L'opera voluta da don Bosco e il potere di san Giuseppe
Occorre volgere lo sguardo al quadro che san Giovanni Bosco volle per l’altare laterale della basilica di Maria Ausiliatrice a Torino. Questo infatti descrive la premura del padre putativo di Gesù per noi e, secondo la spiegazione del santo stesso, ci ricorda quali grazie è meglio domandargli. Perché non tutte sono uguali.
Si avvicina la bella festa del grande patriarca san Giuseppe. In quest’anno siamo chiamati a solennizzarla maggiormente, visto il particolare giubileo a lui dedicato, indetto dal Pontefice. A tal fine potrà esserci di aiuto e di incoraggiamento volgere lo sguardo, sia del corpo che dell’anima, al quadro che il nostro don Bosco ha voluto fosse realizzato dal Lorenzone per l’altare laterale della basilica di Maria Ausiliatrice, a Torino. Non a caso, san Giuseppe occupa qui un posto di tutto rilievo.
Il santo amico dei giovani, come tutti i suoi contemporanei, nutriva una particolare devozione per il padre putativo del Signore, tanto da sceglierlo come protettore delle sue opere e patrono degli artigiani che qui si formavano. Aveva disposto che le sue feste (almeno tre durante l’anno) fossero celebrate con solennità negli oratori e nelle scuole, precedute da novene, tridui e letture spirituali per poi essere coronate da dolci merende, accademie devozionali e spettacoli di intrattenimento.
Don Bosco si era molto rallegrato della proclamazione di san Giuseppe a Patrono della Chiesa Universale da parte del beato Pio IX (8 dicembre 1870) e volle quindi, per sottolineare questo in modo concreto e tangibile per i suoi ragazzi, che da allora la festa celebrata il 19 marzo fosse accompagnata dal perfetto riposo da ogni lavoro e studio, come nei giorni di precetto, mentre il Piemonte aveva definitivamente cancellato quella data dal numero dei giorni festivi. Apostolo della buona stampa, inserì più volte tra i titoli delle sue Letture cattoliche (agile collana catechistica per il popolo) pubblicazioni sulla vita di Giuseppe, la devozione e le grazie che egli ottiene a chi lo invoca.
In tutte le Chiese e cappelle della nascente Congregazione Salesiana voleva che vi fosse un altare o almeno un’immagine dedicata al Custode del Redentore. Ci soffermiamo ora sul quadro voluto appunto per la Casa Madre di Torino-Valdocco. Fu lo stesso don Bosco a dare precise indicazioni al pittore per la sua realizzazione, volendo rappresentata tutta la Sacra Famiglia. San Giuseppe è al centro, in piedi, sopra una nuvola, portando sul braccio sinistro il bambino Gesù, il quale tiene in mano un cestino pieno di rose. Il piccolo Salvatore le porge una ad una al padre che le fa piovere sulla casa di Valdocco (la chiesa di Maria Ausiliatrice con l’intera opera accanto) che ha per sfondo le colline di Superga. L'atteggiamento del Bambino è di una grazia singolare, perché, rivolto al suo caro san Giuseppe, gli sorride con infinita dolcezza. Con altrettanta gioia si unisce a questo sguardo la sua santissima Madre, ritta in piedi e in bella movenza, con le mani giunte, tutta rapita nella contemplazione di quel dolce scambio di ineffabile amorevolezza tra il suo divin Figlio e il suo purissimo Sposo. Attorno a loro è già paradiso: tre angeli, a mani giunte, stanno ai loro fianchi (uno di questi porta la famosa verga fiorita, a ricordo dello sposalizio) mentre altri due, in cima, richiamano l’osservatore al messaggio scritto su una fascia da loro sorretta (Ite ad Joseph) per poi rinviarlo a contemplare la Sacra Famiglia.
Ascoltiamo la testimonianza diretta di don Francesco Picollo, presente alla benedizione dell’opera: «Lo sguardo di tutti si concentrò sulla tela che copriva il quadro, in un'ansia vivissima di vedere se proprio era bello come l'avevano descritto. Quando l'immagine soave di San Giuseppe comparve quale don Bosco l'aveva suggerita al Lorenzone, nella tinta così ben contemperata di colori, si intese nel tempio un sommesso bisbiglio generale: tutti commentavano sottovoce esprimendo le proprie impressioni: "Com'è bello San Giuseppe!", diceva un compagno; "Guarda com'è soave il Bambino che adagia il capo sul petto del Santo..."; "Vedi il cesto di rose", diceva un altro; "Sulle ginocchia del Bambino? Dà le rose a San Giuseppe che le fa cadere sull'Oratorio"; "Sono simbolo delle grazie che ci vuol fare", aggiungeva un terzo; "Non è un quadro che vediamo - disse uno - è qualche cosa di parlante, è una predica"; "Basta vedere per capire subito che cos'è la divozione a S. Giuseppe e quanto Egli s'interessa di noi!"».
«Un suono di campanello ristabilì il raccoglimento tra i fedeli, mentre la voce argentina di don Bosco intonava il Deus in adiutorium e invocava quei sacri carismi di cui Dio arricchisce i quadri allorché con la benedizione del sacerdote cessano di essere cosa profana per divenire cosa sacra. E don Bosco benedisse la sacra immagine che pareva sorridere a tutta quella moltitudine di giovinetti che in Lui riponevano la loro più viva fiducia: poscia cantò anche la Messa solenne. Io ero vicino all'altare ed ho potuto ammirare il devoto slancio del Servo di Dio che spesso innalzava gli occhi al quadro e che cantava con voce commossa le orazioni del Santo».
Un ultimo particolare. Don Francesco Giacomelli, già compagno di seminario del fondatore e poi suo confessore, osservando i diversi colori delle rose domandò a don Bosco: “Che cosa vogliono significare queste rose bianche e rosse? A me pare che le bianche figurino le grazie che piacciono a noi, mentre le rosse sono quelle che piacciono più a Dio. Che ne dici?”. Il Santo rispose: “Va bene. Ma sappi che le rose rosse sono le migliori!”.
Invochiamo dunque san Giuseppe in questo mese e in questo anno a lui dedicati, affinché ci ottenga dal Signore Gesù le grazie più utili al nostro cammino di conversione, specialmente quelle che piacciono di più al cuore di Dio.