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L'IO E LA CRISI DELLA MODERNITA'/16

L’individualismo si presenta: coltiva il tuo giardino

Nel Principe Machiavelli anticipa la separazione degli ambiti, tra la politica e la morale, tra gli ambiti specialistici e quelli che afferiscono alla sfera della dimensione esistenziale e religiosa. Il criterio di valutazione all’interno dell’ambito politico appare il mantenimento e il rafforzamento dello Stato. In quella prospettiva tutto è concesso. 

Cultura 15_01_2017

Umanisti e artisti, principi e cortigiani, filosofi e condottieri di ventura sono in un certo senso i modelli di uomini ideali del Rinascimento. A loro saranno dedicati tanti trattati e tante biografie, che sostituiscono le agiografie medioevali.

A corte vivono spesso gli artisti dell’epoca che trovano nel signore la figura del mecenate che dà loro ospitalità e che commissiona le opere. A corte vivono i cortigiani, istruiti e à la page, capaci di dare accoglienza e di parlare, a conoscenza di tutte le norme del galateo, dotati di misura, di grazia e di moderazione. Interessante è notare che proprio nel Cinquecento vengono scritti trattati come il Galateo di Giovanni della Casa (1503-1556) e il Cortegiano di Baldassarre Castiglione (1478-1529) che esaltano le buone maniere, la facondia e l’eleganza nel portamento. Nel governo della città collaborano spesso in maniera attiva gli umanisti, dotati di cultura e di perizia retorica. Si pensi, a titolo di esempio, alle figure di Leonardo Bruni, di Coluccio Salutati e di Poggio Bracciolini che saranno attivi nella politica fiorentina.

Nel Principe (1513) Machiavelli anticipa la separazione degli ambiti, tra la politica e la morale, tra gli ambiti specialistici e quelli che afferiscono alla sfera della dimensione esistenziale e religiosa. Il criterio di valutazione all’interno dell’ambito politico appare il mantenimento e il rafforzamento dello Stato. In quella prospettiva tutto è concesso. Machiavelli dedica il trattato a Lorenzo de Medici, nipote del grande Lorenzo il Magnifico e nuovo signore di Firenze. Il  principe della corte o signore della città è una delle figure ideali dell’epoca. Gli specula principis avevano fino ad allora rappresentato la figura perfetta e ideale del principe. Il politico fiorentino per la prima volta istruisce il signore con consigli che potrebbero gettare discredito su di lui, perché si ispirano alla verità effettuale e al criterio della ragione di Stato.

Nel Cinquecento il trionfo dell’homo divus che cerca un’affermazione personale al di fuori dell’appartenenza al popolo è chiara espressione della nascita della Modernità, così come lo è l’affermarsi dell’individualismo che sostituisce gradualmente il radicato senso di appartenenza tipico dell’epoca medioevale.

Due secoli più tardi, nel Settecento, in pieno Illuminismo, l’individualismo troverà una sua esplicitazione teorica. Vediamo come. Il filosofo tedesco Leibniz (1646-1716) aveva affermato che viviamo nel migliore dei mondi possibili. Il terremoto di Lisbona del 1755 diventa per Voltaire (1694-1778) la più lampante confutazione di quanto sosteneva Leibniz e l’occasione per comporre il romanzo Candido. Ambientata nella Westfalia, la storia racconta di un ingenuo ragazzo, Candido, che segue le lezioni di filosofia del maestro Pangloss, chiara caricatura di Leibniz, che insegna in ogni modo che viviamo nel migliore dei mondi possibili. Candido si innamora di Cunegonda, la figlia del barone del castello in cui si tengono le lezioni. Sorpreso mentre la bacia, Candido è costretto a fuggire e con lui il suo maestro. Quando i due partono, il castello è assalito da un esercito di bulgari che trucidano il barone e gli altri abitanti del castello, con l’eccezione di Cunegonda che riuscirà a fuggire. Iniziano qui le vicissitudini e i casi sfortunati per la ragazza, per Candido, per Pangloss, che vivranno avventure diverse. Cunegonda si sposerà con un altro e poi diventerà una serva. Pangloss verrà condannato all’impiccagione, anche se si scoprirà alla fine che è scampato alla morte. Solo al termine della storia, incontratisi di nuovo, Pangloss, Candido e Cunegonda andranno a vivere in una fattoria vicino a Costantinopoli.

Le vicissitudini hanno loro insegnato che è meglio coltivare il proprio giardino. Se non c’è ragione di essere ottimisti nel mondo in cui viviamo, per le molteplici sventure a cui siamo sottoposti, conviene all’uomo perseguire il proprio obiettivo, coltivare il proprio talento e i propri interessi, così come Voltaire comunica alla fine del romanzo: «So anche - disse Candido - che bisogna coltivare il proprio giardino». «Avete ragione- disse Pangloss -poiché quando l’uomo fu posto nel giardino dell’Eden, vi fu posto ut operaretur eum, affinché lavorasse. Il che prova che l’uomo non è nato per la quiete».

«Lavoriamo senza ragionare - disse Martin - è il solo modo per rendere la vita sopportabile». Tutta la piccola comitiva condivise questo lodevole progetto e ognuno si mise a esercitare i propri talenti. Cunegonda era invero bruttissima, ma divenne un’eccellente pasticciera; Paquette si diede al ricamo; la vecchia ebbe cura della biancheria. Anche frate Giroflèe si rese utile, fu un ottimo falegname e diventò perfino galantuomo. E Pangloss diceva ogni tanto a Candido: «Tutti gli eventi formano una catena nel migliore dei mondi possibili. Giacché insomma, se non foste stato schiacciato da un bel castello a calcioni nel sedere per amore della signorina Cunegonda, se non foste stato sottoposto all’Inquisizione, se non aveste percorso l’America a piedi, […], non sareste qui a mangiar cedri canditi e pistacchi…». «Ben detto» rispose Candido «ma bisogna coltivare il nostro giardino».

Voltaire arriva a teorizzare che l’individualismo sia l’unica arma per difendersi dalla violenza e dal male. Al contrario Leopardi affermerà nella «Ginestra» (1836) che, considerato il male che ci è stato dato in sorte dalla Natura, l’uomo deve coalizzarsi e vivere in maniera solidale e benevola, amandosi reciprocamente. La posizione di Leopardi è titanica e insostenibile, la storia lo dimostra. La posizione di Voltaire è quella che si affermerà nella contemporaneità, non ovunque, ma laddove non viene riconosciuta una Presenza buona da cui dipende tutto. Quando non vengono riconosciute delle ragioni per la speranza dell’uomo, non è possibile davvero operare per il bene dell’altro. L’uomo non può che rinchiudersi nella solitudine e nell’egoismo, coltivando il proprio orto.