L'Irlanda al voto per le nozze gay Intimidazioni e gogna pubblica per chi dice "No"
Oggi il referendum che potrebbe introdurre nella Costituzione il diritto alle nozze gay. Nettamente favorito il "Sì" grazie a un pesante clima di intimidazione contro i difensori della famiglia naturale. Tutti i partiti e tutta la stampa hanno condotto una durissima battaglia pro-gay e anche la Chiesa, ancora imbarazzata dai gravi scandali sessuali, si presenta azzoppata.
È un paradosso che proprio alla vigilia dell’inizio delle celebrazioni per il centenario della Rivolta di Pasqua (Easter Rising) del 1916, tappa fondamentale che portò alla sua indipendenza da Londra nel 1922, l’Irlanda si ritrovi a decidere per la sua sottomissione alla cultura dominante e più specificamente a Bruxelles (Unione Europea). Oggi si vota infatti per il referendum che potrebbe approvare un emendamento alla Costituzione che ridefinisce il matrimonio come «unione fra due persone senza distinzione di sesso». In pratica l’approvazione delle nozze gay.
Se – come fanno supporre tutti i sondaggi – l’emendamento passerà, sarà la prima volta nella storia che il matrimonio gay viene approvato direttamente dal popolo. E incredibilmente – almeno per l’osservatore distratto – questo accadrebbe nella “cattolica” Irlanda. Che però cattolica non lo è più da un pezzo, almeno nel senso di una cultura dominante. “Goodbye to Catholic Ireland” (Addio all’Irlanda cattolica) titolava un libro la scrittrice e giornalista Mary Kenny già nel 1997 ripercorrendo la storia dell’Isola di Smeraldo: a Dublino già allora c’era un’atmosfera non solo di distacco ma addirittura di rifiuto violento del cattolicesimo, che segnava una frattura culturale e sociale tra la città e l’Irlanda rurale, ancora attaccata alla tradizione.
Tanto che dal 1992 si sono succeduti una serie di referendum che, prova che ti riprova, hanno aperto le porte a divorzio e aborto.
Si può allora capire che il gravissimo scandalo dei preti pedofili sia stato il colpo di grazia per una Chiesa che già da molto tempo manteneva un controllo sociale non sostenuto da una vera vita di fede. Tanto che molti fedeli, anziché seguire le indicazioni di penitenza e riparazione chieste da papa Benedetto XVI, si sono definitivamente allontanate dalla Chiesa, soprattutto nei centri urbani. E anche si è approfondito il solco che divide i laici cattolici, tradizionalmente molto autonomi e vivaci, dai loro pastori, giudicati spesso troppo timidi e rinunciatari davanti al mondo.
Non sorprende dunque quel che è avvenuto in questo frangente storico: tutti i partiti e tutta la stampa nazionale è a favore del “Sì” alle nozze gay. Tutti: se davvero partiti e giornali rappresentassero i loro elettori e lettori il risultato del referendum dovrebbe essere 10 a zero. E non è che l’indicazione sia stata generica, tanto è vero che l’unico senatore dissenziente, Jim Walsh, ha dovuto dare le dimissioni dal suo partito Fianna Fail, che nella storia repubblicana dell’Irlanda ha sempre rappresentato ciò che la Democrazia Cristiana è stata per l’Italia. Altri 4 senatori sono schierati per il “No” ma sono indipendenti.
A lottare per difendere la famiglia naturale, come da lunga tradizione, sono stati comitati spontanei – come First Families First guidata dal giornalista John Waters - e associazioni di laici come Iona Institute, guidato da un altro giornalista, David Quinn. Una lotta impari, condotta oltretutto sul filo dell’intimidazione: i comitati del “No” sono stati sottoposti a un vero linciaggio mediatico, trattati da oscurantisti degni del pubblico ludibrio, indegni di far parte di una nazione civile, zavorra che impedisce all’Irlanda di esseri al pari delle altre nazioni europee, i loro siti internet fatti oggetti di attacchi da parte di hacker. Per non parlare dei finanziamenti piovuti dall’estero, soprattutto da fondazioni americane, sulle associazioni Lgbt.
«Tutte le agenzie che ricevono finanziamenti dallo Stato hanno ricevuto pressioni (da funzionari governativi) per sostenere il “Sì”», ha denunciato il senatore “dissidente” Jim Walsh. Anche l’associazione di categoria della polizia ha invitato i suoi membri ad unirsi alla campagna del “Sì”. La Società degli psicologi d’Irlanda ha aggiunto pressione a pressione dipingendo le ragioni del “No” al pari delle torture, e dalle colonne del quotidiano The Irish Times si è alzata la proposta un organismo di controllo sull'omofobia, una sorta di Inquisizione contro l’omofobia.
«Ci trattano come fossimo i bianchi razzisti e segregazionisti degli anni ’50 in America», ha ben sintetizzato uno dei militanti del “No”. A dare l’idea dell’aria che tira c’è fresco anche il caso della vicina Irlanda del Nord, dove il nuovo caso della “torta gay” avrà certo la sua influenza sul voto irlandese. Come già accaduto negli Stati Uniti, infatti, il giudice ha condannato la pasticceria Ashers, co. Antrim, per essersi rifiutata di preparare una torta con uno slogan pro-nozze gay, il tutto in applicazione della legge sull’uguaglianza. È un caso che ovviamente fa discutere ma più che generare reazioni in difesa della libertà religiosa, anche in campo cristiano sta producendo critiche a coloro, Chiesa in testa, che si ostinano ad opporsi al matrimonio tra persone dello stesso sesso.
E anche la Chiesa, imbarazzata dagli scandali sessuali la cui onda lunga non è ancora finita, si trova azzoppata e divisa. Basterebbe il clamore suscitato dall’ex presidente della Repubblica Mary McAleese, cattolica, che è scesa in campo per il “Sì” affermando pubblicamente che il suo unico figlio, gay, si è sentito torturato quando ha scoperto la posizione ufficiale della Chiesa sull’omosessualità, ma c’è molto di più. Non solo ci sono preti che sono usciti allo scoperto a favore del “Sì”, ma anche tra i vescovi si sono registrate diversità, se non di giudizio sicuramente di strategia, che hanno creato tensioni e polemiche.
Se solo quattro vescovi hanno fatto un comunicato congiunto per invitare a votare “No”, emblematica della situazione è la polemica di cui è al centro l’arcivescovo di Dublino, monsignor Diarmuid Martin: più volte è intervenuto invitando a riflettere sulle ragioni del referendum e sulle conseguenze del voto, ma non ha mai voluto invitare apertamente a votare “No”. È stato perciò accusato anche da altri vescovi di favorire il “Sì” finché nei giorni scorsi ha affermato che lui voterà “No”, ma che non si sente di dire ad altri quel che devono fare e neanche ha voluto esprimere un giudizio sui preti del “Sì”. È anche questo un effetto del clima che si è creato a causa degli scandali, che indebolisce oggettivamente il tentativo di resistere a questa ondata che soffoca la società. In questa condizione anche una sconfitta di misura del “No” sarebbe un mezzo miracolo. A meno che la resistenza della gente comune sia in effetti più forte di quanto da tutti valutato.