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MEDIORIENTE

Ma quale democrazia d'Egitto

Il vero dopo Mubarak iniziera con un ultimo voto a fine maggio. Comunque vada, i Fratelli Musulmani vinceranno. In gioco è il sud del Mediterraneo.

Attualità 03_04_2012
Saad Katatni

 

I prossimi 23 e 24 maggio vedranno gli elettori egiziani tornare alle urne per l’ultima fase del lungo processo di transizione verso una tanto agognata democrazia che porterà alla elezione del vero successore di Hosni Mubarak.

Finora si è assistito al predominio incontestato e assoluto dei partiti islamisti. All’Assemblea del popolo, ovvero al Parlamento, i Fratelli Musulmani  con il Partito della Libertà e della Giustizia hanno conquistato 235 seggi corrispondenti al 47,2%, mentre i salafiti si sono assestati a 121 ovvero al 23,3%. In altre parole il 71,5% dei seggi è costituito da membri che credono nella shari'a e nella sua applicazione. In base a questi risultati Saad Katatni [nella foto], uno dei leader del Partito della libertà e Giustizia, è stato nominato presidente del Parlamento. Come se ciò non bastasse, lo scorso marzo lo stesso Katatni è stato nominato presidente dell’Assemblea costituente.

L’ascesa e l’occupazione di ruoli chiave sembrava essere destinata a fermarsi. D’altronde durante la campagna per le elezioni parlamentari i Fratelli musulmani avevano promesso e più volte ribadito che non avrebbero presentato alcun candidato alla presidenza del paese. Nel dicembre 2011 Mohamed Morsi, presidente del Partito della Libertà e della Giustizia aveva dichiarato al quotidiano Al Ahram che «il partito non avrebbe sostenuto alcun candidato presidente che avesse lasciato i Fratelli Musulmani anche se un tempo ne era stato un membro di spicco o anche se aveva idee simili a loro». Il riferimento non era casuale, era diretto a Abdel Moneim Abu al-Futuh che dopo la cosiddetta "rivoluzione del loto" aveva comunicato di volersi candidare. Ma chi conosce a fondo i Fratelli Musulmani sa bene che la loro parola, le loro promesse valgono solo nel momento in cui vengono pronunciate, valgono solo sino a quando sono necessarie e adatte al momento, oserei dire all’attimo fuggente. D’altronde la dissimulazione è parte integrante del loro modo di agire.

Ebbene, il primo aprile la Guida Suprema dei Fratelli Musulmani, Mohamed Badie, annuncia che il movimento ha scelto il proprio candidato presidente nella persona del suo vice, l’ingegner Khairat Saad Abd Al-Latif al-Shater. Il cambiamento di idea sarebbe scaturito, secondo le dichiarazioni di Mohamed Morsi e di Mohamed Badie, nel constatare l’incapacità del Parlamento in carica a raggiungere gli obiettivi della rivoluzione. Al-Shater non solo è il numero due del movimento, ma è anche un uomo d’affari, con molta probabilità uno dei principali finanziatori dello stesso. Una famiglia numerosa composta da una moglie ingegnere, con capo e viso velati, otto figlie, due figli e sedici nipoti.

Sembra che la candidatura non sia stata gradita da alcuni membri della Fratellanza, ciononostante si tratta di una mossa densa di significati diretti e indiretti. Si tratta di un atto che vuole indicare la propria presenza accanto agli altri candidati “islamici” quali il fuoriuscito Abu al-Futtuh e il salafita Abu Ismail. Alcuni analisti ritengono che si tratti di una mossa per spaccare il fronte islamico e favorire Amru Musa, l’ex segretario generale della Lega araba che non è certo un nemico della Fratellanza. Comunque sia la candidatura di al-Shater indica che i Fratelli musulmani sono e continueranno a influenzare la politica egiziana, sia interna che esterna.

È difficile prevedere chi sarà la persona che si trasferirà nel palazzo di Abidin il 30 giugno, ma di sicuro sarà una persona grata alla Fratellanza. Come prevede la legge sappiamo che sarà nato in Egitto, non avrà la doppia nazionalità, non sarà sposato a una straniera e avrà l’appoggio di 30 parlamentari o di 30mila votanti. Chiunque sia non cambierà l’articolo due della Costituzione che vuole la sharia fonte principale della legislazione e che sancisce la discriminazione religiosa tra i cittadini egiziani, chiunque sia non sarà un amico di Israele, e anche se manterrà inizialmente fede ai trattati internazionali, nulla vieta che a breve non cambierà opinione, chiunque sia intratterrà legami stretti con tutti i paesi investiti dall’ondata islamica della cosiddetta “primavera araba”, in modo particolare con la Tunisia dove gli islamisti dell’Assemblea costituente hanno per il momento soprasseduto all’inserimento della sharia nella costituzione, ma che agiranno dal basso per ottenerne l’inserimento magari tra una decina d’anni.

Solo alla fine del processo elettorale egiziano potremmo dire con certezza quale sarà il futuro non solo dell’Egitto, ma dell’intera sponda sud del Mediterraneo, ovvero se i Fratelli musulmani avranno stravinto oppure se almeno apparentemente rimarranno dietro le quinte, ma in ogni caso l’onda islamista partita dalla Tunisia non si arresterà al paese del Nilo che sarà la testata di ponte per la conquista del potere da parte della Fratellanza nel Golfo e nel Levante e forse anche oltre.