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G20

L'Italia è diventata la Libia d'Europa

Anche al G20 di Amburgo, dopo il vertice Ue di Tallinn, l'Italia si ritrova isolata sul tema dell'immigrazione nel Mediterraneo. La posizione di Gentiloni, condividere anche gli immigrati economici, non è (ovviamente) accettata dal resto del mondo. E i paesi confinanti, chiudendo le frontiere con l'Italia, dimostrano di considerarci come un pezzo di Africa: la Libia d'Europa.

Politica 10_07_2017
Immigrati fermati a Mentone

Questa volta è stato il premier Paolo Gentiloni, non il ministro degli interni Marco Minniti, a incassare il disinteresse del mondo che conta e le palesi critiche all’operato dell’Italia sulla questione dell’immigrazione illegale.

"Siamo tutti consapevoli della differenza giuridica tra rifugiati e migranti economici. Ma questi sono oltre l'85% degli arrivi e quindi gestire e contenere i flussi è e sarà sempre più una sfida europea e globale" ha detto Gentiloni nella sessione dedicata ad Africa e immigrazione. Peccato però che i migranti economici nessuno giustamente li voglia accogliere mentre chi fugge da guerra e persecuzioni (in realtà quasi nessuno di coloro che oggi arrivano in Italia dalla Libia) hanno ben altre strade lecite per chiedere asilo: quelle previste dalla Convenzione di Ginevra del 1951 regolarmente disattese da chi si rivolge ai trafficanti.

Del retro la situazione è stata già ben chiarita dai fatti: gli svizzeri schierano ai confini italiani polizia ed esercito, lo stesso fanno gli sloveni e minacciano di fare gli austriaci mentre i francesi hanno mobilitato polizia e gendarmeria. Catturano migranti illegali che hanno sconfinato dall’Italia e li rimandano da questa parte della frontiera. L’Europa offre asilo solo a siriani e in parte a iracheni ed eritrei: da noi di questa nazionalità non ne sbarcano quasi più. Chiaro quindi che per i nostri vicini potenziare i confini con l’Italia significa presidiare le frontiere con…l’Africa. Con oltre 700 mila migranti illegali dei quali 200 mila nel circuito dell’accoglienza, 100 mila almeno defluiti in Nord Europa negli anni scorsi senza essere stati registrati in Italia e gli altri più o meno a spasso in modo incontrollato per la Penisola, di fatto siamo diventati la “Libia d’Europa”.

Del resto che al G-20 il tema immigrazione interessasse ben poco lo dimostra anche il fatto che la proposta Ue di sanzioni internazionali per i trafficanti di essere umani non è neppure arrivata a essere citata nel documento finale né a essere discussa durante i lavori. Ne ha preso atto Gentiloni forse senza rendersi conto che ai più appare chiaro che i trafficanti debbano essere perseguiti con le armi e la legge invece di favorirne il business come stanno facendo le flotte italiane ed europee che traghettano gli immigrati illegali in Italia.

Gentiloni ha detto che è "importante il global compact lanciato nel settembre scorso dall'Onu sottolineando la necessità di "investire in Africa per lo sviluppo e contro le conseguenze del cambiamento climatico, stabilizzare la Libia, combattere i trafficanti" ma i soldi stanziati dalla Ue per il Sahel non daranno certo effetti rapidi (se mai serviranno a qualcosa) mentre i flussi vanno fermati ora. Ce lo dicono gli altri “grandi” del G-20 nel documento finale in cui sul tema immigrazione una frase rappresenta una vera una tirata d’orecchi diretta proprio all’Italia.

Il testo sottolinea “il diritto sovrano degli Stati di gestire e controllare i loro confini e stabilire politiche” nell'interesse della sicurezza nazionale. Parole che piacciono a Trump, danno ragione a Viktor Orban e ai leader de Gruppo di Visegrad che contestano la politica di accoglienza della Ue  e ridicolizzano i ultimi tre governi italiani. Il poker di sonori ceffoni rimediato in una settimana (Commissione europea, singoli partner, vertice di Tallinn e G20) non sembra per ora aver prodotto altro che piagnistei negli ambienti governativi romani. Forse incapaci di tutelare gli interessi nazionali ordinando il respingimento in Libia (o in Tunisia previo accordo col locale governo) dei migranti soccorsi, o forse prigionieri delle lobby che li sostengono e che si spartiscono i miliardi che finanziano il business dell’accoglienza e del soccorsi.

Non a caso ieri è saltato (slittato forse alla prossima settimana) l’incontro organizzato dalla Guardia Costiera italiana c on le Ong che hanno navi nel Mediterraneo Centrale per mettere a punto il codice di condotta a cui le organizzazioni umanitarie private dovranno attenersi. "Motivi organizzativi legati all'attività operativa di questo periodo", la ragione ufficiale del rinvio ma in realtà le misure da adottare devono essere concordate con Bruxelles e le Ong che gestiscono le 10 navi umanitarie attive nel Canale di Sicilia e accusate dalla Guardia Costiera libica di essere in combutta con i trafficanti non nascondono il malcontento nel dover accettare controlli e limitazioni che includono anche la presenza di ufficiali di polizia italiana a bordo.

Col codice, ha sottolineato Minniti, si vuole innanzitutto ottenere che i mezzi delle Ong collaborino con la polizia giudiziaria, perché "un Paese serio prende tutte le misure per coniugare salvezza delle vite ed esigenze di sicurezza". Si punta inoltre ad evitare che le navi si spingano fin nelle acque libiche, trasformandosi in fattore di attrazione) che spengano i trasponder per non farsi rilevare in acque libiche e si chiede trasparenza su equipaggi e finanziamenti.

Regole già giudicate inammissibili (chissà perchè?) da molte Ong già rivelatesi peraltro reticenti o mute persino davanti alla Commissione parlamentare che le invitò nei mesi scorsi a chiarire i dettagli del loro operato.