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GUERRA IN EUROPA

L'Ucraina vuole negoziare, l'Ue no. L'ultimo paradosso di una guerra lunga

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Molto sta cambiando sul fronte ucraino. Zelensky ha aperto per la prima volta al negoziato con la Russia. La missione di
Orbán non è stata vana e ora anche Trump, in caso di vittoria, promette di porre fine alla guerra. Paradossalmente l'unica che vorrebbe continuare il conflitto è l'Ue. 

Esteri 27_07_2024
Volodymyr Zelensky e lo speaker della Camera Usa Johnson (La Presse)

L’Unione Europea non se n’è ancora accorta, ma molte cose stanno cambiando nelle prospettive del conflitto ucraino. Prima il preside te ucraino Volodymyr Zelensky ha riconosciuto che la guerra in Ucraina va conclusa il prima possibile incontrando il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato del Vaticano che è stato insignito dell’Ordine al Merito dell’Ucraina. Già questa è di per sé una notizia se si considera che nel settembre scorso il consigliere del presidente ucraino, Mikhailo Podolyak, aveva respinto il tentativo di mediazione della Santa Sede definendo il Papa “filorusso”. 

«Penso che tutti capiamo che dobbiamo porre fine alla guerra il più presto possibile per non perdere più vite umane» ha detto Zelensky durante l’incontro aggiungendo in un’intervista alla BBC di ritenere possibile almeno tentare di porre fine alla guerra prima della fine dell’anno.

Le dichiarazioni del presidente ucraino sono state accolte positivamente dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, per il quale «questo è ovviamente meglio che affermare che qualsiasi contatto con la parte russa e con il capo dello Stato russo è escluso. Certamente, parlare di un dialogo è molto meglio che parlare dell'intenzione di combattere fino all'ultimo ucraino. Se la conversazione è seria, non possiamo ancora giudicarlo e bisognerà aspettare qualche azione concreta, se ce ne saranno».

Lo stesso 24 luglio il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha detto a Pechino che l'Ucraina potrebbe essere disponibile a condurre negoziati «con la parte russa» quando Mosca «sarà pronta a farlo in buona fede». Incontrando a Guangzhou l’omologo cinese, Wang Yi, il ministro ucraino ha invitato la Cina a svolgere un ruolo importante nella ricerca di una “pace giusta e stabile”: obiettivo che la Cina ha ufficializzato ieri di voler perseguire.

Wang ha rassicurato che la Cina sostiene «tutti gli sforzi che favoriscono la pace» nonostante «le condizioni e i tempi non siano ancora maturi». Il Cremlino ha commentato con cautela le parole di Kuleba che Peskov ha definito «in sintonia con la nostra posizione».

Per Mosca uno dei nodi è rappresentato dal decreto con cui Volodymyr Zelensky a fine 2022 ha vietato i colloqui con la Russia di Vladimir Putin, decreto che dovrebbe essere annullato se Kiev vuole davvero negoziare.

È presto per comprendere quando e su quale base si potranno avviare trattative di pace anche tenendo conto delle richieste opposte dei due contendenti. L’Ucraina vuole il ritiro totale delle forze russe mentre Mosca pretende l’annessione di 4 regioni già in buona parte occupate militarmente e che Kiev non aderisca alla Nato né ospiti basi o militari occidentali. Probabile che nessun negoziato possa consolidarsi prima del voto negli Stati Uniti per non compromettere la residua credibilità dell’Amministrazione Biden-Harris.

Gli sviluppi diplomatici di questi giorni sono però di grande rilievo, anche se non mancano reazioni poco inclini al dialogo come quella di Podolyak per il quale siglare un accordo con la Russia per fermare la guerra equivarrebbe a firmare un patto con il diavolo.  «Se volete firmare un accordo con il diavolo, che poi vi trascinerà all'inferno, beh, fate pure. Questo è ciò che è la Russia».

Posizione forse condivisa da molti “falchi” a Kiev ma non c’è dubbio che la svolta di Zelensky e Kuleba guardi in faccia la realtà e punti ad affrontare con pragmatismo le crescenti difficoltà militari di Kiev, l’incapacità dell’Occidente di continuare a sostenerne lo sforzo bellico e la stanchezza della società ucraina per un conflitto che determina enormi perdite senza possibilità di vittoria all’orizzonte.

