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DATI CHOC

L'Ue preoccupata per l'Epatite da Gay pride

L'Ue stila un report choc che mette in guardia dall'elevatissimo rischio di contagio da malattie sessualmente trasmissibili in occasione del gay pride di Madrid. Ma a nessuna istituzione e a nessun grande mezzo di comunicazione viene il dubbio che presentare la vita gay come naturale e gioiosa non è affatto caritatevole? Intanto si pensa a "crocifiggere" Silvana De Mari. 

Educazione 15_05_2017
Che ci sia un pericolo per la salute pubblica, ormai, non lo si può più nascondere. La sensibilizzazione sull’unico modo efficace di evitare questo pericolo, correlato alle parate dell’orgoglio gay, continua invece a essere un tabù. Anzi, le istituzioni suggeriscono rimedi nel senso opposto, che mai vanno alla radice del disordine intrinseco degli atti omosessuali e della tendenza alla promiscuità.
 
Dopo l’Europride di Amsterdam dell’estate scorsa, il riscontro dell’aumento notevole di casi di epatite A e il conseguente allarme lanciato nel Vecchio Continente (raccolto in Italia dall’Istituto Superiore di Sanità), il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) ha pubblicato un nuovo documento per mettere in guardia rispetto ai rischi di contrarre infezioni sessualmente trasmissibili in vista del World Pride, in programma a Madrid dal 23 giugno al 2 luglio.
 
Ma l’allarme dovrebbe essere esteso a tutti i raduni di questo tipo (anche se con minore partecipazione), se pensiamo che solo nel nostro Paese si svolgeranno ben 24 gay pride tra giugno e luglio, da Torino a Siracusa, da Milano a Palermo, che quest’anno ospiterà la manifestazione nazionale.
 
Nel suo report, innanzitutto, l’agenzia dell’Ue avverte dell’attuale “epidemia” di epatite A che sta riguardando soprattutto gli uomini che fanno sesso con uomini (Msm, secondo l’acronimo inglese) e consiglia loro di fare un controllo vaccinale e informarsi sulla cosiddetta profilassi pre-esposizione (PrEp), ossia un trattamento farmacologico invasivo, volto a ridurre il rischio di contrarre l’Hiv, ma che secondo recenti studi – ricordati dallo stesso ente europeo – aumenta l’incidenza dell’epatite C e di altre malattie sessuali di origine batterica. Non certo una buona prevenzione, insomma: eppure le associazioni Lgbt spingono per introdurla in Italia, chiedendo perfino che il sistema sanitario si faccia carico dei costi del trattamento.
 
Poiché l’epatite A si diffonde principalmente per via oro-fecale, a volte ingerendo cibi e liquidi contaminati e altre volte per via sessuale, l’Ecdc invita le persone gay a evitare contatti con zone del corpo a rischio contagio (che nei rapporti omoerotici sono evidentemente frequenti) e a praticare il mitologico “sesso sicuro” basato sull’uso del preservativo, di cui – qualche riga più giù – si ammettono tuttavia le falle: “Sebbene i condom non forniscano completa protezione contro tutte le infezioni sessualmente trasmissibili, in quanto riducono ma non sempre eliminano il contatto tra le mucose”, è scritto nel documento.
 
Registriamo quest’ammissione, tardiva e parziale, tra le notizie. Probabilmente, anche in questo caso il politicamente corretto si è dovuto arrendere all’ostinazione della realtà. La parte più interessante del documento, nel senso che dovrebbe indurre a una riflessione seria, riguarda i dati. I quali testimoniano l’aumento di una serie di malattie tra la popolazione omosessuale maschile. Per alcune di queste si evidenzia un collegamento con l’evento di Amsterdam, dove secondo gli organizzatori si sarebbero riunite mezzo milione di persone.
 
