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CARDINAL HUSAR

L'omaggio di Francesco al padre spirituale dell'Ucraina

I funerali di Lubomyr Husar, arcivescovo maggiore della Chiesa greco-cattolica, hanno unito nel pianto tutta l'Ucraina. Il cardinal Husar è stato il padre della rinascita spirituale del paese, dopo l'ateismo di Stato sovietico. Papa Francesco gli rende omaggio con, non uno, ma due messaggi. Non è da escludere la sua prossima beatificazione.

Ecclesia 07_06_2017
Il cardinal Husar e Giovanni Paolo II

La persistenza dell’ostinato disinteresse dei media e dell’ostentato fastidio del mondo diplomatico (russo e di molti paesi più o meno compiacenti verso il Cremlino) per quel che sta accadendo in Ucraina – dopo l’annessione russa della Crimea, un fitto velo avvolge  il quotidiano bilancio di vittime, combattenti e civili, del conflitto russo-ucraino nel  Donbass – avrebbe dovuto far passare come evento di scarso rilievo la morte, a 84 anni, del cardinale Lubomyr Husar, arcivescovo maggiore (non patriarca, titolo compromissorio del dialogo ecumenico) della Chiesa greco-cattolica ucraina fino al 2011. I malesseri dell’età avanzata avrebbero poi contribuito a stemperare, se non proprio ad affievolire, la pregnanza della sua figura nella vita pubblica della nazione. 

Ma così non è stato. La stragrande maggioranza del paese, non solo quindi i cinque milioni di fedeli cattolici di rito bizantino, ha avvertito che non c’era più  “il” punto di riferimento per antonomasia, dovuto alla indiscussa elevatezza culturale e alla credibilità morale; che era venuto a mancare un padre – certo un religioso dei Monaci studiti – dalla tempra di uomo responsabile, che aveva fatto della sua vita un cammino di pace; che non si sarebbe più sentita la sua voce soave, convincente, proclamare l’impossibilità di percorrere i sentieri della pace senza amore verso tutti, ché diversamente sarebbe prevalso l’odio. E come lo aveva affermato sulla piazza del Maidan, nel pieno della cruenta rivolta popolare contro il regime filo-russo, lo dimostrava sempre nei rapporti con i cristiani delle confessioni ortodosse.

Uno spontaneo moto di stima e di riconoscenza verso il cardinale Husar si è pertanto manifestato nei luoghi in cui era possibile rendergli l’ultimo omaggio, non solo di popolo ma anche di personalità della cultura, dell’arte, della scuola, della politica. Straordinario è stato nei giorni scorsi l’afflusso di persone a Lviv (Leopoli), la città dell’Ucraina occidentale per secoli sede episcopale della Chiesa greco-cattolica; e da ieri l’altro a Kiev, la capitale, ove Husar trasferì questa sede nel 2004. Qui sulla riva sinistra del maestoso Dnieper, nella cattedrale della Resurrezione ancora incompleta, e perciò spoglia di affreschi (un capolavoro della moderna architettura) ieri lunedì il suo successore, l’arcivescovo maggiore Sviatoslav Shevchuk, ha presieduto la solenne celebrazione delle esequie. E’ durata tre ore e mezza e vi hanno partecipato un centinaio di vescovi (che hanno assistito nella cripta alla tumulazione), oltre seicento sacerdoti, monaci e monache, parenti, ministri e personalità civili. La folla, non solo di laici, che non aveva trovato posto all’interno, colmo anche il matroneo, ha occupato i vasti spazi esterni.

“Questa presenza è il segno eloquente di quello che egli è stato: una tra le autorità morali più alte e rispettate negli ultimi decenni del popolo ucraino” scriverà  papa Francesco nella lettera che il suo rappresentante personale, il segretario della Congregazione delle Chiese Orientali, l’arcivescovo Vasil Cyril S.I. (quindi suo confratello) ha consegnato all’arcivescovo Shevchuk che ne ha dato lettura. Messaggio che era stata preceduto, all’indomani dell’annuncio della morte di Husar, da un suo telegramma di cordoglio allo stesso Shevchuk. Ora due messaggi papali in pochi giorni per lo stesso evento non sono per nulla nella prassi della Segreteria di Stato. (Il primo in data 1 giugno era pervenuto a Shevchuk tramite il nunzio in Ucraina, l’arcivescovo Claudio Gugerotti, anch’egli ieri concelebrante. Gugerotti, ricordiamo, si è recato di recente nel Donbass a distribuire personalmente alle persone colpite dalla guerra la colletta dei fedeli nelle chiese, integrata dal contributo del Papa). Cosa è potuto accadere?

