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MANOVRE A SINISTRA

L'offensiva di Renzi: armi giuste, tempi sbagliati

Da quando Gentiloni è diventato il nuovo premier, Renzi non ha mancato una sola occasione per fargli la guerra. Convinto di andare al voto anticipato entro l'autunno del 2017, per la sua offensiva d'estate Renzi aveva pianificato l'uscita del suo libro e una Festa dell'Unità anticipata. Ma le elezioni anticipate non si faranno.

Politica 14_07_2017
Gentiloni e Renzi

Perso il referendum del 4 dicembre, Matteo Renzi, dopo essersi dimesso, anziché mantenere la solenne promessa di abbandonare la politica e di dedicarsi ad altro, non ha trascorso neppure un solo attimo senza escogitare strategie per tornare a Palazzo Chigi.

Al Quirinale ha indicato quale suo successore Paolo Gentiloni, considerato innocuo e scarsamente ambizioso, ma dal giorno dopo ha tentato in tutti i modi di indebolirlo, pur di far finire anticipatamente la legislatura. Il suo intento, come svelano anche i retroscena di matrice alfaniana, era quello di far durare pochi mesi il governo Gentiloni e di provocare lo showdown entro l’estate, con urne anticipate a settembre. Ma non tutte le ciambelle riescono col buco e all’ex premier nel 2017 gliene sono riuscite davvero poche, tanto che ha perso, sondaggi alla mano, moltissimo del suo appeal e della sua già scarsa credibilità, e che le sue continue sortite producono il solo effetto di ricompattare il fronte di chi farebbe di tutto pur di non rivederlo premier.

In quest’ottica si spiegano due mosse renziane. La prima, decisa mesi fa, di anticipare da fine agosto a inizio luglio la Festa dell’Unità, che si tiene a Milano proprio in questi giorni. La seconda, meditata a lungo, di far uscire ieri il suo libro Avanti. Perché l’Italia non si ferma, edito da Feltrinelli. Entrambi gli strumenti, la kermesse e la novità editoriale, nelle intenzioni di Renzi, gli sarebbero dovuti tornare utili come palcoscenici/vetrine per una campagna elettorale già entrata nel vivo. 

Ma nel frattempo, suo malgrado, lo scenario è cambiato e l’ipotesi più probabile rimane quella di una conclusione naturale della legislatura nella primavera 2018, così come auspicato dal Presidente Mattarella. Quei due strumenti, quindi, assumono le vesti di pistole caricate a salve, inutili ai fini elettorali per un Matteo Renzi sempre più isolato e sempre più in difficoltà, tanto più di fronte all’aplomb di Gentiloni, che prosegue con equilibrio la sua azione di governo, parlando poco e realizzando molto.

Dietro l’apparente sintonia tra Pd e Palazzo Chigi si cela più di un dissidio. Ogni giorno che trascorre alla guida del governo, Gentiloni si rafforza e Renzi si indebolisce. Sarà sempre più difficile spiegare agli italiani perché i dem debbano sostituire un Presidente del Consiglio che dovranno difendere fino all’ultimo con uno che si è dimesso dopo una sonora batosta popolare (referendum).

Renzi non può impallinare platealmente l’attuale premier e quindi è costretto a dichiarargli fedeltà, ma non rinuncia a metterlo in difficoltà su temi caldi quali l’immigrazione, lo ius soli e, soprattutto, sulle questioni finanziarie.

Lo ius soli torna in bilico dopo le dichiarazioni del segretario Pd (“Aiutiamoli a casa loro”), che hanno suscitato disorientamento a sinistra. Sono in molti, in quell’area politica, ad accusare Matteo di voler rincorrere la Lega e i populisti sul loro terreno, sulla base dei sondaggi che li vedrebbero in crescita proprio grazie alle posizioni da loro assunte in materia di accoglienza degli immigrati.

Più delicata la questione dei rapporti finanziari tra Italia e Unione Europea. Mentre Padoan e Gentiloni sono impegnati in delicati passaggi nel negoziato con Bruxelles, l’ex premier continua a tuonare contro il fiscal compact, promettendo agli italiani investimenti e uno sgravio di tasse pari a 30 miliardi, qualora si riuscisse ad elevare per cinque anni al 2,9% il rapporto deficit-Pil. Una manovra di disturbo, quella di Renzi, per impedire che l’attuale esecutivo riesca a strappare condizioni favorevoli per il nostro Paese, facendo definitivamente dimenticare gli interventi del suo governo.

Il Quirinale si chiede preoccupato fin dove si spingerà questo dualismo Palazzo Chigi-Pd, sempre più esasperato, pur se coperto da un’apparente convergenza. La chiave di volta potrebbe essere la candidatura di Pietro Grasso alla presidenza della Regione Sicilia. Renzi la caldeggia fortemente, pur di impedire ai Cinque Stelle di conquistare l’isola, il 5 novembre prossimo, e di lanciare l’Opa su Palazzo Chigi. Ma l’attuale Presidente del Senato non pare intenzionato a farsi usare per una missione del genere, peraltro dagli esiti incerti, e che potrebbe peraltro incrinare gli attuali equilibri parlamentari provocando la fine anticipata della legislatura.