L'illusione dell'Europa di essere decisiva sull'Ucraina
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Il vertice di Londra rivela l'aspirazione europea a ritagliarsi un ruolo contrapposto a quello di Trump, ma nessuna soluzione alla guerra è possibile senza gli Stati Uniti e neanche la difesa europea è ipotizzabile senza le armi americane.
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Il clamoroso scontro avvenuto venerdì allo Studio Ovale della Casa Bianca tra il presidente statunitense Donald Trump e il vicepresidente J.D. Vance da un lato, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky dall'altro, a proposito delle trattative di pace sul conflitto Russia-Ucraina, rappresenta indubbiamente uno spartiacque dirimente nella dialettica innescata dall'inizio dei contatti diplomatici tra Stati Uniti e Russia per porre fine al conflitto che infuria ormai da tre anni.
È evidente che Zelensky – abituato dall'inizio della guerra ad un acritico e totale sostegno da parte dell'Occidente, e convinto ancora nelle ultime settimane dall'Unione europea e da molti governi del vecchio continente che avrebbe continuato a ricevere da loro pieno sostegno politico ed economico – non ha minimamente assimilato il senso della svolta intrapresa da Trump. E pur dichiarandosi, a parole, disponibile al dialogo egli ragiona ancora, in sostanza, non in una prospettiva di reale compromesso ma in termini di prosecuzione del conflitto da una posizione il più possibile vantaggiosa. Inoltre egli ritiene – probabilmente non del tutto a torto – che una pace raggiunta con compromessi e il ritorno del suo paese alla normalità democratica rappresenterebbero la fine definitiva della sua carriera politica. Per questo è andato all'incontro di Washington determinato a tenere il punto, per modificare ancora il più possibile la linea dell'amministrazione statunitense a suo favore.
Da qui le sue continue provocazioni che puntavano a ribadire che Putin è una controparte inaffidabile, destituendo sostanzialmente di credibilità ogni possibile trattativa. E che hanno provocato alla fine la reazione furiosa di Trump e Vance. Non si è trattato, come in maniera totalmente scollegata dalla realtà ha presentato la faccenda la stragrande maggioranza dei media italiani ed europei – di un "agguato", della "bullizzazione" di un soggetto in condizioni di debolezza, ma dello scontro inevitabile tra una parte che sostiene la priorità indispensabile della trattativa e della mediazione e un'altra che ancora sostanzialmente la rifiuta, ritenendo che si possa evitare, o almeno minimizzare il più possibile.
Questo scontro - che nei giorni successivi Zelensky ha tentato, in modo non molto convincente, di attenuare e superare – ha a sua volta posto in massima evidenza l'atteggiamento dell'Europa, sua "protettrice" ad oltranza, rispetto a tutto il processo.
Come è noto, i governi del vecchio continente e le istituzioni dell'Unione hanno reagito alla forte iniziativa di pace di Trump generalmente mostrando ostitlità o diffidenza nei confronti di essa, pretendendo di non essere esclusi, richiedendo di avere voce in capitolo in essa, dopo che per anni hanno sopportato i pesantissimi oneri e danni economici del sostegno a Kiev.
Da un lato, essi ritengono infatti che la smentita radicale di tutta la retorica bellicista da loro instancabilmente profusa in questi anni minerebbe profondamente la loro credibilità agli occhi del mondo e dei loro stessi cittadini. Dall'altro essi temono di essere esclusi dai possibili investimenti (americani) per la ricostruzione dell'Ucraina, e soprattutto dalla possibilità di sviluppare una partnership solida con Kiev nel futuro. Infine, i vertici dell'Unione hanno utilizzato pesantemente, negli ultimi decenni, l'invocazione di "emergenze" (come quella climatica o quella pandemica) per consolidare il processo, già in corso, di accentramento dirigistico del loro potere sugli Stati e i popoli, fuori da ogni controllo democratico e divisione/limitazione dei poteri. E, quindi, sembrano ritenere che ventilare la necessità assoluta di un aumento delle spese militari e di una "difesa comune" (concetto vago tutto da riempire di contenuti) possa consentire loro di aumentare ulteriormente quella concentrazione, contingentando i bilanci degli Stati membri più di quanto non lo siano già.