Un sondaggio dell'Istituto Internazionale di Sociologia di Kiev ha rilevato che il numero di ucraini contrari a concessioni territoriali alla Russia in cambio della pace continua a diminuire. A luglio era del 55% (rispetto al 74% di dicembre 2023) mentre il 32% le accetterebbe per raggiungere la pace: inoltre un altro sondaggio evidenzia che il 40% degli ucraini ha denaro a malapena per nutrirsi.

Sul piano politico le aperture di Zelensky e Kuleba alle trattative appaiono con tutta evidenza il frutto della missione diplomatica del leader ungherese Viktor Orban che ha presentato a Kiev, Mosca, Pechino e Ankara la bozza di un piano di pace messo a punto con Donald Trump, intenzionato a chiudere in fretta il conflitto e la crisi con la Russia in caso di vittoria alle presidenziali di novembre.

Non a caso al termine del tour nelle quattro capitali, Orban è tornato a Mar a Lago da Trump per riferire le reazioni raccolte e poco dopo Trump ha avuto un colloquio telefonico con lo stesso Zelensky. Dalle successive dichiarazioni del presidente ucraino non è difficile ipotizzare che il candidato alla Casa Bianca abbia prospettato il suo piano di pace e abbia sottolineato che la sua amministrazione chiuderebbe il rubinetto di denaro e armi diretti a Kiev.

Se nella primavera del 2022 l’accordo di pace mediato dalla Turchia venne silurato da USA e Gran Bretagna perché "la guerra doveva continuare per logorare la Russia”, oggi che a essersi logorati sono soprattutto l’Ucraina e un Occidente stanco di una guerra che non riesce a vincere, le prospettive di pace vengono promosse da Trump e Orban e cavalcate da Pechino, ormai protagonista di round negoziali e diplomatici di primissimo rilievo anche negli scenari di crisi del Medio Oriente.

In questo contesto appare ancora una volta del tutto anacronistica, marginale, isterica e irrilevante la durissima reazione dell’Unione Europea nei confronti dell’iniziativa diplomatica per la pace di Orban.

La UE è giunta al punto di annullare una serie di incontri previsti a Budapest il mese prossimo in occasione del semestre di presidenza ungherese dell’Unione.

Josep Borrell, Alto rappresentante uscente per gli affari esteri dell'UE dimissionario (e in procinto di venire sostituito dall’estone Kaja Kallas, ancora più “falco” nei confronti di Mosca del socialista spagnolo), ha dichiarato il 23 luglio che all'Ungheria sarà impedito di ospitare la prossima riunione dei ministri degli esteri e della difesa a causa della posizione di Orbán sull'Ucraina e dei suoi sforzi diplomatici recenti.

«Posso dire che tutti gli stati membri, con una sola eccezione (la Slovacchia), sono molto critici su questo comportamento», ha detto Borrell alla BBC. «Penso che sia stato appropriato mostrare questo sentimento e convocare le prossime riunioni del Consiglio degli esteri e della difesa a Bruxelles». La decisione unilaterale di Borrell ha suscitato anche critiche: il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares ha dichiarato che «La Spagna non sostiene i boicottaggi nell'Unione Europea» mentre il lussemburghese Xavier Bettel ha descritto l’iniziativa di Borrell come "una sciocchezza", ma anche Francia, Germania e Paesi Bassi hanno espresso riserve. Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha commentato ironicamente: «Che risposta fantastica hanno escogitato. Non voglio ferire i sentimenti di nessuno, ma sembra di essere all'asilo».

In effetti c’è molto di paradossale (se non di ridicolo) in un’Europa incapace in oltre due anni e mezzo di guerra di mettere a punto una solo proposta di negoziato che ostracizza l’Ungheria di Orban colpevole di aver proposto (con successo a quanto pare) una trattativa per far cessare il conflitto ucraino.

All’Europa sembra ancora una volta sfuggire la rapidità con cui sembra potersi evolvere la crisi ucraina. Del resto Ursula von der Leyen è stata rieletta alla presidenza della Commissione Europea dopo un discorso in cui ha posto l’Unione al fianco dell’Ucraina “fino alla vittoria”. Una vittoria in cui a quanto sembra neppure gli ucraini credono più.