Lucilio: la satira è totalmente latina
La nascita della satira è legata alla figura di Lucilio, l’inventor del nuovo genere letterario. Nato a Sessa Aurunca in Campania nel 180 a. C. di lui restano solo frammenti di opere. L'aspetto più moderno dei suoi versi è la vis polemica contro la corruzione e il vizio presenti nella società.
Dal III secolo a. C. alla prima metà del II secolo a. C. i generi seri della letteratura greca passano in quella romana: la tragedia e la commedia, l’epica e la storiografia. Nel tempo, però, all’interno della cultura romana, si sente l’esigenza d’innovazione e di generi più leggeri.
«Satura tota nostra est» scrive Quintiliano nell’Istitutio oratoria. La nascita della satira è legata in maniera indissolubile alla figura di Lucilio che può essere considerato l’inventor del nuovo genere letterario, anche se già Ennio e Pacuvio hanno scritto satire. Lucilio connota, però, il nuovo genere con l’uso dell’esametro e con un piglio polemico e aggressivo. Per questa ragione Lucilio riveste un ruolo importante nel panorama della letteratura mondiale. Ma non è l’unica ragione della rilevanza della sua attività letteraria. Infatti, lo scrittore è anche il primo che, pur proveniendo da ottimi natali, da una famiglia agiata e possidente, rinuncia volontariamente alla carriera politica per dedicarsi all’otium, cioè all’attività culturale e alla scrittura. In un mondo come quello romano in cui il negotium è tutto, Lucilio introduce una consapevolezza nuova, figlia della cultura filellenica: un libro, un verso, una parola possono avere effetti e conseguenze persino maggiori di un’impresa commerciale, politica o militare.
Nato a Sessa Aurunca in Campania nel 180 a. C., Lucilio non intraprende, quindi, il cursus honorum e preferisce evitare di sposarsi per dedicarsi unicamente alla poesia. Come Ennio accompagna Fulvio Nobiliore nella campagna di Ambracia, allo stesso modo Lucilio affianca l’amico e comandante Scipione l’Emiliano nella guerra di Roma contro Numanzia nel 134-133 a. C. Muore a Napoli nel 102 a. C.
L’autore trascura tutti gli altri generi letterari per dedicarsi esclusivamente alla satira, componendo ben trenta libri, che contengono satire non ordinate secondo criteri cronologici, ma metrici: i primi ventun libri, più recenti, sono scritti tutti in esametri, mentre gli altri presentano metri vari. Purtroppo non è rimasto neanche un componimento integro e le migliaia di frammenti raramente superano la lunghezza di un verso. Difficile è, quindi, la ricostruzione del significato complessivo dei testi.
Sappiamo che i temi affrontati da Lucilio nelle satire sono i più diversi: dalle vicende autobiografiche (il viaggio in Sicilia, le amicizie, …) alla parodia della tragedia, da questioni di poetica a polemiche personali con personaggi in vista come il princeps senatus Lentulo Lupo. Il suo iter Siculum influenzerà molto anche la satira di Orazio in cui racconta il suo iter Brundisium (viaggio a Brindisi), anche se il maggior autore di satire romano criticherà lo stile lutulentus (fangoso) di Lucilio, poco sottoposto al labor limae.
Del resto, proprio l’eterogeneità dei temi affrontati nella satira è rimarcata dall’etimo della parola «satira» che proviene da satura lanx, un piatto misto di varia frutta da offrire agli dei durante le cerimonie. La parola satura deriva, a sua volta, da satur (sazio, pieno), aggettivo che ha la stessa radice di satis (abbastanza): comprende, quindi, il concetto di pienezza e di varietà.
Nelle satire Lucilio, pur non allontanandosi dal mos maiorum, propugna nuovi valori e uno spirito critico che sappia vagliare e soppesare ciò che davvero conta. Scrive Lucilio: «La virtù […] è saper dare il giusto valore alle cose/ intorno a cui ci muoviamo, fra cui viviamo,/ la virtù è conoscere per l’uomo cosa conta ogni cosa,/ la virtù riconoscere il giusto, l’utile, l’onesto per l’uomo qual è/ quale il bene così quale il male, quale cosa inutile, turpe, disonesta;/ la virtù è riconoscere il limite e la misura del guadagno;/ la virtù saper pagare il giusto prezzo al denaro; /la virtù saper attribuire all’onore quanto realmente gli spetta,/ […] quindi mettere al primo posto l’interesse della patria,/ poi dei genitori e infine al terzo e ultimo il nostro».
La satira di Lucilio è, spesso, polemica nei confronti di atteggiamenti considerati immorali, come ad esempio in questi frammenti rivolti a quelle donne che nella società romana, godendo ormai di una maggiore libertà rispetto ai primi secoli della Repubblica, ne approfittano per uscire sempre più senza la compagnia del marito: «O a celebrare un sacrificio con le amiche in un tempio assai frequentato… O quando bisogna andare da qualche parte e trova una scusa per uscire – deve andare dall’orefice, dalla mamma, dalla cognata, dall’amica… la lana, ogni lavoro va in rovina; le tignole e la muffa distruggono tutto».
Altre volte Lucilio sottolinea la distanza tra i suoi versi e la letteratura alta precedente, incline a toni aulici e magniloquenti e orientata, al contempo, ad argomenti fantastici e immaginari: «…Se non narrate di portenti o di serpenti con ali e penne. Ora io non voglio piacere allo stesso modo alla gente del popolo come questi scrittori:/ noi vogliamo conquistare l’animo di quelli».
L’aspetto senz’altro più moderno dei versi di Lucilio è la vis polemica contro la corruzione e il vizio presenti nella società o in un rappresentante importante del mondo romano. Quando vede la depravazione, l’autore attacca indistintamente coloro che ne sono fautori, senza curarsi del ceto a cui appartengono o del nome che portano. Questo fatto denota l’assoluta libertà con cui il poeta scrive: «Ora dal mattino fino a notte, nel giorno di festa e nel feriale, ugualmente e senza distinzione, il popolo tutto intero e i senatori tutti quanti si affacendano nel foro, non se ne allontanano in nessuna occasione, tutti si dedicano ad una sola e medesima attività e arte, di riuscire a darla a bere con circospezione, a farsi la guerra col raggiro, a gareggiare in adulazioni, a fingersi persone oneste, a tendere insidie, come se tutti a tutti fossero nemici». Così, Lucilio si scaglia contro il vizio del bere «Infamam incestam turpemque odisse popinam» ovvero «odiare l’osteria malfamata, lorda e immonda»), contro l’effeminatezza proveniente dalla Grecia («Gnatho, quid actum est? Depilati omnes sumus» ovvero «Gnatone, cosa è accaduto? Siamo tutti depilati») o contro le prostitute di lusso.
Un altro bersaglio polemico è Lucio Cornelio Lentulo Lupo, console nel 156 a. C., censore nel 147 a. C., princeps senatus nel 131 a. C., appartenente all’aristocrazia e avversario degli Scipioni. Lucilio lo colpisce nei suoi vizi, ben visibili dall’aspetto fisico: «O Lupo, ti uccidono le saperde e i brodetti di siluro». Con una parodia dell’epica di Omero Lucilio s’immagina che il concilium deorum decida di far morire Lentulo Lupo di indigestione.