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IMMIGRAZIONE

L'Italia non firma il Patto Globale. Meglio così

L’Italia non partecipa alla conferenza che si terrà il 10-11 dicembre a Marrakech, convocata per discutere e sottoscrivere il "Patto globale per una emigrazione sicura, disciplinata e regolare". Il premier Conte rinvia la discussione al Parlamento. Un'occasione per studiare meglio un documento nato con le peggiori premesse.

Politica 29_11_2018
Il logo del Global Compact

L’Italia non parteciperà alla conferenza intergovernativa che si terrà il 10-11 dicembre a Marrakech, convocata sotto gli auspici dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite per discutere e sottoscrivere il “Patto globale per una emigrazione sicura, disciplinata e regolare”. Il primo ministro Giuseppe Conte lo ha annunciato il 28 novembre confermando una dichiarazione fatta poco prima dal ministro dell’interno Matteo Salvini in aula parlamentare. “il GlobalMigration compact – ha spiegato il premier – è un documento che pone temi e questioni diffusamente sentiti anche dai cittadini. Riteniamo opportuno, pertanto, parlamentarizzare il dibattito e rimettere le scelte definitive all'esito di tale discussione, come pure è stato deciso dalla Svizzera. A Marrakech, quindi, il governo non parteciperà, riservandosi di aderire o meno al documento solo quando il Parlamento si sarà pronunciato".

La decisione arriva dopo giorni di incertezza durante i quali sembrava tuttavia probabile che l’Italia avrebbe firmato. Si era detto favorevole a sottoscrivere il Patto il ministro degli esteri Enzo Moavero e lo stesso presidente del consiglio, parlando in precedenza al Palazzo di Vetro all’Assemblea generale Onu, aveva dichiarato: “i fenomeni migratori con i quali ci misuriamo richiedono una risposta strutturata, multilivello e di breve medio e lungo periodo da parte dell’intera comunità internazionale. Su tali basi sosteniamo il Global Compact su migrazioni e rifugiati”.

Anche se qualcuno la interpreterà come “aver passato la patata bollente” e un “ulteriore segno di divisione della maggioranza”, rimettersi al Parlamento sembra una buona decisione, non soltanto per i motivi addotti dal primo ministro. Discuterne, rimandando la decisione, potrebbe infatti offrire l’opportunità di far conoscere il contenuto del Patto globale, i suoi presupposti e i suoi effetti: prima di tutto ai parlamentari, sicuramente molti, che non hanno avuto modo di leggerne il testo e di documentarsi essendo impegnati in altre questioni, nella speranza che a loro volta vogliano informarne i rispettivi interlocutori, sia i compagni di partito sia i cittadini che li hanno votati. Sarebbe altresì utile, ma forse è utopia sperarlo, che la discussione, dentro l’aula e fuori, a tutti i livelli, diventasse occasione di riflettere e ragionare più in generale, e finalmente, sulle Nazioni Unite, su che cosa sono diventate nel corso degli anni: sempre più terreno e strumento di attacco all’Occidente, al suo modello di sviluppo e di società, portavoce di tutte le ideologie antioccidentali, fin dal 2001 quando, alla vigilia degli attentati dell’11 settembre, un’altra conferenza intergovernativa, quella convocata a Durban, “contro il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e altre forme correlate di intolleranza”, si rivelò essere stata concepita unicamente per accusare l’Occidente e Israele, e loro soltanto, di comportamenti razzisti, addirittura di crimini contro l’umanità. Il documento proposto alla firma dei paesi membri, come si ricorderà, chiedeva ai “colpevoli” di dichiararsi tali, di esprimere rincrescimento, di porgere scuse ufficiali per i danni materiali e morali arrecati all’umanità nel corso dei secoli. Peraltro, dal punto di vista della lotta alla discriminazione razziale e all’intolleranza, non aggiungeva nulla a quanto già proclamato e intrapreso negli oltre 50 anni trascorsi dalla pubblicazione della Carta universale dei diritti umani. Allora la delegazione degli Stati Uniti e quella di Israele avevano lasciato la conferenza. I paesi dell’Unione Europea restarono e, dopo giorni di discussioni, accettarono di firmare, ma solo dopo aver ottenuto la cancellazione dei punti del testo incriminanti.

Anche la conferenza di Marrakech e il Patto globale non aggiungeranno niente a ciò che già si chiede e si dispone a tutela di chi emigra. Oltre tutto il Patto non è neanche giuridicamente vincolante, il che fa dire a qualcuno: allora, perché non firmarlo? … La risposta è che non va firmato proprio perché non è vincolante, però rappresenta un nuovo tentativo dell’Onu di imporre limitazioni agli stati sovrani, e perché in sostanza è superfluo, inutile, come è stato spiegato in un articolo (Migranti, un patto globale inutile, 4 novembre 2018), però asserisce un assoluto “diritto all’emigrazione” che sarebbe ingenuo considerare privo di conseguenze.

Gli Stati Uniti per primi nel 2017 hanno deciso di non aderire al Patto, seguiti da Australia e Israele. Poi quest’anno, a ottobre, hanno deciso di non firmare due stati membri dell’Unione Europea: Ungheria e Austria. Il 12 novembre il presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker ha rivolto un appello affinché l’Ue presenti un fronte unito sul tema dell’immigrazione: “se uno o due o tre paesi abbandonano il patto delle Nazioni Unite – aveva detto – allora noi come Unione Europea non possiamo difendere in nostri interessi”. Nel frattempo i paesi europei sono diventati sei, con l’aggiunta della Bulgaria e degli altri stati del gruppo Visegrad, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia.