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LEGGENDE NERE

Ma il clima ideale è mai esistito?

Una articolo del Corriere della Sera,
pur tecnicamente pregevole, viene strumentalizzato per dire che la Chiesa è contro il progresso scientifico.

Attualità 03_04_2012
Metereologia

 

«La meteorologia è nata in Italia. La prima rete meteorologica del mondo è stata infatti realizzata dai Medici di Firenze nel 1654 […] I rilevatori erano di solito gesuiti e monaci benedettini. I dati venivano riportati in un diario e fatti pervenire a Firenze all’Accademia del Cimento. […] La rete venne chiusa nel 1667 per ragioni politiche, essendo considerata vicina a Galileo e alle sue pericolose idee che contraddicevano la Bibbia. Solo a Firenze e Vallombrosa si proseguì fino al 1670 quando il granduca mori».

Leggendo la frase estratta dall’articolo pubblicato dal Corriere delle Sera dal titolo Nel Seicento la temperatura era simile a oggi, risalta subito dall’incoerenza che,  un pur encomiabile lavoro storico-scientifico del Prof. Dario Camuffo, è strumentalizzato per propagandare la leggenda nera che semplicisticamente mostra sempre la Chiesa in blocco contraria alla scienza e crudelmente spietata verso Galileo (il quale però nonostante la condanna del Sant’Uffizio continuò ad essere uomo di fede con la sua figlia prediletta suora di clausura, Suor Maria Celeste).

Galileo Galilei (1564- 1642) fu condannato a scontare gli arresti domiciliari nel 1633 e morì nel 1642. Se la rete meteorologica è stata fondata nel 1654, dodici anni dopo la morte, ed era tenuta in piedi dall’impegno «dei gesuiti e monaci benedettini», perché poi la Chiesa si sarebbe decisa a chiuderla, «nel 1667 per ragioni politiche, essendo considerata vicina a Galileo e alle sue pericolose idee che contraddicevano la Bibbia»? Perché ritenendo non provata la teoria eliocentrica avrebbe dovuto essere contraria anche alle osservazioni meteorologiche? Quali possono essere  le preoccupanti “ragioni politiche” connesse ad una rete meteorologica?

Come si sarà già compreso, la realtà è stata ben altra e gli interessati possono leggerla nel bel testo Fede e Scienza: un incontro proficuo. Origini e sviluppo della meteorologia moderna fino agli inizi del ’900 di Luigi Iafrate. In esso è ben descritto come l’invenzione dei principali strumenti meteorologici e l’organizzazione delle prime reti osservative e delle Accademie, vide invece molto spesso il clero tra gli innovatori. Straordinario fu in generale il contributo fornito proprio dai credenti impegnati in campo scientifico affinché la meteorologia da arte-magia divenisse scienza, lo fecero fedeli all’idea che esiste ad un ordine naturale dato dal Creatore ed accessibile alla mente umana.

Proprio questo tipo di cattiva informazione diffusa da fonti tanto autorevoli, disorienta le persone e rafforza quei gruppi anticlericali in grado, ad esempio, di non far tenere al Papa una conferenza all’Università “La Sapienza” di Roma al grido: “Nemico di Galileo, qui non parli”.
Invece poche volte è possibile leggere che il Papa Benedetto XVI vede Galileo come modello di dialogo tra scienza e fede, ad esempio ricordando i passi avanti nella cosmologia ha ricordato nell’omelia del 6 gennaio 2009 che questi avvengono: «grazie alla passione e alla fede di non pochi scienziati, i quali - sulle orme di Galileo - non rinunciano né alla ragione né alla fede, anzi, le valorizzano entrambe fino in fondo, nella loro reciproca fecondità. Il pensiero cristiano paragona il cosmo ad un "libro" - così diceva anche lo stesso Galileo -, considerandolo come l’opera di un Autore che si esprime mediante la "sinfonia" del creato” (per una discussione più ampia del caso Galileo può essere utile rileggere i discorsi  del Beato Giovanni Paolo II del 10 novembre 1979 e del 31 ottobre 1992.

Tornando al primo servizio meteorologico del mondo, questo fu voluto nel 1654 dal Granduca di Toscana Ferdinando II de' Medici (1610 -1670) con l’ausilio del padre gesuita Luigi Antinori. La rete era dotata dei famosi “termometri fiorentini” (da non confondere con il “termoscopio” di Galileo) ed era costituita dalle stazioni: Firenze, Vallombrosa, Cutigliano, Bologna, Parma, Milano, Parigi, Innsbruck, Osnabruck e Varsavia. Nel 1657 fu fondata anche l’”Accademia del Cimento” voluta da Leopoldo de' Medici insieme al Granduca di Toscana Ferdinando II.

