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L'ideologia Lgbt all'assalto dei fumetti

Il Superman bisex, previsto a giorni, non è che l’ultimo tassello in ordine di tempo di una vera e propria strategia globale, pianificata, programmata, inquietante. Perché? Perché, dall’agguerritissima Disney a Cartoon Network, alla fin fine si cerca d’instillare l’ideologia Lgbt nelle nuove generazioni, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga o meno anche sui banchi di scuola. 

Cultura 01_11_2021
Jessica rabbit "ritoccata"

Pochi giorni d’attesa ormai e a tutti i fan di Superman, creato nel 1933 da Jerry Siegel e Joe Shuster, potranno cadere le braccia: il 9 novembre, infatti, come noto, il supereroe, che ha conquistato coi suoi poteri intere generazioni di ragazzi, apparirà bisessuale sull’albo pubblicato dalla DC Comics. Bizzarria? Trovata pubblicitaria di pessimo gusto per rilanciare la testata?

No, probabilmente nulla di tutto questo. È difficile, infatti, non scorgere un’azione pianificata, una strategia concertata in ciò che sta avvenendo non tanto e non solo con Superman, ma più in generale nel mondo dei fumetti e dei cartoni animati, soprattutto americani. Troppi gli interventi a gamba tesa delle case editrici e produttrici, per pensare a semplici casualità, banali coincidenze, impreviste concomitanze.

Partiamo dalla Disney. Solo per citare i casi più recenti, pensiamo alla piattaforma DisneyPlusFR, che ha reso accessibili solo al pubblico adulto alcuni titoli storici come Gli Aristogatti, Peter Pan, Lilli e il Vagabondo, divenuti all’improvviso «politicamente scorretti». Per quale motivo? Con il primo, Gli Aristogatti siamo al ridicolo: si sostiene che i gatti siamesi siano stati disegnati in modo tale da sottintendere inqualificabili stereotipi nei confronti degli Asiatici; Peter Pan invece “ferirebbe” la sensibilità degli Indiani d’America. E via elencando. Ha scritto l’agenzia Médias-Presse-Info: «Ad un tale livello di assurdità, non si sa più se ridere o se piangere».

Ma nel tritacarne della censura «politically correct» è finita anche Jessica Rabbit, che nel parco Disneyland di Anaheim, in California, ha dovuto sottoporsi ad alcuni ritocchi, per non risultare sexy ed ammiccante. Scrupoli morali? Nient’affatto. Solo la premura di adeguarla ai nuovi cliché gender fluid, che sono androgini ed assolutamente non binari. Basta curve, basta scollature, basta ciglia lunghe od altri effetti speciali. E per questa stessa ragione è finita sotto le forche caudine Lgbt anche Lola Bunny, che, come ben sanno gli appassionati di Space Jam, nel sequel ha ridotto i seni, abbandonato il top birichino ed i pantaloncini cortissimi, per mostrarsi con indosso una castigatissima divisa, la stessa dei suoi compagni di squadra. Le donne, il gender style, le vuole così, simili agli uomini. Che, a loro volta, devono divenire simili alle donne, glabri e meglio ancora se un poco effeminati.

Sorte anche peggiore per la pellicola Disney Toy Story 4: in una delle scene iniziali, peraltro brevissima, quando la nuova proprietaria di Woody, Bonnie, è al suo primo giorno di scuola materna, si mostra una coppia Lgbt, nello specifico due mamme lesbiche e “multiculturali”, sempre in omaggio al gender style. Ciò, che ha spinto diverse associazioni di genitori, negli Stati Uniti, a chiedere il boicottaggio del film.

Ma non sono, queste, novità. A riprova di una strategia pianificata già da tempo, val la pena ricordare un episodio della fiction dal titolo C’era una volta, in cui Mulan rivelò il proprio amore alla Bella Addormentata, che comunque non corrisposte tali sentimenti, evidentemente preferendo il Principe azzurro. Per non parlare del merchandising “arcobaleno”: i negozi Disney hanno varato una linea a tema, come le orecchie “arcobaleno” di Topolino o le spille Lgbt da collezione. Ed ancora pensiamo all’ospitalità concessa ai Gay Days annuali non ufficiali a Disneyland e Disneyworld.

