L'Uruguay cede alla lobby dello spinello libero
L'Uruguay è il primo a depenalizzare la coltivazione e l'uso della marijuana. Altri stati seguiranno, malgrado il recente monito di papa Francesco. Una vittoria per le grandi lobby internazionali che vogliono che gli Stati si sostituiscano ai narcos.
Coloro che da alcuni decenni, con uno spiegamento impressionante sia di risorse finanziarie sia dell’attività lobbistica, si adoperano perché la droga diventi libera al consumo, possono ora gioire. Il Parlamento dell’Uruguay ha approvato in prima lettura una legge per la legalizzazione della marijuana. Per la prima volta al mondo, uno Stato depenalizza la coltivazione, la produzione e la distribuzione della droga. Un Ente statale regolatore emetterà licenze e controllerà produzione e distribuzione; sarà inoltre varato un registro dei consumatori, che potranno acquistare la marijuana nelle farmacie, fino a un massimo di 40 grammi al mese oppure coltivare la pianta direttamente a casa: saranno concesse fino a 6 piante, per una produzione che non superi i 480 grammi a raccolto.
In America Latina, la questione antiproibizionista è stata affrontata nell’ambito della riunione dell’OEA (Organizacion de Estados Americanos), che si è tenuta ad Antigua, in Guatemala. Ai Capi di Stato e di Governo è stato sottoposto un documento sul "problema delle droghe nelle Americhe", fortemente indirizzato sui "benefici" della depenalizzazione, proposta sostenuta dal Presidente del Guatemala, Perez Molina e appoggiata dal “principe dei filantropi che dominano il mondo”, George Soros, che da almeno vent’anni, attraverso la sua Fondazione, destina su questo obiettivo decine di milioni di dollari, lanciando appelli agli Stati – come ha fatto nel giugno scorso, in occasione della riunione del World Economic Forum di Davos – per fermare la “guerra alla droga”.
Soros ed altri lungimiranti personaggi a lui simili, vogliono in sostanza che al posto dei “cartelli” dei narcotrafficanti”, siano gli Stati a promuovere e gestire il business della droga. Questo è il vero obiettivo finale della strategia antiproibizionista, che ha individuato, da moltissimi anni, nella legalizzazione della marijuana la “chiave di volta” per realizzarlo, nonostante i numerosissimi studi scientifici che attestano la pericolosità della sostanza, come ad esempio uno studio del NIDA (National Institute on Drug Abuse), che rileva come l’uso della cannabis sia in grado nel tempo di ridurre il quoziente intellettivo, la memorizzazione, l’attenzione, la motivazione e il coordinamento psicomotorio.
Si preme, invece, perché si convertano all’antiproibizionismo le fragili realtà dei Paesi dell’America Latina, dove, insieme all’Uruguay, sono nettamente favorevoli alla legalizzazione delle droghe, la Colombia, il Costarica e il Guatemala. Gli altri Paesi – eccetto Messico e Cuba, che perseguono politiche repressive - non hanno ancora preso posizione e attendono gli eventi, che sono sempre più indirizzati verso la strada della legalizzazione. Le posizioni delle organizzazioni non governative che fanno lobby internazionale - come Human Rights Watch (HRW), che in occasione di un incontro dei Paesi americani (del Sud e del Nord), ha presentato un dossier in favore della depenalizzazione di tutte le droghe, invocando criteri di diritto internazionale e di diritti dell'uomo, sostenendo che la depenalizzazione delle droghe avrebbe un impatto straordinario sulla lotta alla criminalità organizzata e al narcotraffico – servono la “causa”. Così come la recente risoluzione dei Sindaci americani (tra i quali quelli di Oakland, San Diego, Las Vegas), rivolta al Presidente degli Stati Uniti contro la proibizione della marijuana. O, ancora, gli esiti dei referendum che si sono tenuti negli Stati di Washington e del Colorado e le decisioni già prese in California sull’uso della marijuana terapeutica.
O, infine, l’azione di pressione esercitata Nazioni Unite, che nel documento “Global Commission on Drug Policy”, scrivono: “La Guerra alle droghe ha fallito, con conseguenze devastanti per gli individui e le società del mondo. Cinquant’anni dopo la Convenzione sulle droghe, promossa dalle Nazioni Unite e quarant’anni dopo il lancio, da parte del Presidente degli Stati Uniti Nixon della guerra alla droga, sono necessarie ed urgenti fondamentali riforme nei Paesi e a livello globale in termini di controllo di polizia sulle droghe”.
Gli stessi personaggi che hanno governato la “guerra alla droga”, non si sa bene con quali competenze e meriti, dovrebbero ora governare la strategia antiproibizionista. Un'inversione di rotta a 180 gradi dell’establishment mondiale, che da un lato vuole condizionare le scelte dei Governi, dall’altro si esime dall’indicare quale dovrebbe essere l’approccio della società nei confronti dell’uso dilagante degli stupefacenti, soprattutto fra le nuove generazioni. “Non è con la liberalizzazione delle droghe, come si sta discutendo in varie parti dell’America Latina, che si potrà ridurre la diffusione e l’influenza della dipendenza chimica”. Quella di Papa Francesco – che così si è espresso durante l’incontro con i giovani tossicodipendenti presso l’Ospedale San Francesco d’Assisi a Rio de Janiero, durante la GMG – è una voce che rimane isolata, in un contesto mondiale che ha cinicamente individuato, sia nella sua versione repressiva, sia in quella antiproibizionista in tema di droga, il più grande business del terzo millennio. E sembra interessato solo a quest’aspetto.