Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Martino de Porres a cura di Ermes Dovico
TREVISO

L'ora di religione cattolica affidata alla pastora battista

Nella diocesi di Treviso si è pensato di invitare al corso di abilitazione dell’insegnamento della religione cattolica per tutte le scuole di ogni ordine e grado Lidia Maggi, pastora delle chiese battista. La Genesi? Un mito. E Dio? Ha dei limiti. 

Ecclesia 17_01_2019

Nella diocesi di Treviso si è pensato di invitare al corso di abilitazione dell’insegnamento della religione cattolica (IRC) per tutte le scuole di ogni ordine e grado la sig.ra Lidia Maggi, pastora delle chiese battiste e teologa. Perché si debba invitare una pastora protestante ad un corso per l’insegnamento della religione cattolica non è dato sapere: le vie dell’ecumenismo sono infinite. O forse sono finite... male! 

E’ pur vero che oggi non è semplice distinguere il verbo dei pastori cattolici da quello dei pastori protestanti... Fatto sta che la sig.ra Maggi è stata chiamata a parlare dei primi undici capitoli del libro della Genesi. E’ la stessa pastora che fu invitata l’anno scorso dalla parrocchia Regina Pacis di Reggio Emilia da don Paolo Cugini per un incontro “per il superamento dell’omofobia, della transofobia e di ogni altra forma di intolleranza”. Abbiamo ricevuto in Redazione la trascrizione dell’incontro da parte di un partecipante che è rimasto piuttosto perplesso ed amareggiato. Ma, essendo il nostro lettore cattolico, nessun pastore, né cattolico né protestante, si curerà del suo disappunto.

Il taglio della Maggi, com’era prevedibile, non prende minimamente in considerazione l’esegesi patristica del testo biblico e nemmeno i binari dottrinali che ne offre il Catechismo della Chiesa Cattolica, che non sono un’interpretazione tra le altre, ma intendono indicare in quale direzione devono volgersi le pur legittime differenze interpretative.

I due brani biblici dedicati alla creazione dell’uomo e della donna indicano, secondo la Maggi, il dato ed il compito dell’alterità e dell’incontro, cosa senz’altro corretta, sebbene non unica; il problema è che poi la pastora in modo più fantasioso che teologico infila una serie di considerazioni piuttosto problematiche. La prima: “Dio, nel giardino del limite, dice il suo limite: che nemmeno Lui basta alla sua creatura per riempire la sua vita e che non può fare tutto da solo”. Chissà cosa direbbe santa Teresa d’Avila (“Solo Dios basta”)... Poi che “il serpente... è un mito perché i serpenti nei miti parlano e nella realtà no”. Non una parola di spiegazione in più. E verrebbe da chiedersi se i Padri, che invece vedevano nel serpente qualcuno di ben preciso, esistente e maligno, fossero tutti così ebeti da ritenere che nella realtà i serpenti parlino. 

Dopo un’intricata spiegazione del racconto di Caino e Abele, la Maggi si sofferma sul racconto del diluvio universale e ci spiega che in realtà il racconto è una trasposizione in forma mitica del desiderio che noi abbiamo di un Dio “interventista”. La cosa è alquanto contorta ed i lettori devono avere un po’ di pazienza. Dunque, le pagine dedicate al diluvio universale non narrano qualcosa che Dio ha effettivamente operato, ma quello che noi vorremmo che Dio facesse di fronte al male. Il racconto ci mostrerebbe quello che Dio avrebbe fatto se avesse seguito il nostro modo di ragionare. E per mostrarci che questa eliminazione del male non funziona, Dio ci fa vedere che alla fine, anche dopo il diluvio, il male resta, constatando che “l’istinto del cuore umano è incline al suo male fin dall’adolescenza” (Gen. 8, 21). In pratica, nel mito del diluvio, Dio ci insegnerebbe che “nell’arca secondo il tuo sistema di giustizia che separa i buoni e i cattivi è scampato fuori anche il male, allora non funziona”. Lo stesso insegnamento sarebbe racchiuso nella parabola evangelica della zizzania e del buon grano; “il nostro concetto di giustizia che vorrebbe separare i buoni dai cattivi non funziona, è questo che ci racconta il diluvio; non funziona perché porta solo distruzione”. Immaginiamo che anche il racconto di Sodoma e Gomorra sarebbe da leggere come una finzione: è quello che Dio avrebbe fatto se fosse un uomo con la nostra mentalità giustizialista...

E in effetti la Maggi rincara: “Il male non si elimina separando i cattivi, creando le prigioni... Il male non si elimina trasformando le chiese in uteri in cui proteggere i nostri ragazzi, proteggendoli dai rischi; non funziona così, l’arca di Noè racconta anche questo”. Eh, già: sapienza pedagogica.

Anche l’interpretazione del capitolo 11 della Genesi è quanto mai “originale”. Il problema dei costruttori della torre di Babele è che parlavano una sola lingua, simbolo del pensiero unico. Dunque, l’intervento divino di confondere le lingue non è una punizione dell’ambizioso progetto di costruire una torre che raggiunga il cielo, ma è un modo “per ristabilire l’alterità”. Afferma la Maggi: “Qui è importante notare che per alcuni, questo atto di Dio è un atto di punizione, ma per la mentalità biblica questo atto di Dio è un atto di ricreazione, ridare un’altra possibilità all’umanità che ha tradito la sua vocazione: chiamata ad espandersi, si è tutta radunata in un buco e cresce in verticale in un unico progetto. E cosa fa Dio? Non si mette a predicare, a dire: no, guardate che questo pensiero unico non va bene, è una falsa pace… lui differenzia le lingue. Ma le lingue erano già differenziate prima di Babele e allora Dio ristabilisce la benedizione originaria”. Che il progetto umano di raggiungere il cielo comporti l’omologazione, direi che è un’evidenza. Ma che la nuova realtà ideale sia la confusione delle lingue... Altro è la distinzione, altra la confusione, il non capirsi più. E allora il cerchio si chiude: si capisce bene cosa ci facesse la Maggi a Reggio Emilia: evidentemente gli “omofobi” erano quelli del pensiero unico, mentre i gay-friendly erano i promotori dell’alterità. E si capisce cosa ci faccia in un corso per insegnanti della religione cattolica: ormai si tratta di una religione cattolica 2.0, rigorosamente arcobaleno, che rimuove ogni idea di pena e di giustizia, e che non conosce più alcun peccato, se non quello contro l’alterità.