L'Ue vuole imporre l'agenda Lgbt a Polonia e Ungheria
Procedura di infrazione per Polonia e Ungheria. La legge ungherese garantisce libertà di educazione e la Polonia permette l'adozione di "carte della famiglia" nelle sue regioni.
Le coincidenze non sono mai il frutto del caso. I giorni scorsi sono stati ‘storici’ per Bruxelles: presentato il piano ‘verde’, le procedure di infrazione contro Polonia e Ungheria sui diritti LGBTI e approvati alcuni Recovery Fund nazionali. La follia verde della Commissione, in particolare del Presidente Von der Leyen e del Vice Presidente Timmermas, si è mostrata chiaramente a tutti: le famiglie saranno impoverite, le regioni disagiate patiranno, le nazioni dell’est e sud del continente penalizzate. Le critiche contro il ‘Fit for 55%’ sono esplose all’interno della stessa Commissione e del Parlamento europeo, mentre crescono le obiezioni di molte categorie, industrie e interi Stati.
L’avvio della procedura di infrazione contro Ungheria e Polonia era nell’aria da tempo, è bene però descriverne i dettagli, nascosti dai grandi media europei, che ci mostrano quali siano le vere ragioni dell’accanimento nei confronti dei due Paesi. Il comunicato stampa della Commissione è chiarissimo, fin dal titolo (Valori fondanti dell'UE: La Commissione avvia un'azione legale contro Ungheria e Polonia per violazione dei diritti fondamentali delle persone LGBTIQ). Il testo del comunicato lo è ancor di più e dopo aver citato l’Articolo 2 del Trattato di Nizza, che nulla c’azzecca con la decisione di denunciare i due Paesi, prosegue: «…Per quanto riguarda l'Ungheria, i casi includono la legge recentemente adottata, che in particolare vieta o limita l'accesso a contenuti che promuovono o ritraggono la cosiddetta "divergenza tra l’autoidentità sessuale e quella corrispondente al sesso alla nascita, il cambiamento di sesso o l'omosessualità" per gli individui sotto i 18 anni; e un ‘disclaimer’ [avviso per gli aquirenti] imposto sui libri per bambini con contenuti LGBTIQ…Per quanto riguarda la Polonia, la Commissione ritiene che le autorità polacche non abbiano risposto in modo completo e appropriato alla sua inchiesta sulla natura e l'impatto delle cosiddette "risoluzioni di zone libere dall'ideologia LGBT" adottate da diverse regioni e comuni polacchi…».
I due Stati membri hanno ora due mesi di tempo per rispondere, poi la Commissione potrebbe decidere di inviare loro un parere e deferirli alla Corte di giustizia dell'Unione Europea. Questa versione della narrativa è quella diffusa dai giornali di mercoledì e giovedi in tutto il mondo, da Le Figaro a Il Pais, da Deutsche Welle al The Guardian. È chiaro cosa si chiede a tutti noi? Primo. Si chiede alla Ungheria (e a tutti i Paesi che ancora non l’hanno fatto) di riconoscere legalmente e senza impedimenti l’auto-identificazione di genere sessuale per tutti e sin da bambini. Sia chiaro che la Commissione Europea, sbagliando, la pensa esattamente come gli esperti LGBTI delle Nazioni Unite e i ricercatori della prestigiosa rivista Journal of Medical Ethics: i bimbi devono poter scegliere la propria fluidità o cambio sessuale sin da piccoli e i genitori non devono aver nessun diritto di vietarglielo, tanto meno quel diritto dei genitori può essere promosso da uno Stato.
Secondo. Si chiede, di fatto, al governo polacco (e ad ogni governo dell’Unione) di vietare alle comunità locali e regionali l’approvazione delle ‘Carte della Famiglia’, falsamente presentate come "decisioni che istituiscono zone anti LGBTI". Ma alla Polonia e a tutti noi, non si chiede solo questo. Infatti, anche se nel testo della Commissione non è scritto, durante il dibattito parlamentare della scorsa settimana, moltissime voci e cenni di assenso si sono levati nel Parlamento Europeo per chiedere alla Commissione di intervenire contro la decisione della Corte Costituzionale polacca che vietava, lo scorso ottobre, l’aborto per ragioni eutanasiche. Dunque, anche forti della approvazione del Rapporto Matic, si vuole imporre surrettiziamente a tutti i Paesi anche il "diritto all’aborto". Lo Stato polacco ha risposto con tutta la chiarezza possibile: fate pure quel che volete a Bruxelles, le nostre leggi e la nostra Costituzione valgono più delle vostre valutazioni politiche e delle decisioni della Corte Europea. Il 14 Luglio, la Corte Costituzionale polacca ha rispedito al mittente (Corte Europea) la decisione di non conformità delle riforme giudiziarie polacche con il "diritto polacco ed europeo", riaffermando allo stesso tempo che la Corte Europea non può interpretare la Costituzione polacca. La stessa Corte polacca dovrà presto tornare ribadire la supremazia della propria Carta Costituzionale e delle proprie leggi rispetto alle decisioni europee che le contraddicono. Non solo per la richiesta esplicita fattale dal Primo Ministro Mateusz Morawiecki lo scorso mese di marzo, ma anche perché ieri, 15 luglio, ancora un volta la vendicativa Corte Europea ha dichiarato illegittima un'altra legge polacca che introduce un collegio disciplinare per valutare il lavoro dei giudici del Paese, ricevendo una risposta chiara del premier Morawiecki che ha accusato l’Europa di usare un inaccettabile doppio standard punitivo nei confronti della Polonia.
La stessa chiara fermezza della politica ungherese nel difendere identità e diritti, a partire da quelli dei genitori e dei bambini, raccontata nella intervista a Nemeth Zsolt pubblicata da La Bussola, è stata ribadita in questi giorni dai ministri ungheresi alla Giustizia e degli Esteri. Nei giorni scorsi il Primo Ministro della Repubblica Ceca Andrej Babis ha dichiarato pubblicamente che sostiene totalmente le ragioni ungheresi sui divieti di propaganda LGBTI nelle scuole e non sarà il solo . La fiera determinazione di Orban è ancor più necessaria dopo la indecente minaccia del 7 luglio scorso, quando un portavoce della Commissione faceva trapelare che il Recovery Plan ungherese (7.2 miliardi) avrebbe dovuto essere profondamente rivisto per non esser bocciato dalla Commissione. Non è un caso che il 13 luglio solo 12 Paesi (tra cui Italia, Francia, Germania) abbiano ricevuto il via libera per l’anticipo del 13% dei finanziamenti. Non la Polonia, non l’Ungheria. La Commissione è pronta ad ogni ricatto e persino a distruggere ogni autorità della Corte Europea pur di imporre i dogmi LGBTI, segnando così la fine della stessa Europa.