Purtroppo passarono soli dieci anni e il 3 marzo 1667 si sciolse l’”Accademia del Cimento” per un concorso di cause tra le quali i dissidi insanabili tra i suoi ingegni più arguti (Borrelli e Viviani) e la nomina a Cardinale di Leopoldo de' Medici; nomina che comportò viaggi sempre più frequenti a Roma. Lo stesso anno, il 1667, tutte le stazioni della rete meteorologica cessarono di funzionare ad eccezione di Firenze, Vallombrosa e Parigi. Nel 1670, alla morte del mecenate Ferdinando II rimase funzionante solo l’osservatorio di Parigi.

Segretario dell’”Accademia del Cimento” fu Lorenzo Magalotti (1637-1712) (credente a tal punto da scrivere Lettere familiari (parte I) contro l'ateismo, Venezia 1719), rimane famoso anche per esser stato citato da Giacomo Leopardi (1798-1837) nella frase in cui afferma che anche alla sua epoca “non c’erano più le mezze stagioni”:

«A confermazione del quale si può considerare che i vecchi pospongono il presente al passato, non solo nelle cose che dipendono dall'uomo, ma ancora in quelle che non dipendono, accusandole similmente di essere peggiorate, non tanto, com'è il vero, in essi e verso di essi, ma generalmente e in se medesime. Io credo che ognuno si ricordi avere udito da' suoi vecchi più volte, come mi ricordo io da' miei, che le annate sono divenute più fredde che non erano, e gl'inverni più lunghi; e che, al tempo loro, già verso il dì di pasqua si solevano lasciare i panni dell'inverno, e pigliare quelli della state; la qual mutazione oggi, secondo essi, appena nel mese di maggio, e talvolta di giugno, si può patire. E non ha molti anni, che fu cercata seriamente da alcuni fisici la causa di tale supposto raffreddamento delle stagioni, ed allegato da chi il diboscamento delle montagne, e da chi non so che altre cose, per ispiegare un fatto che non ha luogo: poiché anzi al contrario è cosa, a cagione d'esempio, notata da qualcuno per diversi passi d'autori antichi, che l'Italia ai tempi romani dovette essere più fredda che non è ora. Cosa credibilissima anche perché da altra parte è manifesto per isperienza, e per ragioni naturali, che la civiltà degli uomini venendo innanzi, rende l'aria, ne' paesi abitati da essi, di giorno in giorno più mite: il quale effetto è stato ed è palese singolarmente in America, dove, per così dire, a memoria nostra, una civiltà matura è succeduta parte a uno stato barbaro, e parte a mera solitudine. Ma i vecchi, riuscendo il freddo all'età loro assai più molesto che in gioventù, credono avvenuto alle cose il cangiamento che provano nello stato proprio, ed immaginano che il calore che va scemando in loro, scemi nell'aria o nella terra. La quale immaginazione è così fondata, che quel medesimo appunto che affermano i nostri vecchi a noi, affermavano i vecchi, per non dir più, già un secolo e mezzo addietro, ai contemporanei del Magalotti, il quale nelle Lettere familiari scriveva: "egli è pur certo che l'ordine antico delle stagioni par che vada pervertendosi. Qui in Italia è voce e querela comune, che i mezzi tempi non vi son più; e in questo smarrimento di confini, non vi è dubbio che il freddo acquista terreno. Io ho udito dire a mio padre, che in sua gioventù, a Roma, la mattina di pasqua di resurrezione, ognuno si rivestiva da state. Adesso chi non ha bisogno d'impegnar la camiciuola, vi so dire che si guarda molto bene di non alleggerirsi della minima cosa di quelle ch'ei portava nel cuor dell'inverno". Ouesto scriveva il Magalotti in data del 1683. L'Italia sarebbe più fredda oramai che la Groenlandia, se da quell'anno a questo, fosse venuta continuamente raffreddandosi a quella proporzione che si raccontava allora.
È quasi soverchio l'aggiungere che il raffreddamento continuo che si dice aver luogo per cagioni intrinseche nella massa terrestre, non ha interesse alcuno col presente proposito, essendo cosa, per la sua lentezza, non sensibile in decine di secoli, non che in pochi anni».

Non entrando sui limiti dei confronti al decimo di grado tra strumentazioni e metodi di misura molto differenti a distanza di secoli, sapendo che la temperatura misurata su alcune singole stazioni non ha alcun significato a livello globale, possiamo solo notare che il Corriere della Sera titola che Nel Seicento la temperatura era simile a oggi e che all’epoca Magalotti scriveva che «è pur certo che l'ordine antico delle stagioni par che vada pervertendosi». Ma il clima ideale, oltre che nei nostri desideri, in che epoca c’è stato?