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LO STUDIO

Luce sull'Isis: la mente in Iraq, le braccia in Europa

Un nuovo studio permette di fare il punto sul terrorismo jihadista in Occidente e capirne le dinamiche. La pubblicazione, che porta la firma degli italiani Lorenzo Vidino e Francesco Marone e dell’olandese Eva Entenmann contribuisce a smontare una serie di luoghi comuni sulla natura del terrorismo “dei lupi solitari”.

Esteri 08_07_2017
Stato Islamico, un e-book del Califfato

Un nuovo studio permette di fare il punto sul terrorismo jihadista in Occidente e capirne le dinamiche. La pubblicazione, che porta la firma degli italiani Lorenzo Vidino e Francesco Marone e dell’olandese Eva Entenmann, realizzato da George Washington University (Usa), Ispi (Italia) e Icct (Olanda), contribuisce a smontare una serie di luoghi comuni duri a morire sulla natura del terrorismo “dei lupi solitari”. Il titolo in inglese, molto più eloquente di quello dell’edizione italiana ("Jihadisti della porta accanto"), è “Temi il tuo vicino”. Il 73% degli attentatori, infatti, è composto da cittadini del paese in cui è stato eseguito l’attacco; il 14% era legalmente residente in tale paese o in visita da paesi confinanti.

Lungi dall’essere parte di una “nuova normalità”, l’attuale ondata di attentati è un fenomeno recente, straordinario e fuori dalla norma. Se entro il 2011 la prima ondata di terrorismo (Al Qaeda) pareva già sotto controllo, dal 2014 è iniziata una seconda ondata, strettamente correlata alla nascita e alla crescita dello Stato Islamico. Lo studio prende in esame 51 attacchi portati a termine in Europa e Nord America dal giugno del 2014 (quando è stato proclamato il Califfato) sino al giugno del 2017. Questi atti di terrorismo hanno provocato 395 vittime e almeno 1549 feriti. Ci sono i grandi attentati con decine di vittime, come quelli che tutti ricordiamo a Parigi (Bataclan), Nizza, Bruxelles. Ma anche singoli omicidi commessi nel nome dello Stato Islamico. Episodi oscuri, che pochi ricordano e che anche allora fecero poco notizia, come l’assassinio di Hervé Cornara del 26 giugno 2015 a Saint-Quentin-Fallavier, in Francia, da parte di Yassin Salhi. Considerato un elemento radicalizzato dai servizi francesi, anche se non una minaccia imminente, Salhi ha decapitato il suo datore di lavoro, ha avvolto la testa in due bandiere nere con la shahada (la professione di fede islamica). Piccoli episodi di questo genere, parte di una guerra strana, ma guerra. Perché si tratta di azioni tutt’altro che episodiche e niente affatto “spontanee”. Fanno parte di una strategia ben pianificata.

Spiegano i tre autori che: “Con il tempo, comunque, era risultato evidente che il gruppo (l'Isis, ndr) tentava di progettare atti terroristici in Occidente sin dal 2012 – l’anno del suo passaggio in Siria – e che, a tale scopo, aveva dislocato dozzine di operativi nei paesi che intendeva attaccare (in prevalenza europei)”. Alcune delle azioni più eclatanti sono state pianificate direttamente dal territorio del Califfato. “Non sono ancora noti tutti i dettagli riguardanti gli attacchi di Parigi e Bruxelles. Cionondimeno, con il tempo, è divenuto chiaro che gli attacchi erano stati concepiti e pianificati all’estero, da un’unità francofona all’interno dell’Emni, sezione dello Stato Islamico che si occupa delle operazioni esterne”. L’Emni, organizzato da ex ufficiali dell’intelligence del regime di Saddam Hussein in Iraq, è la vera master mind dell’azione terroristica. Non solo agisce con una pianificazione diretta, ma anche ispirando azioni condotte da gruppi reclutati nei paesi-bersaglio. “Tale dinamica spuria – si legge nello studio italo-americano-olandese - è stata sospinta dalla crescita del fenomeno dei cosiddetti virtual planners (“pianificatori virtuali”). Nel caso dello Stato Islamico, si tratta di figure che, tramite l’uso dei social e delle piattaforme di messaggistica criptata, si connettono agli aspiranti terroristi che si trovano al di fuori dei territori del Califfato, guidandoli nell’esecuzione degli attacchi”. Per esempio: “Uno dei più fecondi virtual planners dello Stato Islamico è stato Rachid Kassim, un ex rapper dalla città francese di Roanne, il cui canale Telegram Sabre de Lumière ha contribuito a guidare molte reclute nell’esecuzione di attentati in Francia”. Fra questi attentati c’è anche la decapitazione di padre Jacques Hamel. Infine c’è una terza tipologia di terrorista: il vero “lupo solitario”, che agisce in nome e per conto dello Stato Islamico, condizionato dalla sua propaganda, pur non avendo contatti con i suoi uomini.

