Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Cristo Re a cura di Ermes Dovico
LA CRISI

Lo spread, stavolta, rafforza la tenuta del governo

L'aumento dello spread (differenziale fra i buoni del tesoro italiani e quelli tedeschi) travolse il governo Berlusconi nel 2011. Oggi, al contrario, sembra rafforzare la tenuta del governo Gentiloni. Perché? Perché tornare alle urne con elezioni anticipate darebbe l'idea di una maggiore instabilità. Renzi, in questo caso, è accantonato

Politica 08_02_2017
Gentiloni

Ci risiamo: lo spettro del 2011 torna ad aleggiare sull’Italia, schiacciata ancora una volta da uno spread a livelli allarmanti. E gli effetti, più che economici, potrebbero essere politici: con il governo Gentiloni che si rafforza e si blinda a Palazzo Chigi.

La notizia è fresca: il differenziale tra i titoli di Stato decennali italiani e quelli tedeschi è infatti arrivato a 200 punti base, ovvero ai livelli massimi da tre anni, con un rendimento quasi del 2,4%. Una cosa molto simile accadde, appunto, durante l’ultimo governo Berlusconi, nel 2011. Che finì travolto – oltre che dagli scandali giudiziari – da una situazione economica devastante che costrinse il Cavaliere a lasciare la poltrona di Presidente del Consiglio. 

Stavolta, però, lo spread potrebbe avere conseguenze diametralmente opposte. Non a caso fra le truppe degli alfaniani  c’è già chi afferma che il voto anticipato sarebbe un azzardo inaccettabile. "Sono altre le priorità dei cittadini – ha dichiarato il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin– una campagna elettorale indebolirebbe il Paese nella trattativa per un’Europa a più velocità e il rischio potrebbe essere quello di essere tagliati fuori dal gruppo di testa europeo". E’ proprio l’Europa, infatti, il centro del discorso per chi si oppone a un veloce ritorno alle urne. "Andare alle elezioni in modo affrettato minerebbe in modo serio la tenuta dell’Italia", ha spiegato ancora la Lorenzin. E un fondo di verità, in queste parole, c’è. Lo sanno gli alfaniani e lo sa anche Matteo Renzi. 

C’è da giurare, infatti, che l’ex Presidente del Consiglio in queste settimane stia masticando amaro per essersi reso conto che, con un panorama politico ed economico internazionale di questo genere - con Angela Merkel scavalcata nei sondaggi da Martin Schultz in Germania e con una sempre più temibile Marine Le Pen in Francia - Paolo Gentiloni possa diventare una figura di riferimento tranquillizzante. E dunque appetibile per l’Europa moderata. Ecco perché, ogni giorno che passa, appare irrobustirsi sempre di più l’ipotesi del voto “posticipato” al 2018. 

I programmi dell’Italia per l’attuale 2017, in effetti, razionalmente dovrebbero essere altri. La ripresa economica, la questione dei migranti da affrontare a livello europeo, l’emergenza ricostruzione in centro Italia: sono tutti argomenti caldi che non possono più essere rimandati. Senza dimenticare gli appuntamenti europei (anniversario dei trattati a marzo e vertice di Taormina a maggio), che impongono stabilità, credibilità e autorevolezza. E se – con il suo stile sobrio e il suo basso profilo – il governo Gentiloni dovesse giocarsi bene le sue carte, potrebbe davvero rappresentare un punto fermo per i mercati finanziari che inevitabilmente finiscono per condizionare gli equilibri politici interni. 

L’eventuale ritorno di Renzi, invece, in questo momento rappresenterebbe un’altra incognita e un altro segnale di scarsa stabilità. Senza contare, inoltre, che la batosta inflitta a Renzi con la valanga di “no” al referendum costituzionale è ancora troppo fresca. Lo stile roboante di Renzi e la sua sovraesposizione mediatica sono un brutto ricordo per la maggior parte degli italiani. Serve tempo per dimenticare. Ma, nello stesso tempo, le brame di rivincita del segretario del Pd rischierebbero di dissolversi se la legislatura dovesse durare un altro anno intero: dodici mesi di logorio, tra contrasti interni al Pd e crescita di credibilità di Gentiloni, potrebbero risultargli fatali.

A spegnere le speranze di Matteo Renzi, poi, sono stati uno dopo l’altro il Presidente della Camera, Laura Boldrini e quello del Senato, Pietro Grasso. "Bisogna dare la precedenza alla responsabilità e alla generosità. Capire ciò che è utile al Paese e anteporre questo interesse alle ambizioni personali, impedendo che abbiano il sopravvento", aveva detto la Boldrini al Corriere della Sera solo pochi giorni fa, per allontanare la prospettiva delle urne anticipate a giugno, tanto cara a Renzi. "E' meglio votare nel 2018. Così potremmo recuperare tutto il tempo perso finora – ha dichiarato invece Pietro Grasso – Ci sono provvedimenti sospesi e bloccati da mesi, come le modifiche al sistema penale e di contrasto alla povertà". Senza contare, poi, la stilettata inferta a Renzi proprio da colui che pareva il suo principale “supporter”, Giorgio Napolitano: "In Italia c’è un abuso di ricorso alle elezioni anticipate – ha dichiarato il senatore a vita - Nei paesi civili si va alle elezioni a scadenza naturale e a noi manca ancora un anno".

Il “fronte del voto nel 2018”, insomma, appare sempre più maggioritario. E, uno dopo l’altro, i ministri del governo Gentiloni lasciano intendere di non volersi schiodare dalla poltrona fino a febbraio 2018. Prima della Lorenzin era stato il Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, a rifiutare con nettezza l’idea di elezioni anticipate. Peraltro nei corridoi dei Palazzi si vocifera che lo stesso Calenda aspiri alla premiership. Matteo Renzi non avrà dunque vita facile. Perfino il Ministro della cultura, Dario Franceschini, aprendo a Forza Italia sul premio di coalizione, sembra volersi smarcare da Matteo, candidandosi implicitamente come premier di un probabile governo di larghe intese dopo le prossime elezioni politiche. Ci mancavano solo le complicazioni europee per un Renzi sempre più “ammaccato” e isolato.