L’Ilga detta i dogmi Lgbt agli Stati
L’Ilga, organizzazione che si batte per i diritti Lgbt nel mondo e finanziata dall’Ue, ha pubblicato il suo rapporto annuale sulle politiche di 54 paesi e la relativa “Rainbow Map”.
Lo scorso febbraio l’Ilga, ovvero la più imponente organizzazione che si batte per i diritti Lgbti nel mondo, ha pubblicato il suo decimo rapporto annuale, un’analisi dettagliata sulle politiche e legislazioni di 54 paesi europei e asiatici. Il 17 maggio, la nuova pubblicazione della classifica dei paesi europei Lgbti friendly, la Rainbow map (mappa arcobaleno). All’Italia si chiede, tra l’altro, di approvare il Ddl Zan, riconoscere la genitorialità delle coppie Lgbti, anche per i bambini nati da maternità surrogata, e favorire l’asilo per migranti Lgbti. Il futuro che ci aspetta è nero.
Malta figura al primo posto con il 94% delle normative in regola con le pretese Lgbti, seguono il Belgio (74%), il Lussemburgo (72%), i paesi scandinavi, il Regno Unito e la Spagna (media del 65%); tra i paesi europei il fanalino di coda è la Polonia (13%). L’Italia (22%) si trova nel gruppo di paesi “ritardatari” con Romania (19%), Bulgaria (20%), Lettonia (17%) e Lituania (23%).
Molte le cose interessanti che emergono dalle pubblicazioni (ideologiche) dell’Ilga, una precisa strategia che traccia il percorso verso il futuro mondo arcobaleno. Nell’anno caratterizzato dalla pandemia da Covid, i governi avrebbero dovuto prevedere dei pacchetti di aiuti specifici per le persone Lgbti, in pochi l’hanno fatto, ma c’è l’apprezzamento perché “un maggior numero di attori del mondo politico ha iniziato a esprimere la necessità di intraprendere azioni più coraggiose… più in linea con il progresso legislativo… e ci sono più persone che si rivolgono ai tribunali per il riconoscimento dei loro diritti umani, o per il chiarimento della legislazione esistente che ha lo scopo di proteggerli”. Leggiamo così la scelta del PD italiano di mettere al primo posto della propria agenda l’approvazione del Ddl Zan, meno attenzione agli operai e più agli Lgbti dichiarati, e la genericità del testo Zan, la cui interpretazione sarà nelle mani di giudici e tribunali.
Lo stesso report annuale prende atto delle opposizioni crescenti: “…una crescita significativa dell’opposizione verso i diritti dei trans in tutta Europa e questo sta cominciando ad avere un impatto ampio e negativo sul riconoscimento legale del genere (Lgr). C’è una regressione in Austria, Croazia, Finlandia, Ungheria, Lituania, Russia, Slovacchia, Slovenia e Regno Unito, e una stagnazione in Germania, Andorra, Cipro, Repubblica Ceca, Georgia, Kosovo, Montenegro, Macedonia del Nord e Svezia. In molti di questi paesi, le forze di opposizione sono diventate più forti”. I pericolosi retrogradi sarebbero i movimenti femministi, i difensori dei diritti dei minori, i leader religiosi. L’Ilga si duole per l’aumento dei cosiddetti “discorsi d’odio” in 32 su 54 paesi europei e asiatici. Noi siamo contro ogni discorso di odio o incitazione alla violenza, ma vogliamo continuare a esser liberi di affermare la verità sul sesso biologico, il matrimonio, il diritto dei figli ad avere una mamma e un papà.
Preoccupa che l’Ilga si compiaccia del fatto che i tribunali e le istituzioni governative stiano “iniziando a parlare di regolamentazione dei discorsi d’odio online, anche a livello dell’UE”. Una nuova censura è alle porte? Il disappunto della lobby Lgbti per la “stagnazione” registrata in diversi paesi (Andorra, Bulgaria, Repubblica Ceca, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Polonia, Serbia e Slovacchia) su unioni civili e “matrimoni Lgbti”, è un appoggio indiretto alle azioni della Commissione europea che vuole imporre ai paesi membri gli stessi “matrimoni Lgbti”? Cosa accadrà alla Lituania dopo che il Parlamento ha bocciato le unioni civili?
Molti i successi ottenuti dalle lobby Lgbti a livello internazionale: le dichiarazioni di vari organismi dell’Onu a favore del divieto delle terapie di conversione; l’impegno costante del Consiglio d’Europa a favore dei diritti Lgbti e l’adozione della Strategia Europea Lgbtqi per il 2020-2025 della Commissione UE, di cui più volte abbiamo illustrato i pericoli. I finanziamenti dell’Ilga sono per il 31% a carico della Commissione europea (cioè di tutti noi contribuenti), al resto ci pensano il Governo olandese e diverse fondazioni internazionali, perlopiù legate a George Soros. Le richieste all’Italia sono chiare: abolire i “Decreti sicurezza”, e altre 29 raccomandazioni per favorire l’accoglienza dei migranti in ragione dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere; procedere velocemente all’approvazione del Ddl Zan (“osteggiata dall’estrema destra, leader religiosi e femministe che escludono i transessuali”); riflettere sulle recenti sentenze che escludono la maternità surrogata per le coppie lesbiche e pieno riconoscimento alle persone transgender (vedi iniziativa del Mit).
Leggendo il glossario dell’Ilga, ci si rende conto che ciascuno di noi potrebbe esser accusato di “transfobia” o “bifobia”, di diffondere opinioni d’odio e di essere discriminatori seriali. Pronti al carcere? Sia chiaro, la libertà di tutti è a rischio. Per esempio, i procedimenti penali in Finlandia nei confronti dell’ex ministro Päivi Räsänen e del vescovo luterano Juhana Pohjola dimostrano l’intolleranza verso qualunque riferimento biblico e religioso alla creazione dell’uomo, alla paternità e maternità e alla sessualità maschile e femminile. Le parole entusiaste della commissaria dell’Eguaglianza, Helena Dalli, per il lavoro dell’Ilga e la sua condanna verso la Polonia “retrograda” sono l’ennesima conferma che a Bruxelles le radici giudaico-cristiane sono ormai soppiantate dai dogmi Lgbti.