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ATTACCO AL CULTO

L'omelia la decide la D'Urso: prete alla gogna se parla di gay e aborto

Tv trash, nuovo tribunale del popolo che decide le omelie: in un mese da Barbara D'Urso a Pomeriggio 5 sono finiti alla gogna tre preti, "rei" di insegnare dal pulpito la dottrina cattolica su aborto, omosessualità e divorzio. L'ultimo a Erba: la troupe va da don Bruno Borelli e allestisce un collegamento da "delitto": «Ha associato il male all'omosessualità e all'aborto». La conduttrice gli intima di pensarlo in camera sua e non in chiesa. No comment dalla diocesi. Intanto i preti sono avvertiti: attenti a come predicate.

- UNA LEGGEREZZA CHE SFOCIA NELLA DIFFAMAZIONE di Ruben Razzante

Libertà religiosa 26_11_2020

Una tv che mette alla berlina un prete e lo rimprovera dicendogli come deve fare le prediche non è solo una tivù spazzatura, ma è una televisione che si incarica di essere la Stasi del nuovo millennio: pronta a dare la caccia fin sull’altare ai sacerdoti che non si allineano al pensiero debole e al relativismo violento che si sta imponendo.

Non c’è nulla di giornalismo, nulla di deontologia, nulla di tv verità, c’è solo la caccia al prete, il controllo del culto, l’intimidazione del colpirne uno per educarne cento nella diretta che Barbara D’Urso ha messo in piedi per prendere di mira un prete che semplicemente non gli piace. L’omosessualità, l’aborto, il divorzio sono il confine che non si può valicare.

Quello che è andato in onda a Pomeriggio 5 martedì (QUI dal minuto 19 e seguenti) è un pessimo segnale del clima che si incomincia a respirare nel Paese e che diventerà sistematico se dovesse essere approvato il Ddl Zan sull’omotransfobia.

Le prime avvisaglie ci sono state con la messa alla berlina di don Andrea Leonesi, prete di Macerata, che ha fatto un raffronto tra aborto e pedofilia ed è finito infilzato dalla polizia del pensiero, poi si è proseguito con don Mario Martinengo di Cremona: ha ribadito la dottrina cattolica di condanna degli atti di omosessualità e anche lui è finito vittima delle telecamere di Canale 5 della D’Urso.

Stavolta a farne le spese è un tranquillo parroco di Erba (Como), diocesi di Milano. Don Bruno Borelli ha pubblicato sul canale Youtube della parrocchia di San Maurizio le omelie per permettere ai tanti fedeli che in questo periodo di pandemia non escono di casa, di assistere alla Messa. Ma non aveva fatto i conti con le segnalazioni delle “spie” pronte a chiamare la buoncostume d’ursiana, che dopo aver rampognato in diretta tv con patetico “maternalismo” perfino Giorgia Meloni sulla sua contrarietà al Ddl Zan, è diventata la nuova sacerdotessa della causa gay e pensa di essere investita del sacro ruolo di Torquemada di Canale 5.

Pomeriggio 5, puntata del 24 novembre. A Erba arriva la troupe di Cristina Battista, già mandata a dare una sistemata a Cremona qualche giorno prima. Si apparecchia il caso con titoli ad effetto: «Frasi choc a Erba», si annuncia la troupe in esterna e sembra di essere tornati ai giorni di Olindo e Rosa, con i cronisti appostati sotto casa della povera vittima con il contorno di pubblico.

«Abbiamo ricevuto una segnalazione», dice la d’Urso. Così parte lo squadrismo. Si presenta il caso: si parla di un sacerdote che – come gli altri - ha detto delle cose inaccettabili, la giornalista si presenta affiancata da due persone che si dicono non essere d’accordo con don Bruno e che «ci hanno chiesto di parlare». Ma è falso: sono solo due figuranti prese poco prima per la strada adeguatamente istruite.

