L’Ungheria rifiuta la Convenzione (pro “gender") di Istanbul
Il Parlamento ungherese ha deciso di non ratificare la Convenzione che parla del sesso come di una “costruzione sociale”. Orban resta coerente alla sua politica di valorizzazione della legge naturale.
Il Parlamento ungherese nei giorni scorsi, nonostante una malsana diffusione di “fake news” è nel pieno dei suoi poteri, ha approvato una Risoluzione, promossa dal partito cristiano democratico, che impegna il Governo ha non ratificare la Convenzione di Istanbul ed opporsi alla ideologia “gender”.
L’Ungheria prosegue coerentemente nella sua strada nella promozione e difesa di alcuni principi cristiani non negoziabili. Ora è probabile che un nuova ondata di insulti si riverserà sull’Ungheria e sul suo Primo Ministro Orban, come già accaduto nel recente passato per la difesa della sessualità biologica, a cui comunque si oppongono molti altri paesi.
Un passo indietro. È bene ricordare che nelle scorse settimane, erano state diffuse ‘fake news’ sulla legislazione di emergenza ungherese e sui “pieni poteri” di Orban e tutto ciò nonostante quella legislazione sia stata dichiarata dalla Commissione «in linea con i princìpi e valori europei» e recentemente valutata in linea con lo Stato di Diritto dalla Fondazione Konrad Adenauer.
C’è da attendersi una altra campagna anti ungherese per il rifiuto della Convenzione di Istanbul? Probabilmente si, ma sarà più difficile mentire. Questa Convenzione del Consiglio di Europa del 2011 è entrata in vigore nel 2014 dopo le prime 10 ratifiche. Dei 47 Paesi del Consiglio di Europa la gran parte dei paesi del centro est Europa non ha ratificato la Convenzione (Ucraina, Slovakia che ha già ritirato la firma, Moldova, Lituania, Liechtestein, Lettonia, Repubblica Ceca, Bulgaria, Armenia, Ungheria ma anche il Regno Unito). Alcuni nemmeno hanno firmato il documento (Azerbaijan e Russia), altri hanno accompagnato la firma con distinguo, riserve e severe obiezioni (Romania, Polonia, Andorra, Malta, Slovenia etc).
Si tratta infatti di un trattato internazionale globale che cerca di armonizzare parti delle legislazione nazionali in materia di violenza contro le donne e violenza domestica. Essa è stata presentata come un progresso significativo nella protezione di coloro che sono stati sottoposti a violenza domestica, in particolare delle donne. Tuttavia, da un esame più attento del testo, è chiaro che la Convenzione solleva più problemi di quanti ne risolva. La Convenzione di Istanbul va ben oltre il mandato specifico di lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica, per esempio: «Si codifica per la prima volta la controversa definizione non consensuale di "genere", come costruzione sociale indipendente dalla realtà biologica sessuale (Artt. 3 e 4)»; si propone di sradicare qualsiasi «tradizione basata sul genere stereotipato dei ruoli» (Artt.12 e 13); si viola il diritto dei genitori di essere gli educatori primari dei propri figli (Artt.12 e 14); si presume sproporzionatamente che gli uomini siano i colpevoli della violenza domestica (Art.12); si impone un meccanismo di monitoraggio di vasta portata che erode sovranità nazionale (Art.66 ).
Ebbene, lo scorso 4 maggio, il partito dei Democratici Cristiani ha presentato una Risoluzione al Parlamento ungherese in cui respinge la ratifica della Convenzione di Istanbul. L'ideologia della Convenzione è contraria all'ordinamento ungherese e ai valori a cui si ispira il partito: questa «cerca di imporre il genere come fosse una costruzione sociale», promuovendo un approccio «dannoso» e facendo pressioni sui paesi affinché «prendere in considerazione l'aspetto delle identità di genere nel momento in cui offrono lo status di rifugiato».
Il The Guardian non vedeva l’ora di scagliarsi ancora una volta contro l’“omofobo" Orban e le sue politiche che si fondano sulla sessualità biologica e le differenze tra uomini e donne. Le opposizioni hanno dato voce alle accuse internazionali, cavalcando le peggiori “fake” del momento e accusando Orban (padre di 4 figlie femmine e un maschio) di essere “misogeno”, ma il Parlamento ha approvato la Risoluzione con 115 voti a favore e solo 35 contrari (sui 65 di opposizione). I diffusori di “fake news” stavolta hanno segnato il passo, impegnati nel dileggio internazionale contro il proprio paese, si erano scordati i propri doveri di “rappresentanti del popolo”ungherese.