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ISLAM

L'Iran e quella strana fatwa sul nucleare

L'intervento dei vescovi cattolici americani sulle trattative con Teheran per il programma nucleare, porta alla ribalta una vecchia, presunta, condanna degli ayatollah per la produzione delle armi nucleari. Su cui però ci sono molti dubbi.

Esteri 31_10_2014
Ayatollah Ali Khamenei

L’Iran torna di attualità, anche in questi giorni. Stavolta non per la sua violazione continua dei diritti umani, ma per il suo programma nucleare. Fra meno di un mese, il 24 novembre, scadranno i termini per un accordo internazionale su questa materia a dir poco esplosiva e i vescovi americani hanno deciso di giocare un ruolo da protagonista nella trattativa. La Conferenza Episcopale degli Usa, infatti, ha appena formulato le proprie raccomandazioni, in seguito a una visita (con una super-delegazione di sei membri) nella Repubblica Islamica, avvenuta lo scorso mese di aprile.

La questione nucleare iraniana risale ai primissimi anni 2000, quando dissidenti all’estero segnalarono l’esistenza di impianti nucleari segreti e l’intelligence verificò la loro installazione. L’Iran ha ammesso il tutto solo successivamente. Un altro impianto segreto è stato scoperto nel 2009, a Fordow, nascosto in una montagna e, anche in questo caso, il regime di Teheran ha dovuto ammettere la sua esistenza. Soprattutto a causa di questa estrema segretezza che circonda il programma nucleare, l’Iran è sospettato di voler costruire armi atomiche, anche se continua a negarlo. Il gruppo di contatto, costituito da tutti e cinque i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, più la Germania, da quasi un decennio cerca di ottenere una maggior trasparenza da parte dell’Iran. Teheran ritiene di non avere nulla da mostrare, perché, ufficialmente, il programma atomico è solo civile e volto a produrre energia. In questa trama, i vescovi americani si inseriscono cercando di dar fiducia alle parole degli iraniani. Dopo la visita alla città santa di Qom e una serie di colloqui con alte autorità religiose sciite, la Conferenza Episcopale statunitense ha invitato la diplomazia del proprio Paese a non sottostimare il potere di una fatwa (editto religioso) emessa dall’ayatollah Khamenei nel 2003, che vieta la produzione di armi nucleari.

«Gli iraniani si sentono profondamente incompresi dall’America e dall’Occidente» – ha dichiarato mercoledì mons. Richard Pates, presidente del Comitato di Giustizia e Pace. Benché la fatwa sul nucleare non sia mai stata pubblicata, «è di pubblico dominio ed è presa in seria considerazione dagli studiosi dello sciismo e dagli iraniani in genere». 

Tuttavia ci sono almeno quattro motivi per dubitare della sincera volontà di Khamenei a non volere la bomba.

Il primo motivo è proprio l’evanescenza di questo editto. Tutte le dichiarazioni di Khamenei, non solo le fatwe fondamentali, sono regolarmente trascritte e pubblicate sui siti istituzionali della Repubblica Islamica. Della fatwa sul nucleare non ve n’è proprio traccia. Vi sono una serie di dichiarazioni, anche recenti (l’ultima risale al 2011) di condanna alla fabbricazione e all’uso di armi nucleari, ma nessun editto religioso che le vieti tassativamente. Secondo il professor Abbas Milani (Stanford University), intervistato dal Washington Post l’anno scorso, proprio su questa questione, c’è una sottile linea di demarcazione fra una fatwa e una semplice dichiarazione ai media. E secondo un altro studioso iraniano all’estero, il professor Karim Sadjapour (Carnagie Endowment for International Peace), ritiene che sia addirittura secondario sapere se quell’editto esista o meno. Potrebbe essere solo una strategia negoziale. Per Obama, dunque, risulterebbe importante solo citare quella fatwa (che esista o meno poco importa) per permettere agli iraniani di scendere a compromessi sul programma nucleare senza perdere la faccia. Ma, a questo punto, la diplomazia diventa surreale. Di certo resta solo l’incertezza.

Secondo dubbio: gli editti religiosi sono soggetti a profondi cambiamenti, a seconda delle necessità contingenti. Mehdi Kalaji e Michael Eisenstadt, autori di uno degli studi più approfonditi sulla fatwa nucleare (pubblicato dal Washington Institute, clicca qui), hanno raccolto una serie di editti e dichiarazioni contro la fabbricazione e l’uso di armi nucleari, ma «Nonostante tutto, una lunga tradizione consente l’uso di ogni mezzo per sottomettere e intimidire gli infedeli o di prevalere su di essi in guerra. Inoltre, gli editti religiosi sono emessi in risposta a circostanze specifiche e possono essere cambiati al mutare delle condizioni. L’ayatollah Khamenei ha mutato la sua posizioni su un gran numero di questioni nel corso della sua vita, per esempio sulle tasse, sulla coscrizione militare obbligatoria, sul suffragio femminile e sulla monarchia quale forma di governo. Dunque, niente può impedire a Khamenei di modificare (o sostituire) la sua fatwa sul nucleare se le circostanze dovessero dettare un cambio di politica».

Terzo dubbio, di natura pratica: non è chiaro perché l’Iran stia concentrando i suoi sforzi industriali sull’arricchimento dell’uranio (ed è questo l’oggetto principale dei negoziati internazionali) ben oltre il livello necessario ad alimentare centrali atomiche. Un uranio altamente arricchito serve a costruire armi nucleari. Non è neppure chiaro perché vi sia questa urgente necessità di dotarsi di centrali atomiche, in un Paese che è uno dei maggiori esportatori di petrolio al mondo. E che, di sicuro, non ha fame di risorse energetiche. 

Quarto, da non sottovalutare: la dottrina sciita ammette la dissimulazione. Quando la Repubblica Islamica tratta con nemici attuali o potenziali, la dissimulazione diventa la norma. Dunque è lecito dubitare di ogni cosa che i vertici militari iraniani annunciano ufficialmente, specie se riguarda una materia così oscura come il programma nucleare. Come si è detto prima, la crisi è nata dalla scoperta di siti nucleari che, fino a quel momento, erano segreti. Inoltre lascia sbalorditi la distanza fra le rassicuranti parole di Khamenei contro l’uso di armi atomiche, definite immorali per la loro capacità di uccidere indiscriminatamente gli innocenti, e le parole bellicose dei presidenti iraniani. Sia Rafsanjani (negli anni ’90) che Ahmadinejad (fino al 2013) ed ora, probabilmente, anche Rouhani (ma i media di Teheran dicono che sia stato frainteso dai media israeliani … ). Rafsanjani teorizzò per primo che una singola bomba atomica potesse distruggere Israele, mentre persino una rappresaglia nucleare massiccia non sarebbe stata sufficiente a sconfiggere l’Iran e il “mondo islamico”. Rafsanjani, conosciuto come un “moderato” spiegò che il suo era solo un ragionamento teorico. I discorsi di Ahmadinejad, invece, sono stati più espliciti, pronunciati più volte, anche in occasione di parate militari in cui sfilavano anche i nuovi missili balistici a medio raggio. Quelli che, con tutta probabilità, diventeranno i nuovi vettori nucleari iraniani.