L'ANALISI
Ma quanto ci costa questa burocrazia
Nonostante proclami e Ministeri ad hoc, aumenta lo spreco di tempo e risorse della farraginosa macchina amministrativa, soprattutto al Sud.
Attualità
15_06_2011
Il fatto è realmente accaduto: a vent’anni dalla morte di una persona, che quindici anni prima aveva fatto un ricorso, un organo amministrativo si degna di dare il suo parere. Sono occorsi trentacinque anni per dirimere una questione e la notifica la riceve il figlio del deceduto.
Questa è la forza della burocrazia. E’ come se questo potere – che segue le sue regole, complesse e misteriose - operasse senza conoscere la dimensione del tempo. Mentre, ai cittadini che subiscono questi comportamenti, il tempo viene sottratto. L’ha rilevato, di recente, uno studio della Confederazione Italiana Agricoltori, in base al quale ciascun italiano impiegherebbe in media oltre 300 ore all’anno – contro le 110 della Gran Bretagna, le 132 della Francia, le 196 della Germania e le 213 della Spagna - per effettuare le pratiche di scadenze e pagamenti, tra domande di pensione, dichiarazioni dei redditi e richieste di disoccupazione, riconoscimento dell’invalidità, certificati e permessi. Una cifra che aumenta se a sbrigare le pratiche burocratiche è un pensionato o uno straniero: in questo caso le ore diventano oltre 390 all’anno.
Economicamente, la burocrazia pesa per circa 70 miliardi di euro all'anno, con un’incidenza complessiva su imprese e famiglie pari al 4,5% del Pil. Un’enormità, soprattutto se si considera il dato medio annuale pro-capite: 1.200 euro per ogni cittadino.
Questo avviene in un contesto nel quale, lo riferisce la relazione annuale di Bankitalia, le retribuzioni reali (al netto dell'inflazione) dei dipendenti della pubblica amministrazione – che lavorano in media, grazie alla settimana di 36 ore prevista dai contratti, 266 ore meno dei dipendenti del settore privato, un monte ore che equivale a oltre 33 giorni in un anno - negli ultimi otto anni sono cresciute tre volte (22,47%) rispetto alla crescita media dei salari del settore privato (+6,8%).
Nonostante i “proclami” ed anche i Ministeri che vengono istituiti allo scopo – che concorrono solo ad ingrandire la “macchina infernale” - non si riesce ad offrire al Paese la riforma degli apparati burocratici dello Stato e della Pubblica Amministrazione, che nonostante la buona volontà della maggioranza dei suoi componenti, non opera perseguendo risultati ed obiettivi da raggiungere, ma attraverso formalismi, modalità e mancanza di certezza del diritto, che costituiscono l’humus nel quale alimenta il suo potere.
Sono molte le ragioni che hanno causato questo stato di cose, che ha una ricaduta negativa più palpabile e significativa soprattutto nell’area più degradata e sotto-sviluppata del Paese, il Mezzogiorno.
Nelle nazioni più evolute della nostra, l’impiego pubblico – che è considerato una risorsa per lo sviluppo - è patrimonio della collettività ed i suoi “attori” sono trattati con il rispetto che si deve a chi svolge un servizio, per conto dello Stato, nei confronti del cittadino.
Nel nostro Paese – dominato da una cultura illiberale, di stampo statalista, pervasiva e pericolosa - per decenni l’impiego pubblico è stato trattato in maniera strumentale rispetto agli interessi di questa o quella parte del potere, che ha usato in maniera equivoca e ambigua anche i posti da assegnare nelle pubbliche amministrazioni o nelle ASL o nelle centinaia e centinaia di Enti inutili, governati da scelte che nulla hanno a che fare con l’etica e con la meritocrazia.
Si è aggiunta – e questo è l’aspetto più inquietante - anche la responsabilità della cosiddetta società civile, del singoli individui, che dovrebbero formare, insieme, l’anima di una Nazione. Essi, divenendone complici, si sono uniformati ed adattati ad una situazione che ignora categorie quali la trasparenza, il merito, la valutazione delle perfomance, il ruolo dei dirigenti, le sanzioni disciplinari, la responsabilità.
Solo una politica praticata da persone credibili può porsi l’obiettivo di riformare se stessa, per essere legittimata a por mano alla riforma degli apparati burocratici: un compito indispensabile e prioritario per tentare di costruire uno Stato moderno e più civile.