Lo spread come strumento politico. Populismo della Bce
Lo spread: chi non ha mai sentito questo termine economico? E chi non ricorda il panico che provocava nel 2011? Ora torna a salire, ma la Bce "ci salverà". Come? Con lo "scudo anti-spread", come il Whatever it takes che nel 2012 salvò Monti. Mentre Berlusconi era caduto per lo spread troppo alto. Allora diteci che è solo politica.
Lo spread: chi non ha mai sentito questo termine economico in lingua inglese? E chi non ricorda il panico che provocava nel 2011? Ora torna a salire, ma la Bce "ci salverà".
Lo spread è (per definizione) è la differenza di rendimento tra due titoli (azioni, obbligazioni, titoli di stato) dello stesso tipo e durata, uno dei quali è considerato un titolo di riferimento. Nel caso dei titoli di Stato, nell’Ue i titoli di riferimento sono i Bund emessi dalla Germania, considerati i più stabili. Se il rendimento del nostro titolo è maggiore, vuol dire che il titolo vale meno e il rischio di tenuta dei conti pubblici è più alto. Lo spread si misura facendo la differenza fra il valore dei rendimenti a 10 anni. Nel 2011, lo spread toccò i 574 punti base, record finora imbattuto, al momento della crisi del governo Berlusconi. Ma già l’anno dopo, in luglio, nel primo anno del governo Monti, lo spread superò i 500 punti. Nemmeno il nuovo esecutivo tecnico garantiva una maggior stabilità. Però intervenne il presidente della Bce, Mario Draghi, sostenendo che la banca europea avrebbe fatto qualsiasi cosa (il celebre “whatever it takes” divenuto il motto dei suoi sostenitori) pur di salvare la stabilità della zona euro. Leggasi, anche: la tenuta del governo Monti.
Oggi siamo in condizioni simili, anche se non così gravi, nel momento in cui, due giorni fa, lo spread ha sfiorato i 240 punti base. Questa volta c’è Draghi al governo e Christine Lagarde alla guida della Bce (nel 2012 era alla guida del Fondo Monetario Internazionale). La causa del peggioramento della situazione è la fine della politica europea di sostegno al debito dei Paesi alle prese con la pandemia, il “Pepp”. La Bce ha prestato, quasi a fondo perduto, 279 miliardi di euro all’Italia, acquistando i nostri titoli. A marzo il programma è finito. Il debito pubblico italiano, arrivato a quota 2.793 miliardi (al 16 giugno sera), è di nuovo rimasto "vittima" di manovre speculative.
La tempesta finanziaria che si è creata in questa settimana è dovuta anche alle parole della stessa Lagarde, quando ha sostenuto che la Bce avrebbe potuto alzare i tassi di interesse per frenare l’inflazione (galoppante). Ma dopo il crollo dei mercati, è tornata sui suoi passi ed ha rassicurato tutti dichiarando che gli uffici tecnici della Bce sono al lavoro per approntare nuovi strumenti finanziari per contenere gli spread, così da evitare una frammentazione eccessiva della zona euro. Sarà il cosiddetto “scudo anti-spread” ad entrare in azione. Non se ne conoscono i dettagli (non si sa ancora come la Bce interverrà e quanto presterà ai Paesi in difficoltà, fra cui l’Italia) nuova manifestazione della politica del “whatever it takes”.
È una buona o una cattiva notizia? Nell’immediato e per tutte le famiglie italiane che, ad esempio, hanno acceso un mutuo, è una buona notizia. Nel lungo periodo, un po’ meno. Perché ad un’esposizione debitoria eccessiva del Paese (che è la causa, oltre alla speculazione al ribasso, della sfiducia dei mercati) si reagisce con altri prestiti. Contrariamente a certe teorie economiche molto in voga dal 2008, i debiti prima o poi si dovranno pagare. Non possono essere cancellati, con una decisione politica, senza provocare danni economici gravi a tutti i creditori. È anche possibile che l’ulteriore prestito che giungerà dalla Bce sotto forma di “scudo anti-spread” ci venga concesso in cambio di misure draconiane. Quali, non è ancora dato saperlo.
In generale, questo modo di fare politica finanziaria potrebbe benissimo essere definito “populista”, perché non si fonda sul rigore. Anzi: permette agli Stati di spendere e indebitarsi, rassicurandoli che tanto, poi, la Bce li salverà “in qualche modo”. Ma come tutti i populismi, è selettivo e sceglie chi privilegiare con criteri politici, più che economici. Lo spread ha distrutto Berlusconi nel 2011. A chi, nel centro-destra, chiedeva interventi della Bce e puntava il dito contro manovre speculative politiche, gli esperti rispondevano (correttamente) che lo spread non potesse essere manipolato, perché “è un indicatore, come un termometro”, se è alto, vuol dire che l’Italia ha febbre alta. Però Monti è stato salvato dalla nuova crisi dello spread: Draghi era riuscito a correggere il “termometro”. Oggi Draghi viene salvato dal rischio di ripetere l’esperienza di dieci anni fa, ma siamo sicuri che, se nel 2023 vincesse un governo diverso, la Bce sarebbe altrettanto generosa? La pandemia di Covid e l’esigenza di aumentare enormemente la spesa pubblica, come in tempo di guerra, ha sospeso i vecchi criteri. Per nessuno vale più il rigore come era in tempi pre-pandemici. Ma prima, durante e dopo la pandemia, è impossibile non notare un trattamento di favore per certi governi e non per altri.
Questo aspetto è ulteriormente preoccupante per il futuro. Non solo la Bce sta incoraggiando gli Stati a fare più debiti, ma dimostra di avere la “manica larga” con i governi che considera più leali al progetto europeista. Un principio che riduce la possibilità di reale alternanza democratica e che permette ai governi “amici”, di comportarsi in modo più irresponsabile.