Lo Stato sta con la Chiesa, ma ai vescovi non piace
Capita raramente che la Chiesa sia difesa dallo Stato: in Germania è successo. Un medico di un ospedale cattolico, licenziato perché divorziato e risposato, si è rivolto al tribunale che gli ha dato torto. Bene? No, perché ora i vescovi vogliono riformare in senso permissivo le regole di lavoro del loro personale.
Secondo quanto riportato da Kath.net (clicca qui) escovi tedeschi si sono consigliati lunedì e martedì a Würzburg su una riforma del diritto di lavoro, per gli oltre 500 mila impiegati che lavorano per la Chiesa cattolica tedesca. Ad oggi, il diritto di lavoro ecclesiale richiede dai propri collaboratori una sintonia con la fede e la morale cattoliche. Non si tratta evidentemente di esigere l’impeccabilità dei propri dipendenti, ma di prendere decisioni pubbliche di vita che non contrastino con l’insegnamento del Magistero.
Proprio giovedì scorso, la Corte Costituzionale federale tedesca aveva confermato la liceità di questa posizione, annullando la sentenza del Tribunale del lavoro tedesco, che aveva dichiarato illegale il licenziamento di un medico primario di un ospedale cattolico, dopo che questi aveva contratto un secondo matrimonio. Il dottor Müller aveva lasciato la moglie nel 2005 e, dopo due anni di convivenza con una nuova compagna, aveva deciso di sposarsi civilmente nel 2008. Nel 2009 la clinica aveva deciso per il licenziamento: dunque, non a motivo del fallimento del primo matrimonio, né per il fatto che stesse portando avanti privatamente una convivenza, ma per il fatto che dott. Müller aveva pubblicamente contratto un matrimonio illegittimo, contraddicendo per altro le clausole che aveva accettato, firmando il contratto lavorativo. Il primario decise di esporre una denuncia al Tribunale del lavoro di Düsseldorf, che diede ragione al medico. La clinica presentò quindi un ricorso alla massima istanza del Tribunale del lavoro tedesco di Erfurt; il Tribunale confermò che l’aver contratto il secondo matrimonio, costituisce una violazione del principio Loyalität, che il nuovo assunto si era impegnato ad osservare.
La scorsa settimana il presidente del Secondo Senato della Corte Costituzionale federale tedesca, che si è espresso definitivamente a favore della clinica, ha motivato la sentenza, evidenziando che la definizione dei doveri ecclesiali da rispettare per chi scelga liberamente di lavorare presso strutture cattoliche dipende «solamente dai principi riconosciuti e redatti dalla Chiesa e il concreto contenuto del contratto di lavoro». Il Cardinale Rainer Maria Woelki ha salutato positivamente la sentenza: «La decisione della Corte costituzionale ci dà sicurezza di diritto». Ma se ogni tanto la Chiesa riesce ad essere difesa dallo Stato, bisogna complicarsi la vita da soli; infatti, ironia della sorte, i vescovi tedeschi, nonostante questo giudizio ritenuto giustamente confortante, vogliono comunque rielaborare il diritto di lavoro ecclesiale e le richieste di lealtà incluse.
Il Presidente della Conferenza Episcopale, cardinale Reinhard Marx, si era prodigato negli ultimi mesi per una riforma di tale diritto, allargando le maglie: «Già adesso non esiste un automatismo quando un collaboratore divorziato contrae un matrimonio civile, nemmeno nei confronti di convivenze omosessuali… Nello stesso tempo occorre tenere presente la credibilità dell’azione ecclesiale». «Servono sicuramente ulteriori riflessioni anche a riguardo di chi contrae una convivenza omosessuale per quanti lavorano nel servizio ecclesiale». Affermazioni un po’ ondivaghe, che lasciano chiaramente intendere che si tratterà di una riforma in linea con le idee ampiamente espresse da Marx prima, durante e dopo il Sinodo.
Edward Pentin conferma sul National Catholic Register (clicca qui) che i vescovi tedeschi starebbero tentando di rivedere il diritto al lavoro della Chiesa in Germania proprio per permettere anche ai divorziati risposati ed agli omosessuali conviventi di lavorare per la Chiesa. Secondo Pentin, «la mossa sarebbe stata ideata in segreto». Sembra che il principio di testimoniare nella vita ciò che si professa nella fede non sia più così essenziale per la missione della Chiesa. Pentin riporta la dichiarazione di un oppositore a questa iniziativa: «Si invierebbe il messaggio che in realtà non ci prendiamo cura del contesto dei nuovi impiegati e di come essi vivano; perciò possiamo fondamentalmente assumere chiunque». Secondo gli informatori di Pentin, la strategia, portata avanti dai riformatori, capeggiati dall’attuale segretario della Conferenza episcopale tedesca, il gesuita Hans Langendörfer, punterebbe ad un testo “nebuloso”, aperto a diverse interpretazioni, che suonerebbe come un “via libera” per tutti.
Siamo lontani anni luce dal documento che la Congregazione della Dottrina della Fede emise undici anni fa: «Laddove una questione di bene comune è in gioco, non è opportuno che le autorità ecclesiali sostengano o rimangano neutrali davanti a una legislazione negativa anche se concede delle eccezioni alle organizzazioni e alle istituzioni della Chiesa. La Chiesa ha la responsabilità di promuovere la vita della famiglia e della moralità pubblica dell’intera società civile sulla base dei valori morali fondamentali, e non solo di proteggere se stessa dalle conseguenze di leggi perniciose» (Alcune considerazioni concernenti la risposta a proposte di legge sulla non discriminazione delle persone omosessuali, § 16, 3 giugno 2003). Oggi invece i vescovi tedeschi non solo non si oppongono apertamente a tali legislazioni, ma addirittura cercano di adeguare ad esse le proprie leggi, senza nemmeno la scusa di esservi costretti dalla legislazione dello Stato…