

In Italia si sono aggregati alla condanna corale oltre ai soliti giornali di regime, anche la consueta gamma sinistroide fatta di radical-chic, cattocomunisti, liberali gay-friendly, artisti vari, intellettuali à la page e tutto il variopinto mondo dell’arcipelago omosessualista.

Il dato interessante è che nessuno di costoro ha letto una sola parola della tanto vituperata legge. È il classico schema del pregiudizio che conosciamo da anni. Quello, tanto per intenderci, che ha spinto politici, intellettuali, giornalisti, attori, cantanti, influencer vari, a difendere a spada tratta il ddl Zan, senza avere la benché minima idea del suo contenuto, per il semplice motivo di non averlo mai letto.

Ma torniamo al caso ungherese.

Noi che apparteniamo alla tradizione di chi si ostina ad usare rettamente la ragione, di chi non vuole rinunciare alla capacità critica di giudizio, di chi rifiuta il paraocchi imposto dal Potere e di chi non intende portare il cervello all’ammasso, abbiamo voluto leggere con i nostri occhi il testo approvato dal parlamento magiaro. E l’abbiamo trovato assolutamente condivisibile fin dallo stesso titolo recante l’oggetto della legge, ossia «l’inasprimento delle misure necessarie a combattere la pedofilia» e la «modifica di alcune leggi in materia di protezione dei minori».

Il testo normativo contiene varie disposizioni, anche di natura operativa, volte proprio ad arginare e contrastare il deprecabile fenomeno degli “orchi”, disposizioni che non solo appaiono assolutamente condivisibili, ma che dovrebbero essere adottate anche nel nostro ordinamento giuridico. Sarebbe davvero surreale che i detrattori della legge magiara contestassero i citati provvedimenti in essa contemplati contro la pedofilia. A meno che non si fosse in presenza dei soliti rigurgiti a favore di tale perversione, secondo i quali la stessa pedofilia non sarebbe altro che un orientamento sessuale come gli altri. I fautori di tale follia, com’è noto, da tempo parlano di “amore intergenerazionale”, secondo lo schema che è proprio della neolingua orwelliana. I lettori della Nuova Bussola Quotidiana non dovrebbero meravigliarsi, perché sono anni che il fenomeno è denunciato dalle pagine di questo giornale.
La tanto contestata legge ungherese tocca, poi, il tema della tutela dei bambini, considerando come «obbligatorio per lo Stato il compito di stabilire norme che tutelino lo sviluppo fisico, mentale e morale dei minori, e la protezione della loro identità biologica acquisita al momento della nascita».

Proprio in virtù di tale compito, il parlamento magiaro ha ritenuto di proibire il fatto di «mettere a disposizione di minori di diciotto anni materiale pornografico e contenuti che raffigurino la sessualità in maniera decontestualizzata, o che promuovono la deviazione dall’identità di genere, la riassegnazione di genere e l’omosessualità». Stessa cosa per la réclame: «È vietata ogni forma di pubblicità che raffiguri la sessualità in maniera decontestualizzata, o che promuova la deviazione dall’identità di genere, la riassegnazione del genere e l’omosessualità».

Questa sacrosanta norma, come si legge nel testo approvato dal parlamento ungherese, nasce dall’ineccepibile considerazione che «alcuni contenuti debbano essere messi a disposizione dei bambini solo in un momento appropriato alla loro età, per il loro sano sviluppo mentale e spirituale». «Questo perché – continua il testo – ci sono contenuti che il bambino, da un certo punto di vista, può fraintendere, o che possono influenzare negativamente il suo sviluppo ad una determinata età, o semplicemente di cui il bambino non sa cosa farne, ma che rischiano di pregiudicare il suo sviluppo sotto il profilo morale».

Un altro aspetto particolarmente interessante nella legge magiara è quello relativo alle «credenziali professionali» di coloro che hanno a che fare con i minori. Questa è la norma che più ha fatto infuriare le organizzazioni omosessualiste e ha generato la canea cui stiamo assistendo.

La legge, da questo punto di vista, è assolutamente chiara e mira ad arginare il fenomeno di «rappresentanti di alcune organizzazioni che tentano di influenzare lo sviluppo sessuale dei bambini attraverso particolari progetti», come ad esempio quello denominato “Programma di sensibilizzazione contro la discriminazione” (Hátrányos megkülönböztetés elleni felvilágosító tevékenység keretében érzékenyítő programnak), il quale, in realtà, nasconde un progetto ideologico potenzialmente idoneo a «causare un disturbo nello sviluppo fisico, mentale e mentale dei minori».

I classici progetti-cavalli di Troia, che noi in Italia conosciamo molto bene. Ecco perché la legge approvata dal parlamento ungherese prevede espressamente l’esigenza di «garantire che la cura dei bambini sia limitata a persone o organizzazioni iscritte in un registro ufficiale e costantemente aggiornato».

Esattamente il contrario di quello che proporrebbe il ddl Zan attualmente in discussione al Senato che all’art.8 vorrebbe dare forza legale alla Strategia nazionale elaborata dall’ente governativo UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale), quella che prevede, tra le tante cose, anche l’«accreditamento delle associazioni LGBT, presso il MIUR, in qualità di enti di formazione».