"Lo Stato tace sul lodo Moro e i rapporti tra Br e palestinesi"
A 40 anni dalla strage di via Fani i misteri sono ancora tanti. Lo dimostrano i lavori della Commissione parlamentare "Aldo Moro" che in questi giorni ha terminato la sua indagine, rendendo pubblica l'audizione del palestinese Abu Sharif, il quale ha rivelato dell'esistenza di un accordo tra lo Stato italiano e i palestinesi. Un particolare che potrebbe riscrivere la storia del sequestro Moro, ma che lo Stato non affronta. Il presidente Fioroni alla Nuova BQ: "Desecretare gli atti aiuterebbe a fare chiarezza". Ma il governo non è mai venuto a relazionare nonostante i solleciti.
Domani l’Italia ricorderà il 40ennale della strage di via Fani, nella quale vennero uccisi dalle Brigate Rosse i cinque uomini della scorta di Aldo Moro e che, con il sequestro dell’allora presidente Dc, diede il via ai 55 giorni che segnarono il punto più tragico della storia repubblicana. Le “celebrazioni” vedranno protagoniste le istituzioni dello Stato, che si ripeteranno nella ormai stantia retorica tipica di queste occasioni, mentre sul fronte mediatico, l’evento è stato preparato dalla polemica sulle interviste ai reduci brigatisti in cerca di notorietà e di normalizzazione di una “guerra” con lo Stato, che pur essendo stata persa sembra ancora rivendicata.
Tutto secondo copione, dunque, nella ripetizione automatica di cliché ai quali ormai siamo abituati: di qua lo Stato, di là le Br nel perpetuo riproporsi di un’aneddotica ormai fattasi storia e sulla quale sembra che non ci sia più nulla da dire.
Ma il 40ennale di via Fani coincide quest’anno anche con un evento che rappresenta uno snodo cruciale per cercare di comprendere davvero che cosa è stata quella stagione. In queste ore il presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro, Giuseppe Fioroni sta concludendo i lavori dell’indagine iniziata su mandato parlamentare 3 anni e mezzo fa e che, per almeno le due prime relazioni è già stata votata dalle camere. Si tratta di un lavoro mastodontico e difficilmente riassumibile in un articolo, nel quale i fatti noti a quelli meno noti di quella stagione si intrecciano in maniera inestricabile, ma almeno per un filone di indagine sono emersi particolari decisivi che ora andrebbero affrontati da parte dello Stato.
Solo che lo Stato sembra non avere nessuna idea di farlo. Si tratta dei rapporti che l’eversione rossa aveva negli anni ’70 con il Fronte di Liberazione della Palestina. Un rapporto del quale si è spesso favoleggiato, ma sul quale non sono mai emersi particolari decisivi. Con i lavori della commissione però qualche cosa è stato fatto, anche se adesso, a fronte di quanto emerso, bisognerebbe che lo Stato si decidesse a desecretare tutti quegli atti ancora coperti dal segreto e che potrebbero dare una chiave di lettura diversa non solo dei 55 giorni del rapimento Moro, ma anche e soprattutto di quella lunga stagione, nel corso della quale l’Italia, godendo di un rapporto privilegiato con l’Olp di Arafat, potè contare su una sorta di salvacondotto dalle rappresaglie terroristiche che le organizzazioni eversive della causa palestinese andavano compiendo in Europa.
E’ il cosiddetto Lodo Moro, un accordo firmato dallo statista con il fronte palestinese che garantiva sicurezza all’Italia e che sarebbe stato infranto dopo la morte del leader Dc con il sequestro dei missili ad Ortona nel 1980.
Ebbene, dai lavori della commissione emerge proprio questo: che il lodo Moro esisteva, anche se non è mai stato chiamato così e che i brigatisti rossi avevano avuto rapporti con il Fronte, almeno fino a quando non si temette che nelle Br ci fossero infiltrati dei servizi israeliani e statunitensi. Fantapolitica o nuova chiave di lettura? Per scoprirlo la commissione avrebbe avuto bisogno di maggior fortuna, o per alcuni, di maggior tempo. Il governo infatti è stato chiamato più volte a relazionare su questo passaggio decisivo, ma non solo da Palazzo Chigi non si è presentato nessuno, ma neppure si è deciso di desecretare quegli atti indispensabili a capirne i contorni.
Il momento clou di questi intrecci, la commissione lo vive il 27 giugno 2017 con l’audizione del palestinese Bassam Abu Sharif storico membro della formazione marxista-leninista Fplp e poi influente consulente di Arafat. E’ lui che rivela – senza però fornire prove tangibili – l’esistenza di quel “lodo” ed è significativo come soltanto il 22 febbraio scorso, cioè a ridosso delle ultime elezioni politiche, la commissione abbia deciso di desecretare la parte dell’audizione che era stata tenuta segreta e che si riferisce proprio alla sigla di quel patto.
