L’Isis resiste, l’Europa non sa neppure addestrare
Mentre l’Europa discute di difesa comune, la più importante tra le missioni militari europee celebra il suo ennesimo flop. Eunavfor Med, ribattezzata buonisticamente, “Operazione Sophia” dal nome dato a una bambina nata a bordo di una nave tedesca che ne aveva recuperato la madre, ha fallito tutti i suoi obiettivi.
Doveva contrastare il “modello di business” dei trafficanti (come disse Federica Mogherini varando l’operazione) e invece ne ha solo ingigantito gli incassi raccogliendo in mare clandestini da sbarcare in Italia. Doveva colpire i trafficanti in acque e sulle coste libiche ma solo se il governo di Tripoli lo avesse chiesto (e non lo ha fatto) o se l’Onu lo avesse autorizzato (ma non l’autorizza).
Per compensare almeno in parte così tanti insuccessi con un piccolo progresso, Eunavfor Med era stata incaricata di addestrare un centinaio di uomini della Guardia Costiera libica affinché potessero da soli (con mezzi nuovi che la Ue intende donare a Tripoli) controllare le loro acque territoriali dove annegano la gran parte dei clandestini che muoiono in mare, circa 3.500 persone solo quest’anno. Il lancio del programma di addestramento dei guardiacoste libici era stato annunciato con enfasi a fine agosto e doveva prendere il via in questi giorni ma lo pseudo governo di Fayez al-Sarraj, che l’Onu ha varato senza la fiducia del parlamento di Tobruk e che tutto l’Occidente riconosce come legittimo, non è stato capace neppure di inviare alla Ue la lista dei nomi dei militari che dovrebbero partecipare ai corsi di addestramento suddivisi in tre livelli e della durata di alcuni mesi.
Le autorità europee, del resto, devono poter esaminare i nominativi dei candidati per effettuare verifiche ed evitare quanto è accaduto negli anni scorsi quando tra i militari libici addestrati in Europa si sono annidati criminali, terroristi e persone del tutto inaffidabili. A ben guardare, forse è meglio evitare di addestrare una Guardia Costiera che in molti casi si è comportata da vera e propria organizzazione criminale, sequestrando pescherecci italiani in acque internazionali, o di supporto ai trafficanti recuperando per loro gommoni e barconi dopo che i clandestini a bordo erano stati imbarcati sulle navi italiane ed europee.
Il ritardo dei programmi addestrativi della Guardia Costiera libica non è stato annunciato dalla missione navale Ue, che ha sede a Roma, né dal quartier generale di Bruxelles, ma dall’agenzia di stampa France Presse che sabato scorso ha citato fonti diplomatiche. «Si attende sempre da Tripoli la lista sul primo centinaio di candidati», hanno riferito due fonti parlando di una questione «complessa» e precisando che una volta che la lista sarà consegnata, l’Ue prenderà 20 giorni per verificare i nomi proposti e passarli al filtro «di tutti i database possibili».
Il fragile governo di accordo nazionale (Gna) di al-Sarraj non controlla nessuna milizia né tanto meno la Guardia Costiera ma la scarsa collaborazione di Tripoli potrebbe essere determinata dal fatto che la stessa Eunvfor Med stima che circa la metà del PIL della Tripolitania sia oggi generato dai traffici di esseri umani verso l’Italia. In pratica chi sostiene al-Sarraj si arricchisce mandando in Italia i clandestini. «Bisogna trovare guardiacoste che siano sotto l’autorità del governo di al-Sarraj, sapere chi si va a formare e come li si forma», ha sottolineato una fonte, ma i libici non sembrano aver fretta di avviare il programma addestrativo.
Non hanno fretta neppure di chiudere il conto con lo Stato Islamico che a Sirte resiste ancora dopo quasi 5 mesi di assedio da parte delle milizie di Misurata e nonostante i 175 raid aerei statunitensi effettuati in quasi due mesi. Non a caso, il coordinatore anti-terrorismo della Ue, Gilles de Kerchove, valuta che la Libia rischi di diventare la nuova culla dello Stato Islamico per pianificare attentati contro l’Europa. In un’audizione all’Europarlamento, de Kerchove ha messo in guardia lunedì contro il possibile utilizzo di “armi chimiche” e “auto bomba” sostenendo che la disfatta del Califfato in Siria porterà a un inevitabile «esodo di migliaia di combattenti» verso altri “punti caldi”, indicando in particolare la Libia.
Ipotesi probabile anche se della “disfatta” del Califfato in Siria e Iraq ancora non vi è ancora traccia al di là di alcune sconfitte e ritirate strategiche. «L’Europa», avverte De Kerchiove, «sarà tra le destinazioni», ribadendo che l’Isis «ha infiltrato suoi uomini tra i flussi di migranti» anche se «non in numero massiccio». I jihadisti che arriveranno in Europa «avranno molti profili, e tra loro ci sarà chi ha combattuto in prima linea», ma ci saranno anche dei bambini. «Sono almeno 500 quelli nati» nel Califfato da genitori europei. Quest’ultimi, secondo Europol, potrebbero essere autentiche bombe ad orologeria. Il coordinatore ha richiamato l’attenzione dell’europarlamento anche sulla «vulnerabilità dei rifugiati» poiché «sappiamo che gruppi salafiti stanno facendo reclutamenti nei campi profughi».
Allarmi e informative a parte, resta da chiedersi se un’Europa incapace persino di far rispettare le sue frontiere riservando gli accessi solo a chi ha i documenti in regola possa avere la capacità di contrastare seriamente una minaccia ad ampio spettro come quelle del terrorismo islamico.