Lo stratega di Trump, "antisemita" a sua insaputa
Trump ha nominato anche Stephen Bannon, presidente del Breitbart News Network. Ed è subito polemica: l'uomo è accusato di antisemitismo. Eppure i suoi siti Web difendono a spada tratta Israele e condannano il nuovo antisemitismo. C'è qualcosa che non torna. E' la campagna elettorale che sta continuando anche dopo l'elezione di Donald Trump.
Fioriscono accuse sulle prime nomine dell’amministrazione di transizione di Donald Trump. L’ultima, che ha avuto risonanza internazionale, anche in Italia, è particolarmente forte: fra i nominati ci sarebbe anche un “noto antisemita”. La notizia, rilanciata da Slate, Huffington Post e poi anche dalla Cnn, riguarda Stephen Bannon. E ha colto tutti di sorpresa, a partire dallo stesso Bannon, presidente del Breitbart News Network, fondato dall’ebreo Andrew Breitbert, con una sede recentemente aperta a Gerusalemme e da anni impegnato nella diffusione di notizie e commenti in difesa di Israele. Come è possibile un simile cortocircuito mediatico?
Il sito Breitbart.com si caratterizza come un classico tabloid popolare anglosassone online, con titoli ad effetto, commenti duri su immigrazione, islam e sinistra, posizioni molto conservatrici sulla morale. Tutte cose che fanno storcere il naso ad una sinistra chic che ha dimenticato la sua origine operaia. Si può discutere a lungo sulle scelte politiche di Breitbart che, per quanto riguarda l’Italia, non cela le sue simpatie per il Movimento 5 Stelle, solo perché è anti-establishment. La qual cosa ha provocato una bufera su Virginia Raggi (perché appoggiata da un sito di “ultra destra”), ma non sul news network conservatore. Negli Usa ha sostenuto da subito Trump, sia alle primarie repubblicane che nella campagna presidenziale e soprattutto per questo motivo il suo presidente è stato cooptato, prima a dirigere la campagna elettorale, poi nell’esecutivo di transizione del neo-presidente. Fin qui è normale dialettica politica ed editoriale. Ma l’anti-semitismo?
La linea editoriale di Breitbart si oppone all’accordo sul nucleare iraniano, sposando in pieno le angosce degli israeliani. Ha pubblicato questa settimana un reportage sulla propaganda anti-semita dei media palestinesi. Tre giorni fa, ha pubblicato la notizia di una studentessa ebrea rimasta traumatizzata per una svastica dipinta sulla porta del suo dormitorio. E quattro giorni fa, un articolo sulle violazioni dell’accordo sul nucleare da parte dell’Iran. Dall’inizio del mese si occupa del crescere del nuovo antisemitismo nei campus americani, dovuto soprattutto, secondo il sito conservatore, alla diffusione del boicottaggio anti-Israele (la campagna Bds: boycotts, divestment and sanctions). All’origine del network di siti c’è, appunto, un ebreo, Andrew Breitbart, conservatore repubblicano, animatore del movimento Tea Party. Joel Pollack, editorialista di Breitbart News, ebreo ortodosso, scrive in difesa del suo editore: “Con Stephen Bannon, nuovo stratega e consigliere del presidente eletto Donald Trump, ho lavorato per quasi sei anni a Breitbart News e posso dire, senza esitazione alcuna, che Steve è un amico del popolo ebraico e un difensore di Israele”.
E quindi? Come è stato possibile diffondere a livello internazionale la notizia sull’antisemitismo di un “amico del popolo ebraico e difensore di Israele”? Come per tante altre notizie che riguardano Donald Trump e i suoi collaboratori, si basa su qualche testimonianza e qualche citazione. La testimonianza, in questo caso, sarebbe della ex moglie di Bannon, la quale, in piena campagna elettorale, avrebbe detto che suo marito non voleva mandare il figlio a una scuola ebraica. Lui ha negato. Non esiste una versione definitiva della storia. La citazione incriminata, citata dalla Cnn, riguarda invece un editoriale in cui il neoconservatore Bill Kristol, anima di The Weekly Standard e fiero oppositore interno di Donald Trump, viene definito “ebreo traditore”, parole che, lette così, suonano come la propaganda nazista della “pugnalata alla schiena”. Peccato che ad aver definito “traditore” Kristol sia un altro ebreo, anch’egli conservatore: David Horowitz. Dunque era una polemica politica fra ebrei, per di più entrambi dello stesso partito, una lite nata sulla politica mediorientale della Clinton, sostenuta da Kristol e dalla cordata dei repubblicani “never Trump”.
E’ possibile che questo schieramento imponente di grandi media abbia preso un abbaglio? Possibile, ma molto difficile. Molto più probabile che il fraintendimento sia voluto. L’accusa di antisemitismo è già stata tentata un’altra volta contro Trump, all’inizio della campagna delle presidenziali: in un poster anti-Clinton era stato usato un segno simile alla Stella di David ed era subito partito l’allarme. Quel segno era stato sostituito con un cerchio e l’allarme era rientrato. E tutto questo nonostante il presidente eletto abbia una figlia convertita all’ebraismo, Ivanka, un genero ebreo, Jared Kushner e fra le sue prime nomine ci sono politici molto filo-israeliani quali Newt Gingrich e Rudolph Giuliani.
A questo punto è interessante notare due aspetti della vicenda, uno puramente mediatico e l'altro culturale. Da un punto di vista mediatico, si nota uno sforzo notevole a incriminare tutto ciò che si è opposto alla campagna per la Clinton, che ha perso nonostante il sostegno della quasi totalità delle testate giornalistiche. Prima il riflettore è stato puntato sui social network, rei di non aver censurato messaggi "razzisti" e "disinformazione" e dunque accusati di aver cospirato a favore di Trump. Ora lo stesso riflettore viene puntato contro l'unico enfant terrible dei network, quel Breitbart che ora "rischia" di espandersi in patria e all'estero al seguito della posizione di influenza acquisita durante la campagna. I media tradizionali, dunque, stanno facendo muro contro i parvenu emersi con Trump.
Ma è interessante anche constatare come venga usata in modo politico l’accusa di antisemitismo. La sinistra e i media progressisti parlano molto raramente del nuovo antisemitismo sorto nelle comunità islamiche più radicali, nel vasto movimento pro-Palestina, nelle campagne di boicottaggio. Eppure il nuovo antisemitismo è un fenomeno molto vasto che, in Europa, ha causato una vera fuga massiccia di ebrei verso Israele. L’accusa di antisemitismo è sempre rivolta contro una destra estrema che raramente si manifesta al di fuori dei suoi forum su Internet. L’etichetta infamante è appiccicata su chiunque appaia “bianco e conservatore”, dunque portatore sano di una cultura che è necessariamente anche “antisemita”. Pare che la cultura anti-razzista sia rimasta congelata ai tempi della Seconda Guerra Mondiale. E di quella vissuta in Europa, per di più, non in America dove gli ebrei, repubblicani o democratici che fossero, servivano nei ranghi delle forze armate, a combattere contro i nazisti.