Ancora. La sitcom «Buona fortuna, Charlie!», proposta proprio da Disney Channel, ha reso protagoniste di un intero episodio due lesbiche. La catena televisiva, del resto, lo aveva detto chiaramente di voler introdurre personaggi Lgbt. E così è stato. Come con la serie I Fosters, prodotta sempre dalla Disney assieme a Abc ed andata in onda per cinque stagioni, dal 2013 al 2018, su ABC Family e ABC Spark in Canada. È stata creata da Bradley Bredeweg e Peter Paige, entrambi dichiaratamente omosessuali. È la storia di una coppia di lesbiche con bimbi biologici e adottati; ma già nella seconda stagione, si vede il 14enne Jude, l’ultimogenito, che bacia Connor, l’amico di scuola. Nel 2016 ha fatto la sua comparsa una nuova coppia Lgbt, quella dello sceriffo Blubs e del deputato Durland, nel cartone animato Gravity Falls, trasmesso sempre da Disney Channel.

Ruthie Tompson, la storica animatrice di tanti film Disney di successo, da Biancaneve e i sette nani a Pinocchio, da La Bella Addormentata nel Bosco a Bambi, morta pochi giorni fa nel sonno nella sua casa di Los Angeles alla bella età di 111 anni, si rivolterà già nella tomba. Non fu certo per questo che lavorò alle pellicole entrate, anche grazie a lei, nella storia del cinema d’animazione e che resero grande la Disney.

Da notarsi come in tutti questi casi non siano mancate le proteste dei genitori e di diverse organizzazioni di settore, rimaste però inascoltate. Sull’altro fronte, invece, la multinazionale dell’aborto, Planned Parenthood, con un tweet poi rimosso per l’infinità di critiche ricevute (anche dall’interno), ha addirittura scritto: «Abbiamo bisogno di una principessa Disney, che abbia avuto un aborto, che sia pro-choice, che sia un’immigrata clandestina e che sia trans». Planned Parenthood ha cercato di giustificarsi, sostenendo di voler solo provocare un dibattito, ma nessuno le ha creduto.

Cambiando canale, non cambia la solfa. CN-Cartoon Network, nel 2018, nell’ultima stagione della serie, ahimé, di successo Adventure Time ha presentato un bacio lesbico, mentre il personaggio di Steven Universe proponeva un matrimonio tra donne. L’anno dopo, nel 2019, in un post Cartoon Network non trovò di meglio che augurare «a tutti un HAPPY PRIDE», incoraggiando «tutti i fans Lgbtq+ ad essere orgogliosi tutto l’anno». Ed anche nel giugno 2020, «mese dell’orgoglio Lgbt», trasmise programmi ad hoc e consigliò sul suo sito web letture “a tema”, oltre ad una selezione di video “dedicati” delle serie animate Craig of the Creek  e Steven Universe, premiata quest’ultima dall’associazione Lgbt GLAAD con un Media Awards.

Insomma, se per Agatha Christie due indizi sono una coincidenza e tre sono una prova quelli citati (e rappresentano solo una selezione…) sono più che sufficienti, per confermare l’ipotesi iniziale, che cioè qui si sia di fronte ad una manovra pianificata, per entrare in modo silenzioso ed anche simpatico con i beniamini amati dal pubblico in tutte le case ed instillare nelle teste dei nostri figli l’ideologia gender, indipendentemente dal fatto ch’essa venga già inculcata o meno nelle scuole.

Un grande disegnatore contemporaneo, Alban Guillemois, autore di Bernadette e Lourdes: l’inchiesta, che gli è meritatamente valsa il Premio internazionale del fumetto cristiano, ha recentemente dichiarato in un’intervista rilasciata all’agenzia Médias-Presse-Info: «C’è un grande storico della letteratura francese, Marc Fumaroli, che ha detto giustamente: “La cultura è un altro nome della propaganda”. Credo che i marxisti abbiano capito questa storia di conquista da parte della cultura, a differenza dei cattolici». È forse per questo che manca una sana alternativa cristiana.