Livorno sott'acqua, una soluzione c'è
Ancora una volta la piena di un fiumiciattolo ha provocato vittime e gravi danni in una città costiera del nostro Paese. E ancora una volta è rimpallo di accuse. Ma il problema sta all'origine, nella gestione centralizzata inevitabilmente inefficiente. La gestione dei piccoli corsi d'acqua andrebbe lasciata ai Comuni.
Ancora una volta la piena di un fiumiciattolo ha provocato vittime e gravi danni in una città costiera del nostro Paese. E ancora una volta vediamo ripetersi lo stantio copione di sempre: la proclamazione dell’urgenza di grandi piani statali e l’apertura di inchieste della magistratura, ossia il solito rito delle promesse faraoniche da un lato e della ricerca dei capri espiatori dall’altra. Sarebbe più utile, e più rispettoso della memoria delle vittime, domandarsi che cosa fare strutturalmente, come meglio diremo più avanti, per prevenire disastri del genere. Auguriamoci poi che le omelie alle esequie delle vittime non siano ancora una volta un riassunto dei commenti moralistici dei giornali “laici” ma abbiano a tema il misterioso senso della morte tragica e innocente.
Sette morti, due dispersi, centinaia di auto sommerse e danneggiate, scantinati allagati, decine di abitazioni gravemente lesionate, la linea ferroviaria interrotta per ore, sottopassi invasi dall’acqua, frane e devastazione un po’ ovunque. E’ questo il tragico bilancio a Livorno dell’esondazione del rio Ardenza, un torrente con un bacino di non più di 18,2 chilometri quadri, che nasce sulle colline livornesi a 350 metri di quota e si getta in mare a soli circa 11 chilometri dalla sua sorgente. Nell’arco di circa tre ore sul bacino del fiume è caduta più acqua che nei precedenti otto mesi. Questo dato, spesso addotto da cronisti e commentatori per spiegare quasi tutto, in realtà non spiega niente. In meteorologia l’irregolarità non è l’eccezione bensì la regola, e qualsiasi sistema di governo degli effetti delle precipitazioni sul territorio deve essere a misura degli estremi e non della media.
Il disastro richiama inevitabilmente alla memoria le ripetute analoghe catastrofiche esondazioni (le più recenti nel 2011 e nel 2014) del Bisagno a Genova. Come l’Ardenza anche il Bisagno è un breve fiume torrentizio che scorre dentro una città per buona parte del suo percorso. E in entrambi i casi quelle esposte alle esondazioni sono aree originariamente golenali, destinate cioè ad assorbire allagandosi le ondate di piena, che in seguito vennero trasformate in aree edificabili. In tempi di grande crescita della popolazione urbana ciò può anche essere inevitabile, ma allora occorre costruire sistemi alternativi di controllo delle piene, che evidentemente spesso non sono stati previsti, o comunque non sono stati previsti in modo adeguato.
Ancora una volta anche in questi giorni si è messa vorticosamente a girare la macina delle accuse reciproche tra Comune, Regione e organismi statali vari. E di nuovo si torna a indicare la centralizzazione come panacea di tutti i mali. In realtà la strada da imboccare è quella opposta, e cercheremo di spiegare perché.
In armonia con la “filosofia” amministrativa post-napoleonica, che sta alla base dello Stato italiano, la nostra pubblica amministrazione ha la pretesa di gestire ogni problema in modo simmetrico: nel nostro caso è la pretesa di gestire in forma centralizzata, statale i bacini dell’Ardenza e del Bisagno come quelli del Po, dell’Adige o del Tevere. Viceversa il caso dei primi è del tutto differente da quello dei secondi: grandi corsi d’acqua con un gran numero di importanti affluenti, che percorrono il territorio di varie regioni e hanno bacini imbriferi di decine di migliaia di chilometri quadri (71 mila nel caso del Po). Anche qui ci sarebbe molto da riformare, ma la molteplicità dei soggetti coinvolti rende indispensabile il ruolo coordinatore dello Stato.
Veniamo invece a casi come quelli dell’Ardenza e del Bisagno. Qui si tratta di corsi d’acqua molto corti il cui alveo e il cui bacino riguardano soltanto o in gran parte il territorio di un solo grande comune urbano, per di più densamente edificato. Che senso ha in un caso del genere un intreccio di competenze (che in una tale situazione diventa inevitabilmente un groviglio di competenze)? Sarebbe ben più ragionevole passare al Comune anche il governo del corso d’acqua. Lo stesso ente che governa l’edificazione dell’abitato, ossia il Comune, governerebbe anche il flusso del fiume con poteri e responsabilità chiare e ineludibili.
Ciò vale poi analogamente - dalla Liguria alla Calabria e alle isole maggiori - per un gran numero di altri piccoli bacini fluviali litoranei in tutto il Paese, i cui bacini imbriferi riguardano pochi Comuni. Se Livorno avesse avuto totale responsabilità sull’Ardenza, come sul rio Maggiore e sugli altri capricciosi fiumiciattoli che lo attraversano, ben difficilmente dovremmo oggi lamentare vittime e danni. E questo per il semplice motivo che in tal caso il controllo sociale avrebbe imposto quell’efficienza di governo che il controllo statale evidentemente non è in grado di assicurare.