Il report analizza intanto la situazione della Spagna, che nel primo trimestre del 2017 ha registrato 1314 casi di epatite A, contro i 198 dello stesso periodo del 2016: un incremento di quasi sette volte, in gran parte associato alla diffusione del contagio tra i gay maschi, che fa del Paese iberico quello con la maggiore emergenza di epatite A tra vari altri Stati europei, dove nel complesso – dopo l’ultimo Europride – si sono diffusi tre nuovi ceppi del virus.
 
Per fronteggiare questa emergenza, l’Ecdc consiglia agli Stati membri di offrire vaccini contro l’epatite A a tutti gli Msm, mentre manca del tutto la raccomandazione di evitare il comportamento a rischio, come invece sarebbe logico attendersi da un’istituzione sanitaria. L’Ecdc ricorda poi che nella popolazione di Msm ci sono state ondate di meningite da meningococco, spiegando che i frequenti viaggi internazionali e i contatti sessuali con uomini all’estero potrebbero aver facilitato il contagio. Secondo un’indagine realizzata tra gli Msm, tra l’altro, proprio la Spagna è il Paese dove gli intervistati ammettono di aver avuto il maggior numero di rapporti omoerotici all’estero. Un aspetto che preoccupa alla luce di un’altra evidenza: delle 30 mila nuove diagnosi di Hiv del 2015, ben il 42% riguarda uomini che fanno sesso con uomini.
 
Una percentuale enorme, specialmente se rapportata al fatto che i gay maschi sono una piccola minoranza. Ma non è tutto. Ai rapporti omoerotici si deve anche una crescente proporzione di diagnosi di gonorrea (54%), sifilide (75%) e pressoché tutti i casi di Lymphogranuloma venereum (99%) in Europa.
 
In definitiva, stiamo parlando di un elenco drammatico di patologie, la cui diffusione è amplificata da raduni di massa come i gay pride internazionali e che non interessano solo lo Stato dove si tiene la manifestazione, ma tutti i Paesi di provenienza dei partecipanti, perciò potenzialmente il mondo intero: “È più probabile che alcune malattie trasmissibili vengano esportate dal luogo dell’evento in seguito al ritorno dei viaggiatori e potrebbero diffondersi nei Paesi di residenza. Queste includono il morbillo, la rosolia e le infezioni sessualmente trasmissibili, compresi l’Hiv e l’epatite A, B e C”, conclude l’Ecdc, che in particolare valuta medio-alto il rischio di diffusione delle malattie veneree, accresciuto a sua volta dalla combinazione di sesso e droga (il cosiddetto chem-sex, che in Italia è pubblicizzato da associazioni che ricevono soldi pubblici).
 
Alla luce di questo quadro a tinte fosche, l’unico atto coraggioso sarebbe indicare la via della castità e ricordare che la complementarità maschile-femminile non è frutto del caso, ma risponde a un ordine e a un fine naturali. Oltre a essere coraggioso, si tratterebbe di un atto di carità, che spesso consiste nel dire al proprio fratello ciò che in quel momento preferirebbe non sentire, pur sapendo dentro di sé che è indirizzato al suo stesso bene.
 
Invece, si suggeriscono rimedi a corto respiro o addirittura controproducenti, che non risolvono il problema della promiscuità, del sesso occasionale in nome di una pseudo libertà senza limiti e perciò lontanissima dal dono totale di sé all’altro, espressione della vera libertà e di una sessualità autentica, aperta alla generazione della vita. Se poi il gay pride è, per definizione, la festa dell’orgoglio gay, viene spontaneo chiedersi che razza di festa possa mai essere un evento vissuto spesso senza freni, dove diverse persone si ammalano e contribuiscono a diffondere il contagio. Possibile che – al di fuori delle solite, poche voci (puntualmente attaccate, come dimostra per esempio l’accanimento contro Silvana De Mari, “colpevole” proprio di aver ricordato le conseguenze drammatiche degli atti omoerotici) – a nessuna istituzione e a nessun grande mezzo di comunicazione venga il dubbio che continuare a presentare la vita gay come naturale e gioiosa non è affatto caritatevole?