Va in onda uno stralcio dell’omelia pronunciata il 22 novembre. Nel rito Ambrosiano è già la II di Avvento. Don Bruno parla di Giovanni il Battista e del suo giudizio sui peccatori (Matteo 3, 1-12). Ecco le sue parole: «Oggi verso il male c’è un pensiero debole, si dice che il peccato non è peccato, che il male è un bene, è un diritto, accettando azioni intrinsecamente cattive come l’aborto, il divorzio, l’omosessualità. Invece Giovanni Battista non si fa scrupolo a chiamare i peccatori “razza di vipere”». Parole correttissime per la dottrina, consolidate dal Magistero, trasmesse dalla tradizione, accettate da secoli di omiletica, ma inascoltabili all’orecchio incolto della D’Urso che torna in studio e confonde «…intrinsecamente cattive…» con «tristemente cattive»… e poi la cattolica sarebbe lei.

L’inviata fa parlare una delle figuranti, tale Vanessa, che, coperta da mascherina d’ordinanza, lancia il suo j’accuse al prete: «Ciao Barbara, io non sono d’accordo, di cavolate se ne dicono tantissime io sono per l’amore universale». La D’Urso annuisce con serafica impassibilità e dice: «Brava. La gravità è che viene detta su un altare, durante una Messa dove ci sono persone anziane che hanno figli omosessuali e pensano che avere un figlio omosessuale sia il male».

La regia manda in onda uno scambio registrato tra la giornalista e don Bruno in cui lui ribadisce: «Non commettere atti impuri è un Comandamento di Dio», «Gesù sul divorzio è stato chiaro», «L’aborto è un omicidio di un bambino, prima c’è il suo diritto a vivere».

Per la D’Urso è troppo: «Caro don Bruno: il diritto è quello delle donne di scegliere cosa fare, io sono contro l’aborto, ma sono a favore della donna di scegliere che cosa fare, non mi sembra che Gesù ha detto che non si può divorziare». Non sembra a lei, ma forse le sfugge Marco 10, 6-9 ("l'uomo non separi ciò che Dio ha unito"). Ma ormai è inutile pretendere che la D’Urso faccia ripetizioni di catechismo tra uno spot e l'altro delle sue infinite dirette. C'è però spazio per un ultimo ammonimento, per un invito al ravvedimento, che sa tanto di minaccia, di ultima chiamata: «Vorrei tanto parlare con don Bruno, mi sembra una persona tenera, carina, anziana, con la quale mi piacerebbe parlare e raccontare alcune cose…».  Poi, il trionfale omaggio finale alla lingua italiana: «Se lo pensa, lo pensasse nella sua cameretta, ma se lo dice davanti alla gente, è un messaggio sbagliatissimo».

La diretta si chiude.

Il giorno dopo don Bruno, al telefono con la Bussola è tranquillo e stupito di tutto il clamore. Ma non demorde. Ha messo in mano all’associazione Justitia in veritate (nata durante il lockdown dall’avvocato milanese Francesco Fontana per denunciare le incursioni dello Stato nelle chiese) ogni eventuale considerazione su risvolti penali per un’incursione che non ha nulla a che fare col giornalismo, ma nella quale si ravvedono alcuni elementi di violazione della deontologia e della libertà di culto.

La curia di Milano, informata dalla Bussola, ha subito interessato il vicario di zona che ha contattato don Bruno, ma al momento ha deciso un atteggiamento attendista limitandosi al no comment. Un comportamento diverso da quello del vescovo di Macerata Nazzareno Marconi che ha difeso pubblicamente don Leonesi dagli attacchi dopo una frase, quella su raffronto pedofilia/aborto, sicuramente imprudente e imprecisa, ma che non meritava la gogna.

Il segnale è lanciato: la tv spazzatura non si fermerà a questi episodi perché ha bisogno di rieducare, non tollera che un prete dica la verità sull’uomo, non permette che la Chiesa sempre più di Stato lotti per chiamare peccato ogni violenza spacciata per diritto. E stando alla gogna messa i campo non farà prigionieri. Pensare che l’offensiva possa fermarsi o arginarsi senza reagire è una pura illusione.  

A Erba un’omelia è stata sottoposta al tribunale del popolo che decide che cosa i preti possano dire e che cosa no, messa sotto la lente dello share, vagliata al fuoco del trashometro. E un prete è stato avvertito: attento a come parli, la dottrina non puoi più dirla neanche al chiuso della tua chiesa perché gli squadristi con la telecamera sono in agguato.