L’Iran minaccia Israele, alta tensione in Medio Oriente
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Dopo l’assassinio del capo politico di Hamas, Teheran annuncia che la sua risposta sarà «severa e avverrà al momento, nel luogo e nei modi appropriati». Imprevedibile lo scenario, con Israele che rischia un attacco congiunto da pasdaran, Houti e Hamas. Ieri distrutti 30 missili di Hezbollah. Nuovo appello del Papa per la pace.
Nelle prime ore di ieri, domenica 4 agosto, trenta missili sono stati lanciati dalle postazioni degli Hezbollah verso l’Alta Galilea. Missili intercettati e distrutti dal sistema difensivo Iron Dome. Un “assaggio” di quella che potrebbe essere la risposta dell’Iran e dei suoi alleati-satelliti alle uccisioni mirate degli israeliani. La risposta di Teheran all’assassinio di Ismail Haniyeh sarà «severa e avverrà al momento, nel luogo e nei modi appropriati», fanno sapere i pasdaran. Non si può escludere nulla. La ritorsione dell’Iran potrebbe essere ampia, su più fronti e con qualche sorpresa per superare le contromosse messe in atto da Israele e dagli Usa. Una rappresaglia che coinvolgerebbe contemporaneamente tutto “L’Asse della resistenza” sostenuto fortemente dagli ayatollah. All’orizzonte c’è uno scenario imprevedibile, ma che molto probabilmente vedrebbe sia i miliziani di Hamas e degli Houti, che i pasdaran sferrare un attacco congiunto scatenando una pioggia di missili su Israele facendo tesoro di tutte le problematiche emerse durante l’attacco dello scorso aprile. «La situazione nella regione dell'Asia occidentale è molto delicata a causa dei continui crimini e delle pericolose avventure dei responsabili del governo di Tel Aviv che violano tutte le regole internazionali», scrive su X il ministro degli Esteri iraniano, Ali Bagheri.
A Teheran si è aperta la caccia ai delatori. I pasdaran e i servizi iraniani hanno compiuto una serie di arresti per un presunto coinvolgimento con il Mossad nell'uccisione a Teheran di Ismail Haniyeh, capo dell'ufficio politico di Hamas. Si tratta di decine di fermi e tra coloro che sono finiti in carcere ci sarebbero degli ufficiali delle forze armate, oltre ad alcuni dipendenti della foresteria destinata ad ospitare alte personalità politiche. Nonostante il cordone di sicurezza predisposto, l'assassinio di Haniyeh lascia emergere chiaramente una falla nei servizi iraniani. Al setaccio tutti i filmati delle telecamere, sia in città, che negli aeroporti; un minuzioso controllo per individuare persone sospette. L'azione, portata a termine dal Mossad, richiama alla mente varie operazioni condotte dai servizi segreti israeliani in particolare contro Settembre Nero, un gruppo terroristico palestinese. In un’occasione, una bomba collocata sotto un letto fu fatta esplodere a distanza, in una camera dell'hotel Flora di Roma, uccidendo Majed Abui Sharar, dirigente palestinese. Nove anni prima – era il 16 ottobre 1972, sempre a Roma – fu assassinato, sotto casa, a colpi d’arma da fuoco l’intellettuale palestinese Wael Zwaiter.
I due omicidi mirati della scorsa settimana, quello di Fouad Shokor, alto dirigente di Hezbollah, e l’altro del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh, il primo nel cuore di Beirut, il secondo nella capitale iraniana, sono stati interpretati come una vera dichiarazione di guerra da parte di Israele all’Iran. Come reagirà ora l'Asse della resistenza? Qualsiasi decisione innalzerà i rischi e i costi in termini umani, sia per i paesi coinvolti, che, più in generale, per l’instabilità regionale e internazionale. Israele teme che l'Iran tenti di uccidere cittadini o funzionari israeliani che vivono e operano all'estero, ma teme anche una violenta reazione sul suo territorio. «Siamo pronti a tutto, sia in termini di attacco che di difesa», ha detto il primo ministro Benjamin Netanyahu.
In Israele c’è la massima allerta per il rischio che possano aprirsi vari fronti, le cui conseguenze sono imprevedibili. Tutti i rifugi antiaerei sono stati aperti. Le famiglie hanno fatto scorta di viveri e beni di prima necessità. Ad Haifa e a Tel Aviv le strade e le spiagge sono deserte. Ma solo sabato scorso erano state organizzate manifestazioni di protesta in diverse località israeliane. I manifestanti avevano cercato di forzare i posti di blocco in piazza Hatofim (piazza dei musei di Tel Aviv), davanti alla casa del ministro della Difesa, Yoav Gallant, a Moshav Amikam, e nei pressi dell'abitazione del parlamentare Aryeh Deri a Gerusalemme. «È giunto il momento di un accordo, ed è giunto il momento di nuove elezioni – ha affermato l'ex diplomatico Eran Etzion –. Netanyahu sta fomentando una guerra regionale con le peggiori circostanze iniziali immaginabili, quando Israele è debole ed isolato, e l’IDF è sfinito». Etzion invita Gallant e gli altri responsabili della sicurezza israeliana a fare pressione su Netanyahu affinché raggiunga un accordo e si ponga fine a questa guerra.
