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Luminare anti gender censurato: libertà della stampa liberal

Kenneth Zucker, psicologo e sessuologo con esperienza clinica quarantennale si è visto censurare un suo articolo dal New York Times. Perché? Sostiene le ultime ricerche sulla disforia di genere su base psicologica causate da traumi o violenza e divorzio. Imperdonabile per la stampa liberal. 

Vita e bioetica 24_01_2019

L’allineamento della grande stampa alle istanze Lgbt non si può certo definire una novità, anzi. Ormai è un classico. Lascia tuttavia basiti come ciò possa portare perfino alla censura di esponenti del mondo scientifico di riconosciuta autorevolezza, rei solo di pensarla altrimenti. Com’è successo a Kenneth Zucker, psicologo e sessuologo con esperienza clinica quarantennale, nonché redattore capo della rivista Archives of Sexual Behavior, che pochi giorni fa s’è visto rifiutare la pubblicazione di un intervento nientemeno che dal New York Times. Una censura in piena regola per comprendere bene la quale, però, serve un passo indietro.

Tutto ha avuto inizio lo scorso 16 agosto quando Lisa Littman, ricercatrice alla Brown university school of Public health, ha pubblicato su PLOS One quello che diversi hanno elogiato come «il primo studio serio sulla “disforia di genere a insorgenza rapida” (rapid-onset gender dysphoria, Rogd)».

In estrema sintesi, la Rogd è una dicitura per definire la disforia di genere insorta improvvisamente nei ragazzini durante la pubertà o dopo il suo completamento, senza precedenti avvisaglie – e quindi, va da sé, più per ragioni culturali che innate e biologiche. Non a caso, nel suo studio la Littman ha rilevato come, fra i minori “divenuti transgender”, il 62% riportasse anche una diagnosi di disturbo psicologico e il 48% avesse visto precedere la propria disforia di genere da eventi traumatici o stressanti quali episodi di bullismo, violenze sessuali e il divorzio di genitori. Come c’era da aspettarsi, tale ricerca ha sollevato un polverone nel mondo accademico, nel quale alcuni hanno preso a infangarla, altri ad ignorarla. Questo fino al 6 gennaio scorso, quando sul Wall Street Journal un articolo a firma di Abigail Shrier ha ripreso il tema della Rodg proprio a partire dalla pubblicazione della Littman.

Un intervento su una testata simile non poteva passare inosservato e così due giorni dopo, sul New York Times, Jennifer Finney Boylan, docente e attivista Lgbt, ha pensato bene di replicare attaccando la Rodg e  bocciandola come «falsa diagnosi» partorita ad arte dal mondo conservatore. Dinnanzi a una così aspra presa di posizione da parte della Boylan, Zucker ha deciso di prendere carta e penna e di dire la sua dall’alto della sua indiscussa autorità.

«Come clinico e ricercatore nel campo della disforia di genere», ha scritto Zucker, «non sono d'accordo con la prospettiva di Boylan». Il luminare ha aggiunto di ritenere la Rodg opportuna per «un nuovo sottogruppo di adolescenti, principalmente femmine biologiche, che sembrano avere una storia evolutiva che porta alla disforia di genere che non era stata precedentemente descritta». Considerando che si tratta del pensiero di uno studioso di esperienza pluridecennale nonché coautore del DSM-5, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, pare assai difficile liquidarlo come irrilevante.

Eppure il New York Times ha ritenuto di non pubblicare l’intervento di Zucker. Come mai? Forse perché tende a contraddire il dogma Lgbt, secondo cui gay e trans si nasce? Probabile. Di sicuro il celebre sessuologo non è amato dal movimento arcobaleno, che non gli ha mai perdonato di aver ospitato su Archives of Sexual Behavior una pubblicazione a firma di Robert Spitzer sulle cosiddette terapie riparative dell’omosessualità.

Inoltre, il clinico è reduce da una complessa vicenda giudiziaria terminata da poco e che lo ha visto vittorioso, alla faccia degli alfieri dei paladini gender. In breve: era accusato d’aver offeso pesantemente un suo paziente trasngender, cosa riportata pure sul sito del Centro per le dipendenze e la salute mentale di Toronto, il più grande del Canada, che per questo lo ha licenziato. Peccato fosse tutto falso - la sola vera “colpa” dello studioso era quella di incoraggiare i giovani in crisi a sentirsi a «a proprio agio» con il loro sesso biologico -, motivo per cui è stato risarcito, previo accordo, con oltre mezzo milione di dollari. Una bella batosta, per il fronte Lgbt. Che però, finché i giornaloni seguiteranno a censurare studiosi del calibro di Zucker, da temere non ha molto.