Lockdown illegittimi, un giudice dà l'esempio
Le limitazioni alla libertà personale possono essere decise soltanto dall'autorità giudiziaria per fondati motivi. Così un giudice di Reggio Emilia ha giustamente disapplicato il DPCM dello scorso marzo assolvendo due donne che giravano in violazione del lockdown.
C’è un giudice a Reggio Emilia. Si tratta del Dott. Dario De Luca, Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale reggiano, al quale va ascritto il merito di aver emesso una sentenza giusta e coraggiosa.
Questi gli antefatti. Ai tempi del lockdown 2020, due donne in auto vengono fermate dai Carabinieri di Correggio, i quali chiedono spiegazioni del motivo per cui circolano in violazione del DPCM 8 marzo 2020. Una delle due adduce come giustificazione il fatto di esser andata a sottoposi ad alcuni esami clinici, mentre la seconda sostiene di aver accompagnato l’amica. I militari dell’arma eseguono i dovuti accertamenti e riscontrano che le affermazioni delle due donne non corrispondono a verità. Da qui la denuncia ed il relativo processo a carico delle sventurate. Processo che, però, si è concluso con un’assoluzione.
Il giudice dott. De Luca, infatti, nella sua sentenza è partito dalla considerazione, «in via assorbente», della «indiscutibile illegittimità del DPCM del 8.3.2020», come «pure di tutti quelli successivamente emanati dal Capo del Governo», ove si prevede che le misure di contrasto e contenimento del virus Covid-19 siano «estese all'intero territorio nazionale». Secondo il G.I.P. del Tribunale di Reggio Emilia, tale disposizione «stabilendo un divieto generale e assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare».
Questo, però, crea un vero problema perché, sempre secondo il dott. De Luca, «nel nostro ordinamento giuridico, l'obbligo di permanenza domiciliare consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice penale per alcuni reati all’esito del giudizio (ovvero, in via cautelare, in una misura di custodia cautelare disposta dal Giudice, nella ricorrenza dei rigidi presupposti di legge, all’esito di un procedimento disciplinato normativamente), in ogni caso nel rispetto del diritto di difesa».
In pratica, le limitazioni alla libertà personale possono avvenire solo in base ad atto motivato della Autorità giudiziaria e non in base ad una atto amministrativo, e comunque nei casi e nei modi previsti dalla legge, ossia con provvedimento di natura singolare e non «con limitazioni generalizzate e assolute della libertà personale come sarebbe l'obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini».
Il G.I.P. di Reggio Emilia, quindi, avvalendosi di una vecchia legge del 1865, ha disapplicato il D.P.C.M. in quanto palesemente incostituzionale. Infatti, poiché il D.P.C.M. non è una legge ma un semplice atto amministrativo non è la Corte costituzionale che deve dichiararne l’illegittimità, ma è il giudice ordinario che può semplicemente disapplicarlo.
Del resto, non c’è dubbio che l’obbligo l'obbligo di permanenza domiciliare costituisca una misura restrittiva della libertà personale. E secondo l’art. 13 della Costituzione le misure restrittive della libertà personale possono essere adottate solo su «atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge». Secondo il G.I.P. del Tribunale dei Reggio Emilia da tale principio costituzionale discendono due corollari. Primo, «un DPCM non può disporre alcuna limitazione della libertà personale», trattandosi di un semplice atto amministrativo, anche se emesso dal Capo del Governo. Secondo, «neppure una legge (o un atto normativo avente forza di legge, qual è il decreto-legge) potrebbe prevedere in via generale e astratta, nel nostro ordinamento, l’obbligo della permanenza domiciliare disposto nei confronti di una pluralità indeterminata di cittadini».
Come si giunge all’assoluzione delle due donne? Con la seguente ineccepibile conclusione del G.I.P. De Luca: la disapplicazione del DPCM, rende comunque la condotta di falso non punibile, perché «è esclusa l’antigiuridicità in concreto della stessa condotta» e, perché, in ogni caso, si tratta di «un falso inutile». In pratica, sostiene il G.I.P., avendo disapplicato, perché costituzionalmente illegittimo il DPCM, il falso ideologico contenuto nell’autocertificazione appare «necessariamente innocuo». Da qui il proscioglimento delle due donne perché il fatto non costituisce reato.
Ogni tanto in Italia la giustizia batte un colpo.