A questo quadro vanno poi aggiunte le aspirazioni di alcuni Stati, come Regno Unito e Francia, a sfruttare la situazione. Londra inseguendo un'egemonia regionale sul Baltico, Parigi attraverso un ruolo di guida per qualsiasi struttura militare comune europea, autonoma dalla Nato o dentro di essa. Il governo Italiano di Giorgia Meloni, invece, si è mostrato subito interessato innanzitutto a mantenere ben saldi i rapporti tra Europa e Stati Uniti, e a fare sì che Ue, paesi del vecchio continente e Ucraina svolgano un ruolo di supporto, non di contrapposizione, rispetto alla gestione delle trattative da parte di Trump. Benché anche la sua posizione sia in parte destituita di credibilità dal fatto che l'Italia ha condiviso negli ultimi anni tutte le decisioni dell'Ue, dei G7 e della Nato a sostegno totale dell'Ucraina, e, come gli altri Stati europei, non può rivendicare ad oggi un ruolo autenticamente "terzo" e di garanzia nelle trattative, né nell'eventuale successiva funzione di peacekeeping tra i contendenti.
Proprio questo specifico aspetto mina, in generale, ogni possibilità degli europei di svolgere un ruolo propositivo e positivo nel processo di pace: un eventuale ruolo politico e militare di protezione della sicurezza ucraina da parte di qualsiasi di loro infatti verrà inevitabilmente visto dai russi come una potenziale minaccia. Cosa che Trump sa benissimo. Proprio per questo ha tenuto per ora fuori Ue e Stati europei dalle trattative, riservandosi di coinvolgerli solo quando i giochi fossero sostanzialmente fatti.
A ciò va aggiunto che, al momento, ogni intenzione dichiarata degli europei di rafforzare i loro dispositivi militari, per quanto in sé non sgradita all'amministrazione Usa, appare al momento ben lontana dalla possibilità di una qualsiasi autonomia difensiva. Solo l'"ombrello" Nato e statunitense, ancora per molti anni, può dare effettive garanzie di sicurezza sia a Kiev che a tutto il continente.
A partire da tali premesse, la riunione convocata in fretta e furia a Londra da Starmer tra una serie di governi europei, Zelensky e la Turchia per discutere dei temi legati alla risoluzione del conflitto e alla difesa non poteva che produrre segnali contraddittori e inconcludenti, e impegni più che altro ancora propagandistici e di facciata. Da un lato, Starmer e Macron promettono infatti di presentare una proposta di piano di pace a Trump, di cui non si conosce ancora il contenuto, ma della quale si percepisce chiaramente l'ambizione contrappositiva rispetto a Mosca. Dall'altra, si stanziano ulteriori fondi Ue per gli armamenti a Kiev e si varano ulteriori sanzioni contro la Russia, lanciando un ulteriore segnale di una volontà non tanto di risolvere il conflitto, quanto di alimentare la sua prosecuzione.
L'Europa, insomma, sembra ancora fare soprattutto ostruzionismo rispetto al processo di pace, e disseminare ostacoli sulla sua strada, piuttosto che fornire un suo contributo costruttivo alla sua realistica conclusione. Un ostruzionismo che appare però concretizzarsi in dei "bluff" piuttosto prevedibili, e dal fiato corto. Nessuna soluzione alla guerra, e nessun peacekeeping, è infatti lontanamente raggiungibile se non per decisione dell'amministrazione Trump. Nessuna difesa comune dell'Europa è ipotizzabile senza le armi americane. E l'Ucraina non potrebbe proseguire un solo giorno né la sua difesa, né la vita della sua amministrazione, senza il sostegno statunitense. Sono i fatti che contano. Le chiacchiere e l'ideologia stanno, e resteranno, a zero.