Macché dimissioni, lei resta in trincea Parla l'infermiera che dice no alla pillola
É scesa in piazza con altri duecento amici dell’associazione “No 194” per chiedere l’abrogazione di una legge ingiusta e omicida. Ma soprattutto, per rassicurare che lei c'è e non si ritira dalla lotta pro life. Chiara Margherita Ulisse, l’infermiera di Voghera che ha fatto obiezione di coscienza alla pillola del giorno dopo e che per questo è stata costretta a dimettersi, è tornata in pubblico.
É scesa in piazza con altri duecento amici dell’associazione “No 194” per pregare per i bambini uccisi dall’olocausto abortivo e chiedere l’abrogazione dei una legge ingiusta e omicida. Ma soprattutto, per testimoniare e rassicurare che lei non si ritira dalla lotta pro life perché si fermi la strage degli innocenti e la “cultura dello scarto”. Chiara Margherita Ulisse, l’infermiera di Voghera che ha fatto obiezione di coscienza alla pillola del giorno dopo e per questo è stata costretta a dimettersi, è tornata in pubblico per la prima volta dopo il suo allontanamento, ospite del corteo che l’altro giorno ha sfilato per le vie del centro di Milano.
«Sono ancora in trincea», dice alla Nuova Bussola, «e non ho alcuna intenzione di abbandonare la battaglia. Sono ancora qui, a dispetto di quelli che vorrebbero sbarazzarsi di me e degli amici che lottano per difendere la vita e il diritto all'obiezione di coscienza contro una legge ingiusta e disumana». Le armi sono quelle della ragione e del pacifico dissenso. A Milano, l’associazione ha manifestato gioiosamente distribuendo coroncine di Nostra Signora di Guadalupe e libriccini con il “Rosario dei bimbi non nati”. Il loro obiettivo è raccogliere firme per un referendum abrogativo della legge 194, legge che ha reso l’aborto pratica contraccettiva e di massa. “Sei milioni di bambini abortiti, dieci milioni di embrioni congelati.Tutto fatto pagare ai cittadini per legge. Benvenuti nel Quarto Reich”, sta scritto su uno dei tanti cartelli esposti dai manifestanti che, anche a Milano, hanno dovuto subire l’assalto di femministe e centri sociali, tenuti a bada dalla polizia.
Chiara Margherita Ulisse è diventata subito la “guest star” della manifestazione, in molti sono andati a stringerle la mano, a manifestarle solidarietà dopo il linciaggio mediatico subito e il licenziamento, camuffato da dimissioni volontarie, da parte della Asl di Pavia. A farle da angelo custode e body guard, Giorgio Celsi, l’infermiere che ogni mercoledì da anni va davanti alla clinica Mangiagalli a distribuire volantini contro l’aborto. «L’associazione “No194” l’ha rintracciata per offrirle l’assistenza di un avvocato e lei ha accettato l’invito», rivela Celsi. «Abbiamo avuto l'onore di avere al nostro fianco Chiara Margherita: a lei diamo tutta la nostra solidarietà, la nostra stima e l'aiuto di cui avrà bisogno per portare avanti la libertà di esprimere il proprio pensiero e di lavorare con professionalità in scienza e coscienza».
Celsi, che è anche vicepresidente della “No 194”, pesa con prudenza le parole, ma non abbastanza per non far capire che il caso Ulisse è tutt’altro che chiuso. Anzi, l’annuncio che l’associazione le offrirà assistenza e supporto legale (il presidente di “No 194” è l’avvocato Pietro Guerini), lascia decisamente aperta l’ipotesi che quelle dimissioni saranno ritirate per cominciare la battaglia sul reintegro dell’infermiera in ospedale. Occasione sicuramente importante per portare alla pubblica attenzione il diritto, oggi calpestato, all’obiezione di coscienza da parte degli infermieri. Celsi non vuole spingersi oltre, troppo il clamore mediatico che la vicenda ha prodotto, ma una vittoria lui l’ha già ottenuta. Spiega: «Dopo le dimissioni di Maria Margherita, molti si sono interrogati se questo gesto rappresentasse una resa, una gesto di sfiducia. Oggi sappiamo che non è così, la sua presenza al corteo ha dissipato ogni dubbio: lei continuerà a battersi e noi l’aiuteremo su tutti i fronti». Anche quello legale contro la Asl? Celsi non vuole dire altro, ma mica è difficile immaginare che andrà a finire così.
La vicenda di Chiara Margherita Ulisse è nota: infermiera del Pronto soccorso dell’ospedale di Voghera, è stata triturata da giornali e Tv (soprattutto il Tg di RaiUno) per avere negato due volte l’accesso al reparto di ginecologia ad altrettante ragazze ventenni che volevano farsi prescrivere la cosiddetta “pillola del giorno dopo”. Il farmaco, cioè, che consente di evitare la gravidanza entro le 72 ore da un rapporto sessuale praticando: in sostanza, un aborto chimico. Nel rispetto delle regole del “triage del Pronto Soccorso”, secondo il quale le due ragazze non presentavano segni di emergenza o urgenza tali da rientrare in un codice “verde” o “bianco”, l’Infermiera ha cercato di prendersi cura delle due ragazze dialogando con loro per far prendere coscienza (primo passo per un consenso veramente informato) delle conseguenze della richiesta e di come agisce il farmaco richiesto. Tutto qui, quello che è stato e detto dopo è pura propaganda ideologica.
