L'Ue vuole accogliere cervelli in fuga dagli Usa. Per offrire loro molto meno
«Il ruolo della scienza nel mondo odierno è messo in discussione» e così von der Leyen e Macron lanciano un piano Ue per attrarre cervelli potenzialmente in fuga dagli Usa di Trump. Ma il confronto col mondo accademico Usa è impietoso.

Il piano dell’Ue per attrarre cervelli potenzialmente in fuga dagli Usa, è rivelatore di tutte le idiosincrasie e i limiti del modello europeo. Annunciata all’università Sorbonne di Parigi, lunedì 5 maggio, dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e dal presidente francese Emmanuel Macron, l’iniziativa mira a rilanciare gli studi scientifici, la ricerca e l’innovazione, ruoli in cui il Vecchio Continente non è, ormai, più competitivo. E i vertici europei sperano che, il conflitto in corso fra l’amministrazione Trump e il mondo accademico, possa essere sfruttato con profitto dall’Europa.
«Il ruolo della scienza nel mondo odierno è messo in discussione. Gli investimenti nella ricerca fondamentale, libera e aperta sono messi in discussione. Che errore madornale», ha affermato la von der Leyen, che allude palesemente a Trump pur senza nominarlo. L’esegesi più diffusa delle parole della presidente della Commissione ritiene che si riferisse in particolare a Robert Kennedy jr. il segretario ai Servizi Sanitari che in Europa è visto solo come il paladino dei no-vax e in generale dell’oscurantismo anti-scientifico. «La scienza non ha passaporto, né genere, né etnia, né partito politico», ha dichiarato la von der Leyen.
L'iniziativa Choose Europe for Science (scegli l’Europa per la scienza) è un programma da 500 milioni di euro dal 2025 al 2027 per attirare ricercatori stranieri e «contribuire a sostenere i migliori e più brillanti ricercatori e scienziati europei e di tutto il mondo». Macron ha aggiunto che il Paese stanzierà altri 100 milioni di euro dal programma France 2030 per attirare ricercatori e rendere l'Europa un “rifugio sicuro” per la scienza. Il presidente francese era stato precursore del programma, prima che si aggiungesse l’Ue, aveva già lanciato il suo Choose France for Science.
Il discorso di Macron è una sfida ancor più esplicita agli Usa di Trump: «Non dobbiamo sottovalutare la posta in gioco oggi. Nessuno avrebbe potuto immaginare pochi anni fa che una delle più grandi democrazie del mondo avrebbe abolito i programmi di ricerca con la motivazione che nei loro programmi era presente la parola diversità», ha dichiarato, alludendo alla lotta ingaggiata da Trump contro Harvard. «Nessuno avrebbe potuto immaginare che una delle più grandi democrazie del mondo potesse, in un colpo solo, cancellare la possibilità di ottenere un visto per un ricercatore», alludendo, questa volta, al caso di un ricercatore francese fermato alla dogana, apparentemente solo per motivi politici, cioè per suoi commenti contro Trump.
Eppure, proprio il piano europeo riassume in sé tutti i limiti dell’Ue e della sua capacità di attrarre cuori e menti. I primi a protestare contro Macron, infatti, non sono stati gli americani, né tantomeno Trump, bensì gli stessi ricercatori francesi. I quali, esattamente come i colleghi italiani, lottano contro salari bassi, cattive condizioni lavorative e poche possibilità di carriera. Invece che iniziare ad attrarre ricercatori americani, con condizioni economiche e professionali a loro favorevoli, non era meglio pensare prima ai propri connazionali?
Il programma presenta anche un altro problema cronico dell’Ue: le divisioni interne. E qui pesa soprattutto il conflitto a bassa intensità fra Macron e il governo Meloni. Il nostro esecutivo è stato informato solo venerdì scorso, con pochissimo preavviso, della conferenza internazionale alla Sorbonne. Per questo il ministro dell’Università Anna Maria Bernini ha rilasciato commenti abbastanza irritati: «Mentre gli altri annunciano, l’Italia ha già agito», parlando del bando da 50 milioni aperto il 7 aprile scorso per attirare in Italia gli italiani espatriati e ricercatori stranieri.
Ma poi: che cosa ha da offrire l’Europa? E questo è il problema principale, perché tutte le maggiori università del mondo sono americane o britanniche. Scorrendo la classifica QS Top Universities, nelle prima dieci non si trova una sola accademia in territorio Ue. Si tratta una classifica più completa di molte altre perché include non solo la qualità dell’insegnamento, ma il prestigio, l’influenza, il collegamento col mondo del lavoro, la qualità e la quantità del personale (in rapporto agli studenti), la capacità di attrarre docenti e studenti dall’estero di ogni università. Ebbene, la prima università al mondo è l’MIT (Massachusetts Institute of Technology, di Boston), la seconda è l’Imperial College di Londra, la terza è Oxford, la quarta Harvard, la quinta Cambridge. E si tratta di posizioni molto consolidate. Per trovare un’università nell’Ue, si deve scendere fino al 24° posto per trovare l’università PSL di Parigi, un’accademia aperta molto di recente (nel 2010), mentre la Sorbonne, dove si invitano i cervelli americani a defezionare in Europa, non compare neppure nelle prime 100.
Se l’Ue vuole sfidare gli Usa e pretende di batterla in campo accademico, dunque, con che titoli lo farebbe? E perché un cervello in fuga dagli Usa dovrebbe scegliere università che garantiscono un balzo all’indietro nella sua carriera? Anche i soldi contano e, a fronte dei 500 milioni di euro promessi dal programma europeo, Harvard, da sola, ha un patrimonio di 53 miliardi di dollari, abbastanza da poter ignorare anche i tagli di fondi pubblici di Trump.
Entrando nel merito e non solo nel metodo, che cosa, di preciso, contesta l’Ue? Se Trump ha deciso di intervenire a gamba tesa contro le università americane, anche con metodi discutibili (e probabilmente neppure troppo rispettosi della Costituzione), lo ha fatto proprio perché nelle accademie americane, comprese quelle più prestigiose, non c’era più libertà di ricerca e sempre meno libertà di espressione. E ciò riguarda, paradossalmente, anche le università più apolitiche, quelle scientifiche, mediche e tecnologiche, come le esperienze del Covid hanno dimostrato. Quando un biologo veniva censurato, magari solo perché affermava che biologicamente esistono solo due sessi, uomo e donna, nessuno, in Europa, si è preoccupato della mancanza di libertà negli Usa, tantomeno qualcuno si è offerto di ospitare i dissidenti nelle università europee. Anche perché, da questa parte dell’Atlantico, gli accademici vogliono quel tipo di censura.