Ma si vuole veramente la pace? Il leader dell’opposizione israeliana, Yair Lapid, ha dichiarato che il primo ministro Netanyahu continua a rimandare un accordo che prevedrebbe la restituzione degli ostaggi israeliani prigionieri a Gaza per «ragioni puramente politiche». Ha poi messo sotto accusa anche i capi della sicurezza che devono uscire allo scoperto e dire all’opinione pubblica la verità: «Se il governo israeliano rinuncia agli ostaggi, lo dicano direttamente alle famiglie e la smettano di fare giochetti». Un alto funzionario di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha dichiarato che Netanyahu non vuole fermare la guerra e sta usando i presunti colloqui di pace con dichiarazioni retoriche per coprire i suoi crimini ed eludere le conseguenze.
Era il 1° agosto 1917 quando papa Benedetto XV, in piena Prima Guerra mondiale, inviava una Lettera ai capi dei popoli belligeranti chiedendo di giungere «quanto prima alla cessazione di questa lotta tremenda, la quale, ogni giorno più, apparisce inutile strage». Un secolo dopo, un'altra guerra rischia di portare il mondo verso la catastrofe. Lo scontro tra la Russia e l'Ucraina è entrato nel terzo anno di guerra. Più di sette milioni gli ucraini rifugiati. La Russia occupa attualmente il 18% dell'Ucraina, il 7% era già stato occupato prima del 2022. Dopo il 7 ottobre dello scorso anno, quando i miliziani di Hamas hanno lanciato un attacco contro Israele, prendendo di mira contemporaneamente la città di Sderot, e una ventina di villaggi del Sud del Paese, due installazioni militari e un sito dove era in corso un festival di musica, Israele ha lanciato un’operazione militare contro Gaza che ha provocato la morte di oltre quarantamila persone, secondo i dati del Ministero della Salute della Striscia.
E non c'è settimana che papa Francesco non rivolga una preghiera pubblica affinché vengano deposte le armi. «Seguo con grandissima preoccupazione quanto sta accadendo in Medio Oriente, e auspico che il conflitto, già terribilmente sanguinoso e violento, non si estenda ancora di più. Prego per tutte le vittime, in particolare per i bambini innocenti, ed esprimo vicinanza alla comunità drusa in Terra Santa e alle popolazioni in Palestina, Israele, e Libano. Non dimentichiamo il Myanmar. Si abbia il coraggio di riprendere il dialogo perché cessi subito il fuoco a Gaza e su tutti i fronti, si liberino gli ostaggi, si soccorrano le popolazioni con gli aiuti umanitari. Gli attacchi, anche quelli mirati, e le uccisioni non possono mai essere una soluzione. Non aiutano a percorrere il cammino della giustizia, il cammino della pace, ma generano ancora più odio e vendetta. Basta, fratelli e sorelle! Basta! Non soffocate la parola del Dio della pace, ma lasciate che essa sia il futuro della Terra Santa, del Medio Oriente e del mondo intero! La guerra è una sconfitta!» (Angelus, 4 agosto 2024)
Nonostante i venti di guerra che soffiano su tutto Israele, l’esercito con la Stella di Davide prosegue nei suoi raid nella Striscia di Gaza. Anche ieri i missili hanno raso al suolo una scuola a Gaza City trasformata in rifugio e bombardato delle tende che ospitavano rifugiati, allestite nell’ospedale dei Martiri di Al-Aqsa a Deir el-Balah, uccidendo complessivamente 35 persone e provocando numerosi feriti. Sabato scorso, la polizia israeliana ha arrestato l’imam della moschea di Al-Aqsa, Sheikh Ekrima Sabri, con l'accusa di incitamento e sostegno al terrorismo, dopo che aveva pronunciato un elogio funebre in memoria di Haniyeh durante le preghiere del venerdì. Nel suo sermone, l'ex gran mufti di Gerusalemme ha pianto “il martire” Haniyeh invitando tutti i presenti a chiedere «ad Allah di avere pietà di lui e di accoglierlo in paradiso».
Mentre è in corso il confronto all’interno del gruppo di Hamas per la successione di Haniyeh, Yahya Sinwar ha fatto sapere di non gradire il nome di Khaled Mashal, già presidente dell’ufficio politico del gruppo.