Dice infatti Abu Sharif: “Sì, so bene cosa c'è in questo documento. L'ho letto, ho visto il messaggio, e ho assistito alla firma di quel documento”. Il membro di commissione Gero Grassi gli chiede chi lo ha firmato e lui risponde: “È stato George Habbash in persona a firmare l'accordo di fronte a me. La firma era in qualità di segretario generale del Fronte popolare per la liberazione della Palestina. L'intero documento era accompagnato da una missiva firmata dal dottor George Habbash indirizzata al Governo italiano. L'ha ricevuta Giovannone per consegnarla al Governo italiano.
La missiva era della massima chiarezza e affermava che egli assumeva l'impegno, in qualità di segretario generale del FPLP, a non compiere nessuna azione che potesse minacciare la sicurezza degli italiani, dell'Italia o del suolo italiano da parte del Fronte popolare. Secondo punto: si parlava di collaborazione con l'Italia in tutto quello che riguarda l'Italia e la sua sicurezza e si dichiarava che l'Italia avrebbe facilitato la lotta nazionale palestinese e la lotta del Fronte popolare nell'ambito di questo concetto, cioè il non intaccare la sicurezza e dell'Italia e degli italiani”.
L’audizione prosegue in maniera serrata con le domande dei membri e del presidente Fioroni e si comprende che Sharif fa risalire la firma di quel patto a dopo la strage all’aeroporto di Fiumicino nel 1973, che è comunemente considerata la causa che giustificò l’accordo. Solo che fino ad oggi c’erano stati soltanto abboccamenti. Ma Sharif non è in possesso di prove di quanto sta dicendo e non fornirà mai riscontro a questo, limitandosi a dire che la copia originale di questo patto si trova in Italia.
“Quel documento l’abbiamo cercato in tutti i modi – ha spiegato alla Nuova BQ Fioroni – ma non è mai saltato fuori. E nonostante Sharif abbia garantito che avrebbe fornito successivamente il riscontro tanto atteso, a distanza di ormai più di sei mesi, non è mai pervenuto niente”. Nel corso dell’audizione infatti il militante palestinese ha accampato la scusa che gli archivi del Fplp sono in Siria, dove ora c’è la guerra, quindi sono irraggiungibili.
Quel che è certo è che il tanto ormai mitizzato lodo Moro, almeno stando ad una fonte diretta che sostiene di averlo visto, esisteva. Fioroni ha provato ad obiettare che in fondo, ammesso anche che il lodo fosse esistito, questo non avrebbe avuto nulla a che fare con il rapimento di Moro. Ma sul punto lo ha interrotto il parlamentare Grassi: “No presidente, mi dispiace, devo correggerla. La connessione sta nel lodo Moro, perché se uno viene rapito nel 1978 non è che viene rapito per quel che ha fatto quella mattina, ma per quel che ha fatto prima. E nel «prima» c'è anche il lodo Moro”.
Uno dei membri di commissione, il senatore Carlo Giovanardi oggi è particolarmente deciso: “Esprimo il mio totale dissenso sul comportamento del governo che dopo 3 anni di lavoro non dà risposte. Il premier Gentiloni non si è mai presentato per fornire quelle risposte agli interrogativi che nei documenti secretati possono trovare lo svolgimento della matassa. Dal lodo Moro e i rapporti delle Br con il Fronte al sequestro dei missili di Ortona, fino a Ustica e la strage di Bologna c’è un filo che li tiene insieme ed è compito del governo togliere finalmente il segreto”.
Anche Fioroni, pur con toni diversi ribadisce lo stesso concetto: “Noi riteniamo che più si completa l’opera di desecretazione degli atti meglio è, dal quadro che è scaturito dalla nostra indagine emerge la solida relazione di collaborazione tra i servizi italiani con i servizi palestinesi. Prova ne è il fatto che lo stesso Giovannone, da Beirut, il 17 febbraio 1978 avvertiva con un cablogramma di un imminente e importante attentato a personalità di primo piano dello Stato. E’ evidente che si riferiva alle Br, ma a quella comunicazione non venne dato alcun seguito. Se solo vi si fosse prestata attenzione forse i cinque uomini della scorta che oggi piangiamo 40 anni dopo non sarebbero stati uccisi”.
Sarebbe cambiata la storia d’Italia? Quel che è certo è che l’allarme sulla strage di via Fani venne dato a migliaia di km di distanza, da un osservatorio ritenuto non conforme alle vicende politiche italiane che sono sempre state il brodo di coltura delle rivendicazioni brigatiste.
Insomma, celebrazioni a parte, la commissione Aldo Moro è convinta che il governo debba fare lo sforzo decisivo per chiarire il quadro sul sequestro dello statista Dc. “Con la desecretazione degli atti – ha concluso Fioroni - si potrebbe comprendere molto bene lo stato di relazione internazionali di quegli anni”. E forse arrivare ad una verità più completa, non meno dolorosa di quella che già conosciamo.