Lockdown, assillo italiano. Gli altri cercano la normalità
Solo in una parte del continente europeo – e con punte parossistiche in Italia – le aperture dei giornali sono dedicate all'epidemia di Covid. Nel resto del mondo prevale la spinta alla normalità perché esiste nella pubblica opinione e nelle classi dirigenti la convinzione che la pandemia è sicuramente un problema, ma la reazione allarmistica ha provocato danni molto peggiori del virus, paralizzando l'economia. Una tendenza confermata anche dal cambio di approccio dell'Oms sulle politiche di lockdown. In Italia invece siamo sempre più risucchiati nel “buco nero” lockdownista, del tutto indifferenti allo sfascio economico al quale stiamo portando il Paese.
- DE LUCA, SCERIFFO SPENDACCIONE di Riccardo Cascioli
Se si fa una rapida scorsa delle prime pagine e dei siti web dei quotidiani in varie parti del mondo, salta subito agli occhi un dato fondamentale: soltanto in una parte del continente europeo – e con punte parossistiche particolarmente in Italia – le aperture sono dedicate all'epidemia di Covid. Nella stragreande maggioranza dei casi la situazione sanitaria legata al virus viene derubricata tra le notizie brevi e nelle pagine interne, o viene considerata come una notizia tra le altre, senza conquistare una posizione preminente. Men che meno vengono “sparati” in apertura titoli allarmistici.
In paesi molto popolosi - come India, Brasile, Argentina, Russia - tengono banco nei media le notizie di economia e di politica, con qualche aggiornamento su contagi, ricerca del vaccino o terapie. Ciò stupisce tanto più l'osservatore italiano in quanto i nostri media ci presentano quei paesi più o meno sempre come devastati dal morbo, come se vi fosse in corso un'ecatombe. Il tasso di importanza assegnato al Covid è più alto nei quotidiani in Europa centro-orientale, in area balcanica e germanofona, mentre rimane molto basso nei paesi scandinavi. Negli Stati Uniti esso è molto variabile da stato a stato, e a seconda dell'orientamento dei media (naturalmente enfatizzato da quelli anti-trumpiani), ma in generale moderato. Come è di media entità in Canada e nel Messico, pure esso tra i paesi più colpiti. E' soltanto nell'area tra Italia, Spagna, Francia, Regno Unito e Benelux che al lettore dei giornali sembra che il Covid rappresenti il principale problema di attualità.
Sulle cause culturali di tale particolarità mi sono già soffermato in un precedente articolo su queste pagine, rimarcando come il catastrofismo sul Covid sia direttamente proporzionale in genere al grado di anzianità, infertilità e concentrazione urbana di anziani nei paesi europei più industrializzati. Quel che mi pare ora importante rimarcare, invece, è il fatto che per converso nel resto del mondo, ed in modo più marcato in grandi paesi dell'emisfero Sud, sull'allarmismo, sul panico “virale” e l'attenzione spasmodica alle misure di contrasto al virus – in primo luogo “distanziamento sociale” e lockdown – prevalgano decisamente la spinta alla normalità, la preoccupazione per la crescita economica, o quella per gli equilibri politici interni ed internazionali. In gran parte del mondo, insomma, esiste nella pubblica opinione e nelle classi dirigenti la diffusa convinzione che la pandemia è sicuramente un problema, ma la reazione allarmistica fondata su restrizioni, confinamenti, chiusure ha provocato danni molto peggiori del virus, paralizzando l'economia di intere aree, bloccando delicati processi di sviluppo, precipitando il mondo globalizzato in una depressione peggiore di quella del 2008, che potrà avere costi sociali incalcolabili, ed in prospettiva mietere molte più vittime della malattia tra i ceti più deboli.
Non sembra un caso che questo atteggiamento sia ampiamente rispecchiato dal recente, netto cambiamento di linea dell'Oms, emerso qualche giorno fa nell'intervista rilasciata allo “Spectator” da David Nabarro, inviato speciale dell'Organizzazione per la pandemia. Il quale ha sostenuto che secondo l'Organizzazione stessa i lockdown, giustificati soltanto come misura di emrgenza temporanea per riorganizzare la risposta sanitaria, non debbano essere usati come mezzo principale per sconfiggere il virus, soprattutto in quanto essi hanno effetti disastrosi sull'economia globale, con particolare riferimento alle nazioni più povere. Le dichiarazioni del britannico Nabarro appaiono come una chiara contestazione alla politica tenuta nei mesi scorsi dal direttore generale dell'Oms Tedros Ghebreyesus. E, significativamente, l'inviato speciale aggiunge ad esse anche un esplicito apprezzamento per la dichiarazione di Great Barrington, recentemente firmata da più di 1600 scienziati di ogni parte del mondo, in cui si sostiene che la migliore strategia per combattere il Covid non è quella di restrizioni indiscriminate, ma quella della protezione mirata dei soggetti più fragili, accoppiata al ritorno il più completo possibile alla normalità per il resto della società. Una posizione apprezzata anche dall'amministrazione Trump.
E la Cina? Sicuramente, qualsiasi tesi si voglia sostenere sulla politica tenuta da essa all'origine della pandemia, il regime di Xi Jinping ha abilmente sfruttato la narrazione ufficiale secondo cui la sua politica di lockdown ha stroncato il virus nella fase iniziale, e ha approfittato al massimo del fatto che mentre la sua economia ritornava in fretta ai livelli pre-virus l'Occidente rimaneva impantanato nella crisi sanitaria come in quella economica. Ci si chiede però, visto che l'Oms difficilmente esprime opinioni del tutto sgradite a Pechino, se anche in Cina non stia cominciando a serpeggiare la preoccupazione per le ripercussioni negative che una profonda e duratura recessione mondiale causata dal Covid potrebbe avere anche sull'economia della più grande potenza manifatturiera del continente asiatico, fondata sulle esportazioni, la quale potrebbe vedere restringersi clamorosamente i suoi spazi di mercato.
In ogni caso, di tutti questi cambiamenti di rotta sembra che ben poco finora arrivi alle classi di governo e ai media degli europei occidentali. Questi vivono apparentemente in un mondo tutto loro, privo di riferimenti e di autentico dibattito sul tema, risucchiati sempre più nel “buco nero” di una coazione a rispondere al problema sanitario soltanto attraverso politiche “lockdowniste”, rafforzando ulteriormente regimi “bio-securitari”, e del tutto indifferenti allo sfascio economico al quale essi stanno portando i loro paesi. Una deriva che sembra trovare nell'Italia del governo giallorosso e di governatori regionali come De Luca la sua più stolida e autoritaria incarnazione.