Lo scientismo elimina l'uomo e la sua libertà
La modernità ha elevato la scienza a criterio ultimo per conoscere la realtà, riducendo anche l'uomo a mero oggetto. Ma l’uomo oggettivato non è più soggetto, non è più uomo. E ora al culmine della modernità la scienza, particolarmente con la genetica e la neurobiologia, si erge per divorare la libertà dell’uomo.
Siamo tutti, chi più chi meno, persuasi che la scienza e la tecnica esistano per rendere ogni giorno di più l’uomo padrone del mondo. E questo dominio ridurrebbe lo spazio in cui regna l’incertezza, con un limite tendente alla sua totale eliminazione. Arriva un terremoto, si viene travolti da un’alluvione: non stiamo forse tutti a fare il tifo perché un giorno, che speriamo vicino, non solo si possa tutto prevedere nel dettaglio, ma anche governare? Si verifica un deragliamento ferroviario: non è forse vero che tutti sogniamo un giorno in cui il “fattore umano” possa essere eliminato, per consegnarci tutti più sicuri nelle mani della tecnologia infallibile? Un medico sbaglia una terapia: non stiamo tutti ad agognare che l’intelligenza artificiale possa subentrare per rimpiazzare la fallibilità dell’uomo con il camice bianco? La scienza esiste per questo, e per questo è divenuta la nostra speranza: poter diventare, finalmente, domini del mondo; non è forse scritto anche nel libro della Genesi?
E se invece la realtà fosse tragicamente diversa? Se la scienza avesse in sé il germe non per salvare l’uomo, ma per eliminarlo? Il riferimento non è all’immediato pensiero delle esorbitanti possibilità tecnologiche che potrebbero essere usate male, come l’atomica o i virus che fuggono indisturbati dai laboratori. Almeno non direttamente. L’idea di fondo è che invece l’estensione universale delle leggi scientifiche facciano sparire l’uomo.
Ripartiamo dalla conclusione dell’articolo di domenica scorsa. E passiamo da Galilei che affermava la matematica essere la lingua dell’universo a Henri Poincaré (1854-1912), che sosteneva che la matematica è la lingua dello scienziato, dell’uomo che approccia il mondo. Forse non abbiamo riflettuto a sufficienza che una lingua non è solo una modalità di espressione del pensiero, ma anche la modalità con cui si pensa. La matematica è divenuta dunque la forma mentis nell’approccio con la realtà. Il mondo qualitativo sparisce, quello metafisico pure, e rimangono oggetti tagliati a misura di quell’ipotesi espressa in linguaggio matematico con la quale interroghiamo il mondo. E se interroghiamo il mondo in questo modo, il mondo “risponderà” secondo il linguaggio dell’interrogazione.
Olivier Rey ha spiegato in modo molto chiaro che «la fisica moderna non conosce gli oggetti se non per il loro modo di rispondere alle sollecitazioni esterne, che essa integra in schemi operativi. Essa non dice ciò che l’oggetto è, essa dice come si comporta in funzione di un parametro o di un altro, nell’uno e nell’altro contesto». L’azione dello scienziato in qualche modo costituisce il suo oggetto d’indagine, che dunque “risponde” secondo quella evidenza che caratterizza la matematica. Un mondo perfetto, quello creato dal metodo scientifico, senza equivoci, altamente selettivo, ma anche profondamente cieco. Perché che la scienza conosca solo una lingua e un pensiero matematico, lo si ammette, ma che questo approccio finisce per restringere il reale solo a ciò che con questo approccio si può trattare, lo si dimentica.
E così accade che «nello stesso tempo in cui la scienza progredisce, quanto le sfugge viene respinto. Il favorire questa messa da parte fa sì che l’esistenza umana si svolga, ogni giorno di più, in un mondo modellato dalla tecno-scienza», spiega Rey. Un mondo nel quale «un oggetto accede a una presupposizione di esistenza solo quando è suscettibile di un approccio scientifico e guadagna un’esistenza vera solo quando lo si è saputo effettivamente trasformare in un oggetto scientifico».
Lo scientismo possiede una faccia più oscura, infida e celata di quella che comunemente mostra. Scientismo infatti è sì la convinzione di poter spiegare, manipolare, controllare tutto – se non oggi in un domani, presentato sempre come assai vicino -; ma questo è possibile al prezzo di espungere tutto quello che resiste ad essere formulato in termini matematici.
Ora si dovrebbe comprendere meglio perché la scienza porta sempre con sé la tentazione di dissolvere l’uomo: perché approcciandosi a lui, la scienza lo deve oggettivare. Ma l’uomo oggettivato non è più soggetto, non è più uomo. Quello che la scienza tocca diviene oggetto, trascinato dentro il suo linguaggio univoco; del mondo vivente e dell’uomo non restano che reazioni chimiche, determinazioni genetiche, stati fisiologici. L’uomo è tutto qui: lo ha deciso la scienza, a priori. Il resto non esiste o è favola per bambini.
È qui che il riduzionismo scientista giunge alla sua più incredibile contraddizione: la scienza nasce perché esiste l’uomo, perché l’uomo pensa, perché l’uomo decide, perché non è mera materia, non obbedisce agli algoritmi, ma semmai li crea. Ma adesso la creatura dell’uomo, la scienza, come la piena di un fiume non più arginabile, si erge contro l’uomo stesso, fagocitandolo. L’uomo viene «assorbito definitivamente nella struttura elaborata dal suo impegno; l’universalità di questa struttura rappresenterebbe al tempo stesso il suo trionfo e il suo annientamento, trionfo perché annientamento», spiega Rey. Les jeux sont faits, rien ne va plus.
La progressiva erosione della verità e del bene non ha lasciato alla modernità che due soli miti indubitabili, due divinità alle quali ciascuno deve rendere culto: la libertà e la scienza. Ora, arrivati al culmine del processo della modernità – che è anche la sua fine – assistiamo allo scontro tra titani: la scienza, particolarmente con la genetica e la neurobiologia, si erge per divorare la libertà dell’uomo, dichiarando, sempre con quell’a priori tipico dello scientismo, che essa non esiste, che non è se non l’ultima reliquia del mondo prescientifico. È qui, sulla spiaggia dell’oblio del soggetto, che lo scientismo giunge al suo capolinea. Quello che ancora non è chiaro è se il soggetto avrà la forza di riappropriarsi della sua creatura e di metterla al guinzaglio. Costi quel che costi.