L'Occidente ha paura dell'islam ma non lo ammette
Quando la verità non può essere detta, la si dice per allusione o negandola. L’Occidente ha terrore dell’Islam, ma lo nega. Le ragioni della paura possono essere tante, sicuramente tutte ben razionalizzate e politicamente corrette, o forse c’è una ragione soltanto, rimossa e irrazionale.
Quando la verità non può essere detta, la si dice per allusione o negandola. L’Occidente ha terrore dell’Islam, ma lo nega. Le ragioni della paura possono essere tante, sicuramente tutte ben razionalizzate e politicamente corrette, o forse c’è una ragione soltanto, rimossa e irrazionale. Secondo l’intellettuale algerino Sansal, il terrore islamico sarebbe ormai troppo radicato, e noi saremmo paralizzati dalla paura; ce ne staremmo buoni e tranquilli in attesa che tutto finisca come per incanto.
Non si può escludere che alcuni abbiano raggiunto lo stato di aponia, affermando che l’Islam non sia una minaccia; tuttavia l’aggressività generalmente mostrata contro gli “islamofobi” tradirebbe la presenza di una paura negata.
Inutile sarebbe ricordare quanto sia cambiata la nostra vita dopo l’Undici settembre, anche se si continua a dire: «La nostra vita non cambierà», o «Tutto continuerà come sempre». Dopo il panico scoppiato in piazza san Carlo a Torino (3/6/2017), in seguito a un improvviso rumore, non possiamo più consolarci fingendo di non avvertire il terrore islamico. Negare la paura è una difesa psichica che non ci permette più di leggere quel che avviene intorno a noi e di reagire con intelligenza. In altre parole, negare una reale fonte di pericolo costringe la nostra psiche ad attivare una serie di meccanismi di difesa contro la paura stessa. Il pericolo, dunque, sarebbe in noi, non fuori di noi. Non ci sarebbe un nemico che vuole farci del male, ma una paura infondata da “eliminare” in noi. Si ricorre così, dopo ogni attacco terroristico, all’espediente di marciare insieme per le strade gridando forte, come è avvenuto a Barcellona, «No tinc por!», «Non ho paura!».
Questo grido apparentemente rivolto ai terroristi, in realtà è un tentativo di rassicurazione, per non essere “allagati” dal panico. Gli uomini del “sapere”, poi, esecrano l’atto e tentano di ridurre tutto all’azione di un individuo squilibrato, di un radicalizzato, o di un lupo solitario.
Di fronte a fatti per noi fino a venti anni fa inconcepibili, l’Occidente soffre di un autentico disturbo da stress post traumatico. L’invincibile e moderno Occidente non può ammetterlo, perciò grida una paura negata, mascherata, repressa, negletta. La paura è reale e noi possiamo “valutarla” in proporzione alla forza con cui la neghiamo, o la ignoriamo “distraendoci” con una delle tante “evasioni” che il nostro permissivo mondo occidentale ci permette.
Di solito i negazionisti sono persone che parlano dei terribili fatti di cronaca in modo distaccato; senza una reale partecipazione emotiva. La loro dimensione affettiva è come isolata dal resto dei processi psichici: si tratta di un meccanismo di difesa noto come isolamento dell’affetto. La mente si difende dagli stimoli che non riesce a elaborare, eliminando la parte affettiva dalla coscienza.
Tuttavia né la negazione né l’isolamento dell’affetto sono meccanismi sufficienti a restituire la pace, a causa del puntuale ripetersi delle invettive. Il nostro “Io” deve così ricorrere a più drastiche misure difensive come per esempio il diniego. Questo meccanismo, alquanto primitivo, nega la realtà stessa di quel che si percepisce. A far apparire minaccioso l’Islam, pertanto, sarebbero i nostri pregiudizi e la nostra ignoranza dell’Islam, oppure sarebbero i “manovratori del terrore”, che coltiverebbero artificialmente un clima di allarme per fini politici.
Un altro meccanismo di difesa è la formazione reattiva. Questo meccanismo consiste nell’adozione di atteggiamenti e di comportamenti contrari al contenuto di cui non si vuole prendere consapevolezza (nel nostro caso la paura), evitando di sperimentare l’angoscia legata al senso d’impotenza. L’individuo sente così non avversione ma simpatia verso l’Islam, e un “sincero” sentimento di amicizia verso i musulmani. Un tale individuo può diventare un amante della cultura islamica e un paladino dei diritti dei musulmani. A informare che un tale comportamento sia il prodotto di una formazione reattiva e non il frutto di una personale formazione culturale è l’esagerazione delle attestazioni di amicizia manifestate, in assenza di ogni valutazione critica.
Tuttavia, anche questo meccanismo è destinato alla lunga a fallire per il perpetuarsi delle minacce, che appaiono sempre più imprevedibili e clamorose. Quando poi ci si rende conto che il buonismo non serve a “bonificare”; che le concessioni fatte in nome del rispetto delle culture si rivelano un inutile espediente; e che persino le rinunce alle proprie tradizioni e alle proprie festività in ossequio alla religione degli islamici si rivelano del tutto inefficaci a trasmettere le nostre buone disposizioni, allora si rende necessario mobilitare nuove energie psichiche e far ricorso a meccanismi di difesa ancora più primitivi e pericolosi per il nostro equilibrio mentale.
