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Lo strano caso dei gesuiti pro-gay

«Chi siamo noi per giudicare?» è il titolo di una serie di tre video in cui il gesuita padre James Martin (e non solo lui) difende la posizione degli omosessuali nella Chiesa cattolica. A prescindere dal fatto che il Magistero abbia sempre espresso le tesi opposte.

Ecclesia 14_09_2013
Padre James Martin

Sicuramente ricorderete la domanda retorica del Papa formulata in aereo di ritorno dal Brasile: «Chi sono io per giudicare un gay?», domanda che sintetizzava la triplice distinzione che fa la Chiesa tra orientamento sessuale, condotta omosessuale e responsabilità personale degli atti omosessuali. Nessuno di noi – voleva dire il Papa - è in grado di giudicare con esattezza il grado di colpa morale di chi assume comportamenti omosessuali, restando questi ultimi sul piano oggettivo gravemente disordinati, e ancor prima nessuno di noi deve ergersi a giudice della responsabilità altrui, persone omosessuali comprese. Ovviamente appena l’aereo che portava il Papa toccò terra tali distinzioni scomparvero come neve al sole sulla bocca degli opinion makers televisivi e nelle penne dei giornalisti intendendo le parole del Papa come una benedizione della Chiesa all’omosessualità in quanto tale.

Non c’era da stupirsi che tale operazione di snaturamento del pensiero del pontefice potesse venire dal mondo cosiddetto laico – il portavoce Padre Lombardi dopo qualche giorno rivelò che il Papa stesso se lo aspettava – ma che uno stravolgimento simile fosse partorito anche da menti cattoliche e in specie religiose, e ancor più in particolare da alcuni confratelli di Papa Francesco, cioè i gesuiti, beh questo sì che desta sorpresa.

È ciò che è accaduto di recente negli States. "Chi siamo noi per giudicare?" è il titolo di una serie di tre video prodotti dalla Ignatian News Network, che nulla a che vedere con la nota casa editrice Ignatius Press, realizzati dalla Loyola Production e reperibili su YouTube.

Nel primo video c'è l'intervista al gesuita padre James Martin che da anni si batte per la normalizzazione dell'omosessualità all'interno della Chiesa. Padre Martin afferma che «molte persone Lgbt hanno una vita spirituale molto profonda e sono cristiani. L'idea che qualcuno possa fare coming out e apparire così onesto, trasparente e aperto circa il modo in cui Dio lo ha creato, penso sia fantastico. Ritengo che sia qualcosa che la Chiesa cattolica può sostenere. Se un ministro che si occupa della liturgia musicale è gay, non importa se è omosessuale ... importa che abbia fatto un ottimo lavoro. Se un direttore spirituale è gay, non importa che sia omosessuale. Importa che abbia portato la persone a Dio attraverso la preghiera». Insomma pare che padre Martin più che gesuita sia un gaysuita. Comunque sia, in questo breve passaggio si possono notare due aspetti che fanno a pugni con la dottrina cattolica sull’omosessualità e sugli orientamenti pastorali che la Chiesa ha indicato a riguardo (tralasciando il fatto che per padre Martin l’omosessualità è creazione divina).

In primis si osserva che l’orientamento sessuale e – così si intuisce – il suo assecondamento in atti conseguenti sono irrilevanti per il sacerdote. L’importante è fare bene il proprio mestiere. Non così la pensa il Magistero. La Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1992 ha emanato il documento Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, in cui si legge: «Vi sono ambiti nei quali non è ingiusta discriminazione tener conto della tendenza sessuale: per esempio nella collocazione di bambini per adozione o affido, nell’assunzione di insegnanti o allenatori di atletica, e nel servizio militare». Figuriamoci se poi sei un sacerdote. E infatti ecco cosa scrive la Congregazione per l’educazione cattolica nell’Istruzione circa i criteri di discernimento vocazionale riguardo alle persone con tendenze omosessuali in vista della loro ammissione al Seminario e agli Ordini sacri: «Questo Dicastero, d'intesa con la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, ritiene necessario affermare chiaramente che la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay. Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne. Non sono affatto da trascurare le conseguenze negative che possono derivare dall'Ordinazione di persone con tendenze omosessuali profondamente radicate». Ma forse alcuni gesuiti d’oltreoceano godono di una dispensa particolare in merito a questo divieto.

C’è un secondo aspetto nelle parole di padre Martin che è ancora più significativo e che segna un passaggio strategicamente importante nella battaglia della cultura di genere: si è passati dall’accoglienza della persona omosessuale all’accoglienza dell’omosessualità. Anzi, l’omosessualità è una marcia in più per la fede, o perlomeno un colore in più nell’arcobaleno delle molteplici anime che compongono la Chiesa. L’omosessualità non solo non è un problema, ma fa bene a te, a chi ti sta intorno e a tutta la Chiesa.

Questa stessa idea è espressa anche da John Paul Godges, uno scrittore sedicente cattolico e gay dichiarato, il quale afferma: «La mia esperienza come un uomo-gay è stata una fonte di forza nel mio cammino cristiano. Una identità gay può ispirare e approfondire una fede cristiana. Mi capita spesso di dire alla gente che essere cattolici è come essere americano. E solo perché qualche politico vuole una guerra ingiusta, non ho intenzione di rinunciare alla mia cittadinanza e fuggire in Canada. Ho intenzione di rimanere, combattere, comunicare, confrontarmi e parlare ai ritiri spirituali e fare tutto il possibile per promuovere il meglio che c'è nella Chiesa cattolica ... io non ho intenzione di permettere a nessuno di negarmi di fare ciò». Godges aggiunge un tassello interessante all’eterodossia dottrinale in materia di omosessualità. Essere cattolici è come essere cittadini di una nazione. Ma essere cittadini di uno Stato non comporta che devi ritenere giuste tutte le leggi dello stato. In democrazia puoi protestare, picchiare i piedi, confrontarti perché le cose cambino. E così puoi legittimamente predicare anche in seno agli ambienti ecclesiali che l’omosessualità è cosa normale. Ci spiace per Mr. Godges, ma la Chiesa non è un’istituzione democratica, bensì gerarchica che chiede obbedienza e filiale devozione.

Dietro la realizzazione di questi video c'è Arthur Fitzmaurice, responsabile della Catholic Association for Lesbian and Gay Ministry. Il suo vescovo, Salvatore Cordileone di Oakland, ha fatto sapere che questa associazione non può essere considerata "autenticamente cattolica" e ha proposto a Fitzmaurice di firmare un documento in cui si chiede di aderire ai giudizi espressi dal Magistero cattolico in materia di omosessualità, documento che per due volte Fitzmaurice ha rifiutato di firmare. Questo a riprova che non puoi essere cattolico e sostenitore della bontà dell’omosessualità: non puoi servire Dio e la cultura di genere. L’esatto opposto che quei tre video invece tentano di asserire.