Secondo questa ricerca, il reclutamento dei jihadisti nei paesi europei non è direttamente correlato né al loro livello di istruzione, né al loro reddito. Su questi due fattori, infatti, i dati sono molto contrastanti. Ci sono alcune costanti: l’83% era noto alle autorità. Il 57% ha precedenti penali e il 34% è stato in carcere. Ma soprattutto, è ritenuto ancor più importante il ruolo degli “hub” del reclutamento: comunità musulmane omogenee al loro interno, presenti nelle città e cittadine europee, in cui è possibile fare gruppo. Un esempio eclatante è il quartiere di Molenbeek in Belgio, ma viene citato anche il caso molto meno noto della cittadina francese di Lunel, 30mila abitanti in tutto, un terzo dei quali musulmani, ora tristemente nota come "capitale del jihad" per l'altissimo numero di foreign fighters che ha prodotto. La presenza di una maggior concentrazione di hub, la consistenza numerica e il ruolo politico del paese-bersaglio contribuiscono a spiegare perché certi paesi subiscano più attentati di altri: 17 in Francia, 16 negli Usa, 6 in Germania, 4 nel Regno Unito, 3 in Belgio, 1 in Danimarca e 1 in Svezia.

Perché non ci sono attentati in Italia, nonostante la propaganda dello Stato Islamico ci prenda spesso di mira? In Italia ci sono meno radicali islamici che negli altri paesi europei. Lo si deduce soprattutto dal minor numero di “foreign fighters” partiti dall’Italia (122 in tutto) rispetto a quello di altri paesi (1700 dalla Francia e un migliaio dal Regno Unito e dalla Germania, tanto per fare tre esempi). Perché ci sono meno radicali islamici in Italia? Lo studio formula due ipotesi: “è opportuno ricordare che l’evidenza empirica mostra che i militanti jihadisti sono spesso figli di immigrati (seconde o terze generazioni), non di rado alle prese con complessi problemi di identità e di riconoscimento. A oggi, in Italia questo bacino di reclutamento potenziale presenta dimensioni ancora ridotte, perché l’immigrazione dai paesi a maggioranza musulmana è un fenomeno relativamente recente”. La seconda ipotesi è che la prevenzione abbia funzionato bene: “Le autorità nazionali hanno conseguito notevoli risultati nella lotta al terrorismo, servendosi anche di strumenti originali nel contesto europeo, come l’uso massiccio di espulsioni amministrative di cittadini stranieri per motivi di sicurezza dello Stato”.

Ma le cose possono sempre peggiorare. Due jihadisti fra i più noti negli attentati recenti, Anis Amri (attentatore di Berlino) e Youssef Zaghba (attentatore di Londra) sono partiti dall’Italia. E poi: “Anche in Italia emergono poli (hubs) di radicalizzazione a livello locale, per quanto meno radicati ed estesi rispetto ad altri paesi dell’Europa occidentale”. Lo studio prende in considerazione, in particolar modo, il caso di Ravenna, da cui sono partiti 9 foreign fighters su 122.