Si arriva così al meccanismo della seduzione. Ci si rivolge ai musulmani chiamandoli “nostri fratelli”, mettendo in atto un comportamento di benevola arrendevolezza, separando il terrorismo dall’Islam, celebrando quest’ultimo come portatore di nuove ricchezze morali e spirituali. Tuttavia la seduzione è un segno di grande debolezza che rafforza l’altro nelle sue convinzioni di onnipotenza e nelle sue azioni di forza. Sedurre vuol dire compiacere l’altro, fino a mostrargli un atteggiamento di implicita sottomissione. Inoltre, la seduzione incita inconsapevolmente l’altro al disprezzo e alla denigrazione per il sottomesso. Non c’è mai stato né rispetto né stima per chi mostra paura e viltà.
Un aspetto della seduzione è la giustificazione dell’altro e, persino, dei suoi crimini. Si giustifica l’Islam dicendo: «Anche noi abbiamo fatto crimini simili», «Anche noi cattolici siamo violenti». In un caso Qualcuno è giunto a equiparare la “violenza domestica” dei cattolici alla “violenza islamica”. Il messaggio inviato è: «Noi non siamo migliori di loro». L’Occidente, non più cristiano, presenta ormai un vuoto di valori che lo rende imbelle e privo di motivazioni a vivere per qualcosa che non sia il semplice consumare. L’Occidente è una realtà non più convinta di sé; ha perduto la sua Ragione, cioè il Logos della sua esistenza. Non ha più uno scopo per stare al mondo che vada oltre il mangiare e il bere.
Di fronte a un Islam, giovane e carico di energie, il mondo occidentale è disorientato e smarrito, non ha altra strategia che stare zitto e buono. A questo punto rimangono poche altre difese da mettere in campo. L’Islam non si può sconfiggere, le sue armi non sono convenzionali, il suo esercito è ovunque, ed è animato da un tal furore contro cui la “dea ragione” non può nulla. Comunque, le ultime ed estreme difese che possiamo mettere in campo per negare la verità della nostra paura sono l’idealizzazione e l’identificazione all’aggressore.
La prima, l’idealizzazione, innalza l’altro fino alla perfezione. Quando l’angoscia diventa insopportabile, un modo per sottrarsi alla paura, è trasformare la fonte della paura da malvagia in buona, e se è buona non è da temere. Segue un lavoro di intellettualizzazione, grazie al quale si riesce a scagionare e a legittimare, con ragionamenti ideologici, comportamenti fino a poco tempo prima condannati. L’Islam potrebbe così diventare la religione della pace e della fratellanza universale.
D’altronde, non hanno forse i cristiani distrutto il mondo della Roma classica? Si chiede uno storico in un suo libro. Implicitamente si comunica che non possiamo impedire che un nuovo cambiamento avvenga. Nei cambiamenti – si inizia a dire – ci sono sempre cose positive, e nell’Islam ce ne sarebbero molte. Diversi programmi televisivi hanno già magnificato la raffinata civiltà islamica contro un mondo barbaro e rozzo quale sarebbe stato il nostro nel Medioevo. Con il ricorso a questo meccanismo si assiste allo sgretolamento della nostra realtà interna, che è culturale, sociale, religiosa. Ormai siamo pronti, pur di ricuperare la perduta serenità, ad abbracciare con “fiducioso abbandono” l’Islam e la sharia. Un tale passo è possibile con l’adozione dell’ultima difesa, l’identificazione all’aggressore, meccanismo più noto con il nome della “sindrome di Stoccolma”.
Per spegnere, una volta per tutte, la sorgente della paura in noi, alla psiche non resta che convincersi di essere lei stessa quella sorgente. Il male non è l’altro ma sarebbe in ciò che noi stessi crediamo, pensiamo e siamo. Se il bambino si autoconvince di essere lui il lupo, non egli deve temere il lupo, non ne avrebbe più motivo poiché il lupo ora è lui; al contrario sono gli altri che devono temere lui.
Già i neoconvertiti di ex-cattolici ed ex-atei all’Islam sono oggi una realtà non trascurabile. Già assistiamo a parroci che invitano gli imam musulmani nelle chiese cattoliche a spiegare chi è Gesù per loro. Già congregazioni religiose non chiamano più Maria “madre di Dio”, per non urtare la sensibilità estetico-religiosa dei musulmani. Gli indizi dei processi di identificazione all’aggressore si stanno ormai moltiplicando.
Si può fare qualcosa? Sì! Se riconosciamo le nostre paure e affermiamo la nostra identità culturale cristiana potremo dialogare. No! Finché continueremo a negare la nostra paura il destino dell’Europa è segnato. In questo caso, chi non ha ancora visitato la Cappella Sistina e non ha ancora ammirato la Pietà di Michelangelo ha ancora un po’ di tempo per farlo. Per chi si professa cristiano, ecco la buona notizia, come è stato predetto da Gesù: «È venuta l’ora in cui chi vi ucciderà penserà di rendere un culto a Dio» (Gv 16,2).