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DATI ISTAT

L'inverno demografico non finisce più

L'Istat rileva una nuova contrazione dei tassi di fertilità in Italia, i cui effetti sociali ed economici sono ormai evidenti.

Attualità 28_01_2011
culla vuota Inverno demografico. Così il demografo francese Gerard François Dumont definisce la situazione di un Paese che non permette la sostituzione delle generazioni. La rilevazione Istat degli indicatori demografici 2010, diffusa nei giorni scorsi, indica proprio questo. Le donne italiane fanno 1,4 figli a testa (nel 2009, la media era 1,41; nel 2008, 1,42), mentre il livello di rimpiazzo generazionale è fissato ad una percentuale del 2,1 figli per donna. La media di procreazione delle donne italiane fa riflettere rispetto a quella che si registra per le donne immigrate nel nostro Paese, le quali fanno 2,3 figli a testa. Ed è proprio la popolazione immigrata (quella regolare è pari a 4 milioni e mezzo) che determina l’aumento della popolazione complessiva: siamo 60 milioni e 600 mila.

Il 55,4% delle famiglie italiane è costituito al massimo da due componenti: sono costituite da coniugi senza figli e famiglie monogenitoriali. Il 28% di famiglie ha un solo componente: per la metà – dice l’Istat – si può pensare si tratti di persone vedove, perché hanno più di 65 anni; nell’altra metà, ci sono i single, i separati, gli omosessuali, le nubili e i celibi. Gli ultra 65enni sono già un quinto della popolazione e si stima che nel giro di pochi anni ne costituiranno un terzo. L’aspettativa di vita per un uomo è di oltre 79 anni. Per una donna di oltre  84. Il numero degli ultracentenari è di oltre 16mila ed è più che triplicato negli ultimi 10 anni.

La situazione italiana non è sostanzialmente diversa da quella degli altri Paesi europei. L’ultimo rapporto della Rete Europea dell’Istituto di Politica Familiare (IPF), rileva che in 25 anni in Europa si è assistito ad una perdita di giovani di meno di 14 anni pari a 23 milioni, che rappresenta una riduzione del 21% - il 10% negli ultimi dieci anni – mentre le persone con più di 80 anni sono aumentate dell’84%. In due case europee su tre, non c’è un bambino, mentre negli Stati Uniti la crescita della popolazione è di dodici volte superiore a quella europea. In base alle statistiche, viviamo in un continente dove si consuma ogni 25 secondi un aborto, prima causa di mortalità, perché fa più vittime delle malattie di cuore, di quelle cardiovascolari, degli incidenti stradali, della droga, dell’alcool, dei suicidi; dove crolla il numero dei matrimoni; dove sono un milione all’anno i divorzi, dove ogni giorno vengono chiuse tre scuole per mancanza di bambini.

Gli andamenti della natalità, il mutare della aspettativa di vita e i flussi migratori, incidono fortemente sul modo di concepire e governare la società. L’invecchiamento della popolazione e la conseguente rivoluzione epidemiologica in ambito sanitario – ad esempio – dovrebbero obbligare a ripensare l’intero sistema del Welfare, compreso il comparto relativo alla salute. Diventeranno prioritarie le malattie cardiovascolari (prima causa di morte), i tumori (prima causa di anni di vita attiva persi), le patologie dell’invecchiamento e della infanzia, il diabete e le malattie metaboliche. Il peso delle malattie croniche, che già oggi colpiscono il 25 per cento della popolazione e rappresentano il 70 per cento della spesa, inciderà sempre di più sul bilancio del sistema sanitario.
Ad un allungamento della aspettativa di vita non corrisponde la garanzia di una proporzionale vita attiva. Per gli ultrasettantacinquenni è di quasi dieci anni la prospettiva di vita in condizioni di disabilità.

I responsabili dell’Istat, nel presentare i dati della ricerca, hanno sottolineato – tra l’altro - l’aumento del numero degli stranieri e la loro maggiore fecondità; il moltiplicarsi delle famiglie di fatto; l’attenzione da dare alle persone anziane e non autosufficienti; il fatto che le percentuali di natalità sono più alte laddove i servizi sociali sono efficienti e dove ci sono maggiori possibilità di lavoro; il dato della migrazione interna verso il centro e il nord – siamo al 2 per mille della popolazione; il disagio, sul piano dell’autonomia economica, dei giovani adulti: il 30,1% dei 35enni vive in casa con i genitori.

L’insieme di questi elementi fornisce il quadro di una società che è mutata profondamente, con grande rapidità ed accelerazioni. Ci sono tante priorità da affrontare, ma ve n’è una essenziale, quella che ha espresso Benedetto XVI lo scorso 14 gennaio, ricevendo gli amministratori della Regione Lazio, del Comune e della Provincia di Roma: “La famiglia deve essere sostenuta da politiche organiche che non si limitino a proporre soluzioni ai problemi contingenti, ma abbiano come scopo il suo consolidamento e sviluppo e siano accompagnate da un’adeguata opera educativa”.