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ECOLOGIA CANAGLIA

L'imbroglio delle biomasse "pulite"

La stampa nazionale tace sui problemi e le contraddizioni che caratterizzano la produzione di energia da biomasse. Troppi e troppo forti sono gli interessi coinvolti nel business. Eppure il processo non si può proprio definire "rinnovabile"...

Creato 21_12_2012
biomasse zoom

La stampa nazionale tace su quanto ribolle nel far west della produzione di energia da biomasse. Troppi e troppo forti sono gli interessi coinvolti nel business. Ogni giorno, però, vi sono manifestazioni, assemblee, ricorsi, polemiche al calor bianco che esprimono un elevato livello di conflittualità scatenato dalla corsa a realizzare nuove centrali sulla spinta dei super incentivi. Questi ultimi, nonostante la quota di energia elettrica “verde” abbia superato gli obiettivi prefissati, sono stati semplicemente “limati” e resteranno sino al 2028. L'opposizione, oltre che dai temuti impatti degli impianti, è motivata anche dalla consapevolezza di essere in presenza di una truffa, a partire da quella etichetta “rinnovabili”.

Definire “rinnovabile” l'energia delle biomasse appositamente coltivate (che richiede l'impiego di grandi quantità di energia fossile per la lavorazione dei terreni, la produzione dei concimi chimici e dei pesticidi, i trasporti) ed equiparandola a fonti come il sole e il vento o le maree è di per sè fuorviante. Aggiungasi che le superfici utilizzate per produrre queste biomasse sono spesso sottratte alle foreste, alle savane, alle torbiere in Asia o in Africa. La messa a coltura di queste terre “vergini” provoca grandi emissioni di CO2. La scarsa sostenibilità della produzione di olio di palma è stata riconosciuta dall'agenzia per l'ambiente Usa che lo ha classificato biomassa “non rinnovabile”, così come altri paesi.

Anche a casa nostra le biomasse sottraggono terreno alla produzione alimentare. Le centrali “agricole” a biogas sono passate da 179 nel 2010 a 499 nel 2011 a 1000 nel 2012. A Cremona, dove se ne contano 140, il 15% della superficie coltivata è destinato a biogas. Gli apologeti del business non considerano che ai costi energetici diretti si sommano gli effetti indiretti legati al fatto che gli alimenti per l'uomo e per il bestiame non più prodotti in loco vanno prodotti altrove a costi energetici spesso più elevati (cui si aggiungono i trasporti). Non ci sono quindi risparmi di energia fossile e di emissioni di gas climalteranti.

Un risultato cui contribuisce significativamente lo spreco dell'energia prodotta. Solo 1/3 viene sfruttata per produrre energia elettrica (superincentivata) mentre il resto è disperso come calore in atmosfera perché la decantata “cogenerazione” è quasi impossibile. O i “camini” si avvicinano alle abitazioni e alle scuole (esponendo chi vive nelle immediate vicinanze agli effetti di forti emissioni inquinanti e ai miasmi) o si devono realizzare km di tubazioni a costi che i gestori degli impianti non si sognano di assumersi. Una centrale a biogas da 1MW el. emette 35 kg di NO2 al giorno (ossidi di azoto = precursori delle polveri sottili), ovvero l'equivalente delle emissioni di 20 mila autovetture che percorrono 20 km al giorno. Va molto peggio, ovviamente, con le centrali a combustione e viene da dire che c'è della perversione in questo aumento di camini, specie in una pianura padana dove le polveri sottili nell'aria superano quasi ovunque la soglia dei 35 giorni con concentrazioni superiori a 50μg/m3.

I disagi (emissioni, odori, traffico, danno paesaggistico) si ripercuotono anche sulle attività economiche nelle vicinanze e sul valore degli immobili . L'intera economa agricola è  turbata dall'aumento dei prezzi degli affitti dei terreni, raddoppiati o triplicati sotto la spinta di una concorrenza  impari. Grazie ad una tariffa “onnicomprensiva” di 28 cent/kWh si realizza (centrale da 1MW) un incasso di 2,1 milioni di euro ovvero 1 milione di profitto netto annuo garantito per 15 anni (a fronte di un investimento di 3-3,5 milioni di euro). Lo scandalo è che questo reddito è “agricolo” ovvero esentasse (si continua a pagare in base in base al valore d'estimo del tipo di terreno).

Non è finita: sulle superfici coltivate a biomasse, almeno per ora, si incassano i premi della PAC. I gruppi finanziari, forti anche della liquidità assicurata dal business, stanno mettendo le mani sulla terra attraverso contratti di affitto a lunga scadenza. Una tendenza che non lascia intravedere nulla di buono: concentrazione sempre più forte della produzione di cibo in poche mani e - una volta cessati gli incentivi alle scandalose biomasse coltivate - trasformazione delle centrali in recettori di rifiuti e fanghi, con tutti i rischi legati alla disseminazione di migliaia di impianti in tutta la penisola. Di impossibile controllo.