Dal confronto dei testi emerge che il telegramma ha espresso in stile diplomatico l’essenziale di quel che non poteva essere trascurato della personalità e dell’opera del cardinale Husar. In particolare la “sollecitudine” con la quale “si adoperò per la rinascita” della Chiesa greco-cattolica; la “tenace fedeltà a Cristo, nonostante le privazioni e le persecuzioni contro la Chiesa”; “la feconda attività apostolica per favorire l’organizzazione dei fedeli greco-cattolici discendenti dalle famiglie forzatamente trasferite dall’Ucraina occidentale, nonché il suo sforzo di trovare vie sempre nuove di dialogo e di collaborazione con le Chiese ortodosse”.

Forse troppo poco per chi ricompose dalla frantumazione una Chiesa definita “nemica dello Stato” dal regime comunista sovietico; regime  che intendeva annientarla con gli arresti, le persecuzioni e la morte nei gulag di migliaia di sacerdoti e religiosi, con i luoghi di culto espropriati, le deportazioni in Siberia dei suoi fedeli, in parte anche uccisi. Tutte realtà la cui evocazione è sgradita alla Russia di Putin, e non sono del tutto comprese correttamente dal clero ortodosso russo, neanche in questo tempo in cui si stanno moltiplicando gli sforzi per favorire il dialogo ecumenico, come testimonia il pellegrinaggio da Bari a Mosca e a San Pietroburgo della reliquia di San Nicola, uno dei frutti dell’incontro a Cuba tra papa Francesco e il patriarca Kirill. Oggi la Chiesa greco-cattolica ucraina annovera circa 5 milioni di fedeli (un milione e mezzo in più dalla fine dell’URSS, nel 1991), tremila sacerdoti, 800 seminaristi e un centinaio di ordinazioni all’anno.        

La lettera a Shevchuk è ben diversa dal telegramma. E’ intanto significativa la premessa: “Mi rivolgo a Lei, Beatitudine, cui mi lega un rapporto di conoscenza e stima da lungo tempo (il riferimento è agli anni in cui erano entrambi vescovi a Buenos Aires, ndr) per confortarLa nella perdita di chi Le è stato padre e guida spirituale” e per sottolineare: "Lo fu per l’intera Chiesa greco-cattolica, che egli raccolse dall’eredità delle «catacombe»  nelle quali era stata costretta dalla persecuzione, e alla quale ridiede non solo le strutture ecclesiastiche, ma soprattutto la gioia della propria storia, fondata sulla fede attraverso e oltre ogni sofferenza”.

“Dopo il periodo laborioso e intenso del suo ministero quale «padre e capo» della Chiesa greco-cattolica, col sopraggiungere della vecchiaia e della malattia, la sua presenza tra il popolo ha cambiato di stile, ma, se possibile, si è fatta ancora più intensa e ricca. Quasi regolarmente egli interveniva nella vita del vostro Paese come maestro di sapienza: il suo parlare era semplice, comprensibile a tutti, ma molto profondo. La sua era la sapienza del Vangelo, era il pane della Parola di Dio spezzato per i semplici, per i sofferenti, per tutti quelli che cercavano dignità. Le sue esortazioni erano dolci, ma anche molto esigenti per tutti”.

“Per tutti pregava incessantemente, prosegue papa Francesco, sentendo che questo era il suo nuovo dovere. E tanti si sentivano rappresentati, interpellati e consolati da lui, credenti e non credenti, anche al di là delle differenze confessionali. Tutti sentivano che parlava un cristiano, un ucraino appassionato della sua identità, sempre pieno di speranza, aperto al futuro di Dio. Aveva una parola per ciascuno, «sentiva» le persone con il calore della sua grande umanità e di una squisita gentilezza. Amava soprattutto dialogare coi giovani, con i quali aveva una eccezionale capacità di comunicare e che a lui accorrevano numerosi”.

“Mi commuove pensare che oggi per tutta l’Ucraina lo si pianga, ma che molti siano certi che egli già riposa nell’abbraccio del Padre celeste. Essi sentono che, dopo aver avuto un esempio di vita coerente e credibile, potranno continuare a beneficiare della sua preghiera, con cui proteggerà il suo popolo ancora sofferente, segnato dalla violenza e dall’insicurezza, e tuttavia sicuro che l’amore di Cristo non delude”. Parole che hanno fatto presagire il processo, quando canonicamente apribile, per il riconoscimento  delle virtù di Husar e per la sua beatificazione. Poi, prima di “invocare l’abbondanza delle benedizioni celesti per gli amati ucraini in patria e nella diaspora”, papa Francesco ha così concluso: “Grato per questa presenza unica, religiosa e sociale nella storia dell’Ucraina, vi invito ad esserne fedeli al costante insegnamento e al totale abbandono alla Provvidenza. Continuate a sentire il suo sorriso e la sua carezza”.

Con questo elogio funebre, papa Francesco ha in certo modo anticipato Shevchuk, “spiazzandolo”. Ma questi ha saputo esaltare poeticamente la figura di Husar  “anima, parole e voce della nazione”  – così l’ha definita –  comparando la sua missione a quella degli aedi in cammino, ciechi, musicisti e cantori dei sentimenti popolari di sempre, da Omero ai “kobzar” , cioè dall’antichità greca alla perenne tradizione ucraina.