«Io quelle ragazze non le ho assolutamente minacciate», precisa la Ulisse, «ho cercato semplicemente di convincerle a salvare vite umane. Non c’entra essere cattolici, la mia decisione deriva unicamente da motivi di coscienza e non religiosi». Ed ecco come sono andate veramente le cose: «Le due ragazze sono venute al pronto soccorso e mi hanno chiesto la pillola. Io ho spiegato loro cosa comportava, che quel farmaco è abortivo e che c’era di mezzo la vita di un bambino. A quel punto se ne sono andate, senza insistere o chiedere di poter parlare con il ginecologo». Dunque, non sono state le ragazze a denunciarla? «Certo che no», incalza l’infermiera. Chi allora? La Ulisse non fa nomi, ma è chiaro che a riferire l’accaduto alla direzione sanitaria sono stati i colleghi. Si dice che siano stati la sua caposala e il medico di turno a segnalarla alla direzione per quel diniego alle due ventenni, anche se di questo non c’è conferma.
Dopo una rapidissima indagine interna, l’Asl di Pavia costringe la Ulisse a rassegnare le dimissioni. «Mi hanno convocato», racconta Chiara Margherita, «dicendomi che non potevo più stare al Pronto soccorso e che mi avrebbero trasferito in altro reparto. Mi sono rifiutata e ho ricordato di aver agito in base agli articoli 8 e 38 del nostro codice deontologico che in caso di conflitto etico, impegna l’infermiere a “trovare la soluzione attraverso il dialogo», autorizzandolo ad avvalersi dalla clausola di coscienza”. Dunque, avevo tutto il diritto di dire alle due ragazze le cose che ho detto. Ho pure detto che non accettavo nessun trasferimento e per tutta risposta sono stata minacciata di venire denunciata. Di fronte a questa prospettiva, ho preferito dare le dimissioni». Che, secondo contratto, saranno operative solo il 1 gennaio 2015. Dunque, che farà l’infermiera Ulisse? «Vedremo, valuterò insieme all’avvocato dell’associazione. Ma io a quel posto ho diritto e non mi fermerò certo qui…». Beh, più chiaro di così. E non si tratta solo della difesa del posto di lavoro, in gioco, precisa Chiara Margherita, ci sono diritti irrinunciabili, come l’obiezione di coscienza e il rispetto del codice deontologico. Lei è la prima infermiera in Italia ad aver reclamato questo diritto e ancora non riesce a capire perché sia stata sottoposta a tale linciaggio dai giornali. Tra l’altro, l’episodio delle due ragazze risale allo scorso mese di maggio. Qualcuno l’ha tenuto nascosto nel cassetto per cinque mesi, perché?
Un altro elemento che non torna, così come non si capisce perché l’infermiera non potesse appellarsi al codice deontologico e spiegare le conseguenze micidiali della pillola del giorno dopo. Non basta, infatti, la sostituzione del foglietto illustrativo, operata di recente dall’Aifa per cambiare il reale meccanismo d’azione del levonorgestrel (Norlevo) e per assicurare che non è abortivo. Né una delibera o una linea d’indirizzo regionale può annullare il diritto costituzionale di ogni operatore sanitario di agire sempre e comunque secondo scienza e coscienza. Il Norlevo (la pillola richiesta), infatti, agisce indifferentemente: da anticoncezionale se nell’utero materno, dopo il rapporto sessuale, l’ovulo non è ancora stato fecondato impedendo che ciò accada. E da abortivo uccidendo l’embrione qualora la fecondazione sia già avvenuta. Evidentemente, chi ha modificato il “bugiardino” del farmaco, togliendo l’avviso di “potenzialmente abortivo” forse intendeva che i suoi micidiali effetti di “topicida” fetale non si verificano se non c’è stato rapporto sessuale con conseguente fecondazione dell’ovulo. Ma allora, a che servirebbe? Grottesco escamotage: la verità è che questa pillola è semplicemente la versione chimica dell'aborto.
Il resto della storia è ancora da scrivere, e non è detto che i prossimi capitoli ripartano proprio dalla manifestazione di Milano e dal quel popolo amico che si batte per l’abrogazione della 194. Già per loro, l’infermiera di Voghera è diventata più celebre e amata della famosa casalinga e non è detto che dalla sua disgraziata vicenda possa nascere qualcosa di positivo e nuovo, che allarghi l’obiezione di coscienza anche agli infermieri o ai farmacisti che da tempo chiedono che medicinali come la pillola del giorno dopo vengano considerati abortivi, dunque oggetto di obiezione. L’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici, scesa subito in campo in solidarietà con Chiara Margherita Ulisse, ha scritto che «Se l’Italia è ancora al 18° posto nella classifica degli Stati europei con più alto tasso di violenza nei confronti delle donne una spiegazione forse ci sarà? Evidentemente i cosiddetti “nuovi diritti civili”, già totalmente realizzati negli altri Paese, rendono l’uomo più egoista e violento, perché hanno di fatto calpestato e distrutto il fondamento del rispetto dovuto ad ogni essere umano dal concepimento alla morte naturale, la sua dignità, reificandolo, rendendolo una merce che si può commissionare, comprare, vendere, esigere, scartare … uccidere con l’avallo della legge». Ecco perché l’infermiera di Voghera non può dimettersi.