L'incontro che genera la missione
L'Adorazione dei Magi del Mantegna è una splendida meditazione sul mistero dell'incontro con Cristo. Il divino Bambino esprime una materna sollecitudine per l'uomo, per ogni uomo.
Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti poi in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese (Mt 2, 10-12).
Mantegna ci permette di vedere qualcosa di questa scena. I tre Magi emergono dal fondo nero, come se emergessero dalla storia. Il campo è ridottissimo: volti e mezzi busti sono raccolti nello spazio esiguo della tela, il Bimbo e Maria in primo piano, sullo sfondo a sinistra Giuseppe, il più nascosto, a destra il gruppo dei tre Magi.
Gasparre in primo piano reca un vasetto di porcellana cinese, dietro Melchiorre, il più giovane, con un incensiere di manifattura turca e infine il moro Baldassarre che porta una coppa contenente la mirra arricchita di agata preziosa.
Maria indossa vesti sontuose, forse in onore al rango della committente, anche gli oggetti che recano i Magi somigliano a quelli conservati in apposite teche nello studiolo di Isabella d’Este.
Mantegna fissa l’attimo in cui i Magi, entrati nella casa videro il Bambino e sua madre. Ed invero Maria è tutt’uno col figlio: lo guarda pensosa, si china con lui verso i misteriosi ospiti presentendo quasi la sua sorte. Una sorte sorprendentemente simboleggiata dai doni: l’oro della regalità, la mirra dell’umanità e della passione, l’incenso della divinità. Dei tre doni, uno solo è scoperchiato, quello del Re Gasparre che in un vasetto di finissima porcellana offre dell’oro.
La giornata mondiale dei giovani a Colonia nel 2005, fu segnata dalla figura di questi tre grandi personaggi. Una giornata preparata da Giovanni Paolo II prima di morire. Egli scrisse che i doni dei Magi simboleggiano la vera adorazione, invero, soprattutto Gasparre esprime con tutto il suo essere l’atto umile della sua adorazione. Il suo vasetto contiene dell’oro, quell’oro in cui il papa vede il dono supremo della libertà: «Cari giovani, offrite anche voi al Signore l’oro della vostra esistenza, ossia la libertà di seguirlo per amore rispondendo fedelmente alla sua chiamata». (Giovanni Paolo II 6/8/04)
Cristo benedicente è bellissimo nelle sue fattezze tenere da neonato eppure veste i panni di un rabbi. Avvolto nel peplo con il capo coperto, egli è la Sapienza dl Padre che siede in grembo alla Madre. Il divino Bambino schiude la sua bocca, sembra parlare, parla sì, ex cattedra, ma esprime quel Magistero colmo di materna sollecitudine per l’uomo, per ogni uomo. Gli sguardi degli altri due Magi sembrano oltrepassare il Cristo, la Vergine Madre e vedere lontano, sembrano già interpellare la storia futura, forse quella stessa storia del Mantegna che aveva visto, trent’anni prima del dipinto: i turchi entrare in Costantinopoli da trionfatori. Forse interpellano anche la nostra storia in cui si è vista una sola unità possibile tra i popoli, quella della preghiera.
Ma lo sguardo perso nel vuoto, pensoso dei due Magi in secondo piano, suggerisce anche altro. Essi forse vanno meditando, alla luce di ciò che hanno contemplato, di far ritorno per un’altra strada. Silenziosamente in loro è maturata quella conversione che porta a vivere la misura alta della vita.
L’incorporea luce della stella ha preso corpo nella concretezza di una Presenza, da adorare e di cui essere testimoni e, come disse papa Benedetto XVI, nella medesima giornata di Colonia: nel viaggio di ritorno i Magi dovettero affrontare pericoli, fatiche, smarrimenti, dubbi... non c’era più la stella a guidarli, ma ormai la luce era dentro di loro.
Ecco: la ricerca ha come frutto l’incontro e l’incontro ha come frutto, non la sicurezza della vita, non la risoluzione di tutti i problemi, ma la certezza di non essere più soli e di avere una missione da compiere nel mondo e nella Chiesa.
La ricerca cominciava con una domanda. Il pellegrinaggio continua con una domanda di segno diverso, non ci si domanda più «Questo a cosa mi serve?» ci si domanderà piuttosto:«Con che cosa servo io la presenza di Dio nel mondo?». «I santi non hanno cercato ostinatamente la propria felicità, ma semplicemente hanno voluto donarsi. Nelle vicende della storia sono essi i veri riformatori, coloro che tante volte l’hanno risollevata dalle valli oscure nelle quali è sempre nuovamente in pericolo» (Benedetto XVI).
Chi si pone sulle orme dei Magi e diventa Adoratore e missionario della Presenza di Dio persegue la misura alta della vita, fa proprio quanto ha detto ancora Papa Benedetto a Colonia: «I santi sono coloro che hanno visto la stella e l’hanno mostrata ad altri».